Giorno 8. Falsopiano, maledetto falsopiano.
Dormo in un ostello a Fujiyoshida assieme al solito corollario di facce da ostello: gli americani che arrivano tardi e fanno casino, gli asiatici afoni, il francese strano, la guida turistica italiana e l’alpinista messicano che fa la salita del Fuji in solitaria, perde l’ultimo bus e corre fino alla stazione. Eroe.
Mi sveglio alle 7 e alle 8 sono in marcia. La giornata doveva essere OK ma, invece, è bigia.
Arrivo al lago Kawaguchi e mi stupisco che sia già qua. La giornata non aiuta a renderlo idillico, e il viadotto in mezzo è pure peggio. Ci sono un po’ di turisti, e ovviamente nella mia sosta al Family Mart un’americana punta alla bici e mi fa “Don’t tell me you’re going around with that?” Le rispondo “I won’t”.
Appena dopo il lago iniziano dei tornanti mica da ridere, che a me piacciono sempre. Accarezzo l’idea di salire fino in cima, usando la vecchia Rindō road, ma non c’è vista, le nuvole sono basse, e fa un freddo cane.
Che tunnel sia.
Prima di partire avevo sentito molto parlare, e non positivamente, dei tunnel in Giappone. Stretti, bui e con guidatori assassini. Questo tunnel da 4km è effettivamente stretto (devo pedalare sulla riga), non è ben illuminato, ma gli autisti sono incredibilmente gentili. Tutt’oggi sarò sbalordito dalla gentilezza mostrata da tutti nel darmi precedenze, rispettare la distanza di sicurezza e in genere comportarsi da persone normali.
Al di fuori del tunnel, dove faceva un discreto calduccio, torna a far freddo. Ma… discesa!
Iniziano 20km di discesa, e arrivo nel vallone di Fuefuki, Kofu e altri paesoni. Sembra di essere nel vercellese, paesoni e risaie. L’unica differenza è che inizia un falsopiano infido.
Continuo lungo vigneti (sto scrivendo mentre bevo uno Chardonnay giapponese sorprendentemente buono), risaie, concessionarie, scuole, gagni che fanno ricreazione, negozi… tutto, rigorosamente, in falsopiano. Una salita di 3-5% di gradiente che continua imperterrita, tritando le gambe. Un signore che conoscerò a cena mi dirá che anche per lui, ciclista come me, questa zona è tremenda.
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Mancano 20km e ovviamente la strada s’impenna. Sono entrato in una specie di stato di quiete zen. Inizia a piovere, metto su la giacca, e faccio i miei 7-8km/h in salita con la serenitá del derviscio che ruota ripetendo
Bismillahir Rahmanir Raheem. Metto su una canzone sufi turca, poi un coro tibetano che ho sentito in Ladakh, e per ultimi e per par condicio anche i monaci Megaloschemos bulgari. La salita è dura, gambe-spalle-culo fanno male, ma la mia mente è contenta.
Vedete questa tazzina? L’ho presa in un negozio di Tokyo assieme a 8200 (la bici gliel’hanno fregata) qualche anno fa. Uguale identica. Le mando una foto e mi scrive che s’era appena fatta un caffè in quella tazza. Serendipity.
Sono le 2 e mezza, mancano 3km ma vedo un posto che fa burger che sembra simpatico. Mi fermo, ordino, faccio pat-pat al cane piú entusiasta del mondo (facile quando puzzi di carogna!).
Un’ultima rampa, e sono arrivato alla mia locanda a Fujimi. Il proprietario ammira le mie ruote Zipp, mi aiuta a lavare il velocipede, e dopo poco sono a bollire nell’onsen come un gamberone.
Dirimpetto, per motivi che non capisco, c’è un museo dedicato a Keith Haring.
È tardi, sono stanco, vado in lobby a farmi una birra e a chiedere al barista di mettere su un disco di Minoru Muraoka. Hanno di tutto, purchè sia jazz.
