Alla ricerca dei resti del volo EA980

by aless

 

BOSTON – Sebbene mai come in questo caso il condizionale sia d’obbligo, dopo quasi 32 anni potrebbe finalmente trovare delle risposte il mistero del volo Eastern Air Lines 980, schiantatosi sulle Ande Boliviane il giorno di Capodanno del 1985. Dopo tre decenni e ancor più numerosi tentativi, infatti, una spedizione di alpinisti amatoriali è finalmente riuscita a raggiungere il luogo dell’incidente a più di 5.000 metri di quota, localizzando i resti delle vittime e recuperando alcuni pezzi del Cockpit Voice Recorder. Sembra però che gli appassionati delle indagini ad alta quota dovranno pazientare prima di riuscire ad ottenere qualche informazione sui dettagli dell’incidente, sia perché del CVR rimane nient’altro che qualche frammento, ma soprattutto perché quest’appassionante storia sembra già essersi scontrata con la burocrazia boliviana.

Il volo Eastern Air Lines 980 decollò da Asunción, in Paraguay, il pomeriggio del 1° gennaio 1985, con destinazione finale Miami (Florida) e con a bordo 19 passeggeri e 10 membri dell’equipaggio. Prima di raggiungere gli Stati Uniti, il volo aveva in programma altri due scali intermedi, a La Paz, in Bolivia, e Guayaquil, in Ecuador. Proprio durante l’avvicinamento al primo scalo di La Paz, e dopo essere stato autorizzato alla discesa da parte dei controllori boliviani, il Boeing 727 N819EA impattò però un lato del Monte Intillimani a circa 6.000 metri di quota, e uccidendo presumibilmente tutti gli occupanti. Le cause dell’incidente non furono mai accertate, ma la teoria più accreditata è che l’aereo fosse fuori rotta rispetto al tracciato originario. All’epoca, infatti, lo scalo di El Alto non era dotato di un sistema di vettoramento radar, e gli avvicinamenti avvenivano mediante visual approach, reso questo particolarmente ardimentoso in caso di scarse condizioni meteo.

Il luogo dell’incidente fu identificato già l’indomani dall’aviazione boliviana, che però non disponeva di mezzi capaci di trasportare sul luogo soccorritori e investigatori. Non ebbero maggiore fortuna nemmeno le successive spedizioni alpine, sia quelle private che quelle organizzate dalla NTSB, l’agenzia statunitense per la sicurezza dei trasporti. A causa della morfologia impervia della montagna, delle condizioni metereologiche proibitive, e dell’altitudine, tutto ciò che si riuscì ad identificare fu qualche minuscolo rottame, tra cui non figuravano né i resti delle vittime né delle scatole nere. Ciò alimentò immancabilmente le più svariate teorie del complotto, che spaziavano dalla lotta al narcotraffico agli intrighi internazionali, tesi quest’ultima giustificata dalla presenza a bordo della moglie dell’allora ambasciatore statunitense in Paraguay. C’è anzi da dire come questa triste vicenda abbia alimentato una certa produzione artistica e culturale, tra cui figura il libro “Final Destination: Disaster” pubblicato nel 2014 da George Jehn, un ex pilota della Eastern Air Lines.

Sebbene la ricostruzione di Jehn non sia accreditata come la più accurata, a lui va il merito di aver ispirato due giovani avventurieri americani, Dan Futrell e Isaac Stoner, che dalle loro tranquille vite di Boston hanno deciso, proprio quest’anno, di tentare l’impresa di scalare l’Intillimani alla ricerca dei resti del volo EA980. Tutti i dettagli della spedizione sono raccontati con dovizia di particolari nel blog di Futrell, di cui consigliamo vivamente la lettura, mentre qui ci limitiamo ad anticipare solamente un paradossale risvolto finale della vicenda. La spedizione di Futrell e Stoner si rivelerà alla fine fruttuosa, tanto che tra i reperti recuperati figurano anche alcuni frammenti del Cockpit Voice Recorder. Una volta tornati in patria, però, i due hanno immediatamente sottoposto i materiali alla NTSB, che ha tuttavia dichiarato di non poterli analizzare a causa della mancanza di giurisdizione: l’indagine sull’incidente è infatti ancora di titolarità boliviana, cui spetta il compito di analizzare i dati eventualmente ancora presenti nel CVR. Ciononostante, le autorità sudamericane non si sono finora dimostrate interessate all’estrazione dei dati delle scatole nere, che quindi, dopo più di 30 anni tra i ghiacci, giacciono ora impolverate in uno scatolone nascosto in un anonimo appartamento di Boston.

You may also like

Leave a Comment