Thread Alitalia da Settembre 2013


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Discussione chiusa ad ulteriori risposte.
Sorry, ricordavo male.
Comunque é di una chiarezza disarmante evidenziando un network
altamente complementare,a differenza di quello con AF
 
Domanda seria e non polemica: ma a MXP ci sono numeri sufficienti, in termini di movimenti, da giustificare questa procedura?

ENAV ha deciso che, a regime, il sistema A-CDM sarà implementato nei 4 aeroporti FCO, MXP, LIN e VCE.
Quando ho un'oretta, se a qualcuno interessa, potrei aprire un thread a riguardo - è operativamente molto interessante.
 
ENAV ha deciso che, a regime, il sistema A-CDM sarà implementato nei 4 aeroporti FCO, MXP, LIN e VCE.
Quando ho un'oretta, se a qualcuno interessa, potrei aprire un thread a riguardo - è operativamente molto interessante.

Sarebbe molto interessante, grazie!
Apri pure un thread ad hoc quando hai pronti i tuoi contributi.
 
Alitalia, addio capitani coraggiosi tentazione araba per Del Torchio
L’AMMINISTRATORE DELEGATO STA TRATTANDO CON LA COMPAGNIA DI ABU DHABI PERCHÉ PARTECIPI ALLA RICAPITALIZZAZIONE A FIANCO DI AIR FRANCE. SERVONO SUBITO ALMENO 80-100 MILIONI PERCHÉ LE PERDITE SONO INARRESTABILI
Ettore Livini

È nuovo l’amministratore delegato. Sono cambiate le strategie (stop alla guerra suicida alle low cost) e i pretendenti alle nozze, con Etihad pronta a soppiantare - o meglio ad affiancare - l’eterna fidanzata Air France. L’avventura di Gabriele Del Torchio alla cloche di Alitalia è partita però nel segno del più vecchio dei problemi del gruppo: la caccia ai soldi. Un deja vù: la compagnia brucia ancora più quattrini di quelli che incassa, il piano di rilancio darà frutti - nel caso - a medio termine, i 95 milioni raccolti tra i soci con un prestito obbligazionario sono quasi finiti. Risultato: il cda del 26 settembre, convocato con il solito clima un po’ da ultima spiaggia, dovrà trovare la quadra per portare nelle casse di Alitalia in tempi brevi nuova liquidità. U n centinaio di milioni subito per garantire l’operatività. Altri 300 in tempi non troppo lunghi. E Del Torchio - impegnato nelle ultime settimane 24 ore su 24 per arrivare all’appuntamento con una soluzionetampone - dovrà riuscire in un triplo miracolo: convincere i soci (un po’ riottosi) a rimettere mano al portafoglio, placare le banche che - dopo aver visto saltare i covenant su molti dei loro prestiti - sono chiamate ad accenderne di nuovi e mediare tra Parigi e Abu Dhabi destinate in ogni caso, con pesi ancora da chiarire, ad assumere sempre più peso nella gestione dell’aerolinea tricolore. Il neo amministratore delegato, del resto, sapeva che cosa lo aspettava.

La cordata dei patrioti voluta da Silvio Berlusconi ha trasformato Alitalia in una realtà molto più efficiente, moderna (l’età della flotta è tra le più basse d’Europa) e regolare del vecchio carrozzone pubblico. Ma i conti non tornano lo stesso. I pilastri strategici del piano Fenice - la scommessa su mercato domestico e medio raggio e l’addio a Malpensa - si sono trasformati in un boomerang. Il braccio di ferro con Ryanair e Easyjet ha dissanguato le casse. Le perdite si sono divorate quasi tutto il patrimonio - puntellato grazie alla rivalutazione del programma Mille Miglia - e anche il primo semestre 2013 rischia di andare in archivio con un profondissimo rosso, probabilmente più dei 200 milioni dei primi sei mesi dell’anno precedente. Rocco Sabelli e Andrea Ragnetti, i predecessori dell’ex-manager Ducati, hanno già provato a far quadrare i conti mettendo all’asta un po’ dell’argenteria di famiglia: nel 2012 sono stati venduti degli slot a Londra Heathrow per 63 milioni, sono finiti sul mercato un Boeing 767 e nove motori di A320. Ma non è bastato. La recessione e il caro-greggio si sono mangiati plusvalenze e risparmi (il costo del lavoro è calato dell’1% lo scorso anno) e la spia della liquidità, una costante sul cruscotto Alitalia, è sul rosso fisso. Ben 63 aerei della flotta, quasi tutti quelli di proprietà, sono in pegno ai creditori. E su 335 milioni di debiti a breve con le banche, ben 219 milioni avevano già «fatto scattare le condizioni per cui è possibile la richiesta di rimborso anticipato», come è scritto nell’ultimo bilancio. Morale: Del Torchio ha dovuto riprendere il lavoro esattamente da dove l’aveva lasciato Ragnetti, la ricerca di mezzi freschi. Il compito, ovvio, non è facile. Lo scoglio più impegnativo è quello delle banche, con Intesa, Unicredit, Mps e Popolare di Sondrio in cima alla lista dei creditori. Roberto Colaninno, non a caso, ha deciso di affidare a Leonardo & Co - la banca d’affari guidata da Gerardo Braggiotti - il compito di tirare le fila su questo fronte e un primo punto della situazione dovrebbe essere portato sul tavolo del cda della prossima settimana. La partita è complessa: si tratta di negoziare un riscadenzamento del debito esistente e convincere gli istituti ad aprire i cordoni della borsa garantendo un altro po’ di prestiti. Operazione che equivale a una scommessa al buio sul nuovo piano industriale di Del Torchio. Non solo: alle banche sarebbe chiesto di fare da consorzio di garanzia per un aumento di capitale - stimato tra i 100 e i 150 milioni - da proporre ai soci vecchi e nuovi. E qui i nodi vengono al pettine. Molti degli azionisti minori della compagnia non hanno voluto (o potuto) fare la loro parte nel prestito obbligazionario di inizio anno. Immsi, Intesa, Benetton, Pirelli - e a maggior ragione i Riva che si sono visti sequestrare la loro quota del 10% nell’ambito della questione Ilva - non sono oggi nelle condizioni (o hanno la volontà) di firmare assegni a troppi zero e il rischio è che il rubinetto della liquidità resti mezzo chiuso costringendo le banche a tappare il buco. Del Torchio lo sa. E non a caso in queste ore si sta ragionando su un intervento a tappe: prima l’accordo per la ristrutturazione dei debiti con i creditori e l’apertura di nuove linee di finanziamento per qualche decina di milioni. Obiettivo, raccogliere quegli 80-100 milioni necessari per traghettare la società al 2014. Questa boccata d’ossigeno potrebbe consentire poi di affrontare con più calma il resto dei nodi da sciogliere, pianificando nei prossimi mesi gli interventi necessari per trovare gli altri 300 milioni necessari per il piano industriale dei prossimi tre anni. In questa occasione, ormai l’hanno capito tutti, si giocherà la partita del futuro azionario di Alitalia. E in campo per prenderne il timone (a parte un’offerta non troppo convinta di Aeroflot) sono rimaste solo Air France e Etihad. Gli scenari di scontro tra le due compagnie dipinti in queste settimane sono, va detto subito, senza fondamento. Parigi e Abu Dhabi sono già alleate in SkyTeam e l’aerolinea transalpina, già socia al 25% della società italiana, vanta un indiscusso “ius primae noctis” sul suo futuro. I due pretendenti, però, potrebbero trovare più conveniente trovare un’intesa preventiva. Air France non ha troppi soldi in cassa, è impegnata in una ristrutturazione interna e non ha molta voglia di consolidare nei suoi conti il miliardo di debiti di Roma. Negli ultimi tempi, oltretutto, ha manifestato una certa irritazione nei confronti di alcuni dei soci minori del vettore italiano, colpevoli, a suo dire, di cercare nuove alleanze. Etihad invece ha soldi e voglia di crescere: negli ultimi mesi ha rilevato partecipazioni in Aer Lingus, Air Serbia, Air Berlin, nell’indiana Jet Airways, in Virgin Australia e Air Seychelles. Alitalia (con cui ad oggi ha negoziato intese commerciali) le farebbe fare un salto di qualità sullo scacchiere europeo. Del Torchio e Colaninno, viste le carte in tavola, stanno provando a far cadere tutti i tasselli al loro posto. Obiettivo: mettere assieme i due promessi sposi nell’interesse di tutti e chiedere a loro di sottoscrivere un bel pezzo dell’aumento di capitale prossimo venturo. Togliendo le castagne dal fuoco ai piccoli (e poveri) soci italiani e gettando le basi per il salvataggio definitivo e reale della compagnia tricolore. Ovvio che a quel punto la cordata dei patrioti sarà soltanto un ricordo. E l’italianità di Alitalia - con buona pace di Silvio Berlusconi - pure. Air France avrà realizzato il suo sogno, conquistare il mercato del Belpaese, spendendo meno della metà di quello che aveva messo sul piatto nel 2008. Etihad si sarà ritagliato il suo pezzo di gloria in Europa. Gli azionisti della cordata dei patrioti potranno uscire di scena con meno perdite del previsto. Il cerino in mano, alla fine, sarà rimasto solo ai contribuenti tricolori, che hanno pagato quattro miliardi a fondo perduto per regalare Alitalia a chi cinque anni fa era disposto a comprarsela senza lasciare un centesimo di debito ai contribuenti italiani.

http://www.repubblica.it/economia/a...si_tentazione_araba_per_del_torchio-66603607/
 
L’ANALISI
“Low cost” e “cieli aperti” le due scelte che tarpano le ali alle compagnie di bandiera
ANCHE IN EUROPA SI ANDRÀ INEVITABILMENTE VERSO UN CONSOLIDAMENTO SUL MODELLO DEGLI STATI UNITI DOVE I VETTORI SONO RIMASTI SOLO IN QUATTRO. ALLEANZE E FUSIONI PER RIDURRE L’ECCESSO DI CAPACITÀ
Andrea Boitani

Un tempo, quando i cieli non erano liberalizzati, i cittadini europei pagavano cari i loro voli, interni e internazionali, ma le compagnie di bandiera prosperavano o, quantomeno, soppravvivevano dignitosamente (salvo qualche caso di gestione particolarmente inefficiente). Sui voli interni operava solo la compagnia nazionale e sulle rotte europee volavano solo le compagnie nazionali dei due paesi collegati, sulla base di accordi bilaterali che miravano a limitare i posti offerti e, perciò, a evitare che si formasse della capacità inutilizzata. Aerei pieni, prezzi elevati: per le compagnie di bandiera una cuccagna. Con la progressiva liberalizzazione dei cieli europei prima e con l'apertura dei cieli atlantici poi, le cose sono cambiate completamente. I cittadini hanno visto moltiplicarsi i servizi (più rotte, più servizi, network più connessi) e ridursi i prezzi. L'uso dell'aereo si è enormemente diffuso e, soprattutto, si è aperto a categorie sociali che prima ne erano del tutto escluse. Ma per le compagnie di bandiera o le loro “eredi” (dopo le privatizzazioni) sono cominciati i tempi duri. La concorrenza tra le stesse compagnie legacy e quella alimentata dalle nuove compagnie low cost e/o low fare ha provocato una vasta sovrapposizione di rotte, con tutte le compagnie eredi tese nello sforzo di “nutrire” i voli intercontinentali dal proprio hub nazionale con altri voli da tutte o quasi le città europee (feederaggio). Oggi, chi vive a Roma ha meno scelte per andare a New York

di chi vive a Catania, che può scegliere di passare per Roma, Madrid, Parigi, Francoforte, Londra o Milano Malpensa. Naturalmente, i passeggeri vengono contesi con tariffe che, per la doppia tratta, sono spesso inferiori al costo per la compagnia. D'altra parte, se ciascuna compagnia si limitasse a collegare il proprio hub nazionale con le varie destinazioni intercontinentali avrebbe, probabilmente, gli aerei mezzo-vuoti. In questo quadro, le compagnie low cost (o medium cost) hanno progressivamente sottratto alle flag companies prima il mercato del turismo intra-europeo e poi eroso parte di quello business con i loro servizi point-to-point tra aeroporti di primo livello (scrivo questo pezzo da Parigi, dove sono arrivato, per un convegno internazionale, con un comodo volo da Malpensa a 115 euro, andata e ritorno). La conseguenza di tutto ciò è la creazione di un consistente eccesso di capacità nella pattuglia delle compagnie aeree eredi delle vecchie bandiere nazionali. E l'eccesso di capacità si traduce per tutte in riduzione dei profitti e maggior fragilità nelle fasi avverse del ciclo e in crisi nera per gli anelli più deboli della catena (tra cui è stata ed ancora è Alitalia). Le alleanze e le fusioni di questi anni sono state il tentativo di ridurre l'eccesso di capacità. Negli Stati Uniti (dove la libertà dei cieli è più antica), le compagnie aeree sono rimaste quattro; in Europa sono ancora molte, nonostante che alcune si siano “federate”. I dati Iata più recenti parlano di una ripresa mondiale del traffico passeggeri dopo la grande gelata 2011-2012. A luglio si è registrato un incremento dei passeggeri del 5,5% rispetto al luglio 2012. Per gli operatori asiatici, però, l'incremento è stato del 6,3%, che si riduce a 3,7% e 3,6% rispettivamente per gli operatori europei e per quelli americani. I profitti delle compagnie sono globalmente in risalita (da -622 milioni di dollari nel secondo trimestre 2012 a +2179 milioni nel secondo trimestre 2013). Ma l’aumento del prezzo dei carburanti ha messo in allarme gli investitori: si è così avuta una discesa del 6% dei corsi azionari delle compagnie aeree quotate. Anche se i corsi rimangono più alti di un anno fa, le prospettive non appaiono rosee. Anche perché ci sono un paio di grandi avvoltoi che dispiegano le ali nei cieli del mondo: le compagnie del Golfo. Fly Emirates, con il suo ordine di 100 nuovi aeromobili, diventerà a breve la più grande compagnia del mondo. Carburante a prezzi di favore, l'asset di un hub (a Dubai) fatto apposta per connettere Oriente e Occidente, strategia di insediamento nei meno presidiati hub europei (o aspiranti tali, come Malpensa). Recente è l'accordo tra Emirates e Easy Jet per il quale, volando con la seconda sulle rotte europee, si guadagnano punti fedeltà per i voli intercontinentali della prima. La compagnia Etihad di Abu Dabi (altro emirato del Golfo) ha un obiettivo più o meno dichiarato di mettere insieme 500 aerei e non per tenerli parcheggiati nel deserto. La crescita di questi colossi medio- orientali farà crescere l'eccesso di capacità delle compagnie europee e americane. Si sente parlare di un piano del governo americano per frenare l'espansione degli emiri nei cieli del nuovo continente. In Europa, invece, molti sperano nei petrodollari degli stessi emiri per salvare compagnie e aeroporti in difficoltà. Intanto, è comparsa sui giornali la notizia di uno studio francese che suggerisce addirittura la necessità di una fusione tra Sky Team (Air France - Klm) e Star Alliance (Lufthansa e satelliti) per ridurre ancora l'eccesso di capacità e fronteggiare con conti più solidi l'attacco concorrenziale che viene dal Golfo. In questa lotta fra titani, le prospettive dell'Alitalia e dell'Italia sembrano marginali. Su quelle dei consumatori-passeggeri è rischioso scommettere.

http://www.repubblica.it/economia/a...o_le_ali_alle_compagnie_di_bandiera-66603596/
 
Recente è l'accordo tra Emirates e Easy Jet per il quale, volando con la seconda sulle rotte europee, si guadagnano punti fedeltà per i voli intercontinentali della prima.

Oggi, chi vive a Roma ha meno scelte per andare a New York di chi vive a Catania, che può scegliere di passare per Roma, Madrid, Parigi, Francoforte, Londra o Milano Malpensa.

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Eh già, hai proprio ragione.
La prima frase è palesemente falsa (è vero solo l'inverso) e la seconda è senza senso (forse che non si può partire da Roma e andare a New York facendo scalo negli aeroporti citati?).

Aggiungerei anche che la frase sui carburanti a prezzo di favore per Emirates, buttata lì così spesso, non l'ho mai vista davvero corroborata da fatti e numeri circostanziati,
a fronte di smentite perentorie e ripetute da parte di Emirates. Magari sarà anche vero, ma sarebbe interessante avere lo scoop circostanziato di come fa Emirates ad avere il carburante a prezzo di favore.
Anche se temo che semplicemente la maggior parte dei giornalisti si fermi al fatto di sapere che i distributori per autoveicoli degli EAU vendono la benzina a prezzi ridicoli,
e poco o nulla sappiano del mercato dei carburanti per aviazione.
 
Oggi, chi vive a Roma ha meno scelte per andare a New York di chi vive a Catania, che può scegliere di passare per Roma, Madrid, Parigi, Francoforte, Londra o Milano Malpensa.

Vi prego. Fermatevi un secondo, leggete e godetevi questa perla.

A scuola una delle prima cose che insegnano è di rileggere sempre quanto si è scritto, per verificare di non aver fatto errori e/o scritto minchiate.
Spero che questo "giornalista" si sia dimenticato di rileggere...
 
Un deja vù: la compagnia brucia ancora più quattrini di quelli che incassa, il piano di rilancio darà frutti - nel caso - a medio termine, i 95 milioni raccolti tra i soci con un prestito obbligazionario sono quasi finiti. Risultato: il cda del 26 settembre, convocato con il solito clima un po’ da ultima spiaggia, dovrà trovare la quadra per portare nelle casse di Alitalia in tempi brevi nuova liquidità. U n centinaio di milioni subito per garantire l’operatività. Altri 300 in tempi non troppo lunghi.

Quindi i 95 milioni del prestito dei soci sono quasi bruciati, servono 100 milioni di liquidità praticamente subito entro il cda di fine mese per garantire l'operatività e altri 300 diciamo entro fine anno
 
Stato
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