"Le mie Fs batteranno l’aereo"
MARCO PANARA
FRECCIA Rossa ha guadagnato in media 2 mila passeggeri al giorno, a scapito per buona parte di Alitalia, la quale contrattacca, a colpi di polemiche ma anche di nuove offerte e razionalizzazioni del servizio. «Ormai è chiaro a tutti che sotto le quattro ore, ovvero su distanze fino a 800 chilometri, le ferrovie riescono a dare un servizio che in termini di qualità e di costo è superiore rispetto agli altri mezzi» dice Mauro Moretti, amministratore delegato di Fs. «Qualche giorno fa mi sono trovato ad una riunione alla quale c’era anche Spinetta, il numero uno di Air France, il quale ha detto chiaro e tondo che non pensa più di investire su quelle distanze, ed ha aggiunto che tra i suoi programmi c’è quello di dotare il gruppo di un'impresa ferroviaria, per mantenere il contatto con la sua clientela. Se lo farà romperà un vecchio tabù, quello secondo il quale non hanno senso le imprese multimodali».
Moretti non risponde alle polemiche dell’amministratore delegato di Alitalia Rocco Sabelli (lo ha già fatto), ma punta l’indice su quella che considera ormai una realtà, figlia della nuova tecnologia ferroviaria che consente di ridurre drasticamente il rapporto tra tempo e spazio.
Funziona sulla MilanoRoma, ma il resto?
«Non c’è solo RomaMilano. Abbiamo lanciato un sistema di offerta molto sofisticato che si basa su due hub, Milano e Roma appunto, e che funziona così: intorno a Milano abbiamo strizzato i tempi ai limiti del possibile per collegare alla città entro le due ore un bacino di quasi 25 milioni di persone; intorno a Roma, che è al centro di una struttura molto diversa, fatta di città lontane tra loro, abbiamo creato una rete di collegamenti che porta nella capitale con lo stesso tempo che ci vuole da Milano (con le fermate a Roma e Firenze), ovvero 3 ore e 59 minuti. Ora ci si arriva da Lamezia Terme, da Bari, da Genova, da Venezia, da Verona. È un sistema, ed è la prima volta che in Italia il servizio ferroviario si presenta come tale».
La risposta?
«La danno i treni, che sono pieni».
Ma non sempre dove c’è concorrenza voi vincete. Nelle merci per esempio i risultati non sono altrettanto brillanti.
«Nel 2008 abbiamo chiuso con 35 miliardi di merci/chilometro trasportate, dieci dei quali fuori dall’Italia. Il dato significativo è che all’estero cresciamo mentre in Italia facciamo molta più fatica, e la ragione è che in Italia in questo settore una vera concorrenza tra le varie modalità di trasporto non c’è, perché operiamo su basi completamente diverse, a cominciare dal ‘nero’. Vuole una conferma? Non c’è un operatore privato nel trasporto merci su rotaia dagli Appennini in giù. Quindi non è questione di qualità di impresa ma di qualità del mercato».
Ora però la concorrenza arriva anche sul trasporto passeggeri, e nelle tratte più pregiate.
«Ben venga. Io ho sempre creduto che le ferrovie debbano avere uno spazio maggiore, e ho visto con grande favore le liberalizzazioni, perché l’obiettivo è quello di far arrivare anche in questo settore imprenditori privati. Quindi sono i benvenuti, se sono seri e arrivano per restare».
Perché, ha qualche dubbio?
«Nelle merci l’esperienza dopo dieci anni di liberalizzazioni è che a dominare il settore sono ancora gli ex monopolisti, anche perché molti hanno creato una impresa e poi sono andati ad offrirla a Deutsche Bahn o a Sncf. Sarebbe un peccato se per trenta denari dovessero farlo anche gli imprenditori privati che si stanno affacciando nel traffico passeggeri».
Oggi guadagnate molto nelle tratte dove il mercato sorregge il business. Ma quei soldi dove finiscono, vanno a coprire i buchi negli altri segmenti?
«Oggi è così, anche se non dovrebbe. In tutti i paesi insieme alla liberalizzazione è arrivata una chiara definizione dei servizi a mercato e di quelli che invece non potevano ripagare i costi. Da noi no, così finisce che accade il contrario di quello che polemicamente è stato detto su di noi: noi con i ricavi da mercato andiamo a coprire servizi che non sono adeguatamente coperti, il contrario semmai avviene altrove».
La cosa più logica, visto che le Fs sono una società per azioni, sarebbe di fare le cose che producono utili e lasciare quelle che sono in perdita.
«In teoria è così, civilisticamente sarebbe quella la scelta corretta. Ma dal punto di vista penale no, perché sarebbe interruzione di pubblico servizio, perché la verità scomoda ma effettiva è che il servizio universale se non lo fa Trenitalia non lo fa nessuno».
Allora come si fa?
«Lasciando lavorare il mercato più che si può, allentando la morsa che blocca le tariffe anche su tratte dove con un biglietto adeguato il servizio potrebbe reggere, e poi ragionando su tutto quello che il mercato non regge. Se una città, una regione o lo stato vogliono tenere in piedi un certo servizio anche se il traffico non copre i costi, se ne deve accollare l’onere».
È quello che succede.
«Non esattamente. C’è una gran confusione nell’opinione pubblica, che giustamente lamenta il cattivo servizio nelle reti regionali o su alcune tratte che sono in piedi anche se non c’è un mercato sufficiente a sostenerle. Chi decide quanti treni, a che orario, di che dimensioni e le tariffe non siamo noi ma il committente pubblico, il quale però fino ad oggi non ha destinato a questo importante servizio ai cittadini le risorse necessarie per garantire una qualità adeguata né ha voluto lasciar lievitare le tariffe».
Riuscirà a convincerle?
«È un anno e mezzo che stiamo lavorando insieme e c’è stato un notevole passo avanti culturale. Quello che deve essere chiaro e che comincia ad esserlo è che il servizio ha un costo e la qualità incide su questo costo».
Intanto però non arrivano gli ordini di nuovi treni, né per l’alta velocità né per i pendolari.
«Entro un mese conto di poter chiudere la partita e fare un pacchetto significativo per i treni per l’alta velocità e quelli sui pendolari. Saranno alcuni miliardi di euro che saranno un volano importantissimo per l’industria elettromeccanica italiana».
Ma nei vostri conti resta questa ambiguità tra introiti da mercato e intervento pubblico.
«La chiariremo. Stiamo riorganizzando la struttura in due business unit, una con dentro le attività che si reggono sul mercato e l’altra con le attività i cui costi sono coperti dall’intervento pubblico. E questo anche per chiarire una cosa, che mentre per Sncf e Db i contributi pubblici assai più generosi dei nostri sono una fonte alla quale attingere per la loro espansione internazionale, noi siamo doppiamente penalizzati».
In due anni avete recuperato circa 1,6 miliardi di margine operativo lordo, per metà dai costi. Lo avete fatto a parità di servizio oppure avete tagliato anche lì?
«Il servizio è aumentato, e i costi sono stati tagliati riducendo gli sprechi per circa 400 milioni e riducendo il personale per altrettanto».
Il risultato è un margine operativo lordo di circa 900 milioni e il pareggio sostanziale raggiunto nel 2008. Quali saranno i prossimi passi?
«La cosa fondamentale è che abbiamo messo in sicurezza i conti dell’azienda prima che arrivasse la crisi finanziaria. Se non lo avessimo fatto saremmo stati travolti. Abbiamo raggiunto un mol pari a quello di Sncf che però ha un fatturato quattro volte il nostro. Sull’ultima riga del bilancio pesano però i 9 miliardi di debiti che abbiamo ereditato e che assorbono quasi per intero i 430 milioni di Ebit».
Affari & Finanza
la Repubblica