FIUMICINO FA DECOLLARE SOLO LE PROTESTE – L’AEROPORTO CADE A PEZZI MA AGLI AZIONISTI SONO ANDATI UTILI MILIONARI: PIÙ DI 50 MLN € NEL 2006 (PIÙ DEL COSTO DI UN SISTEMA NUOVO PER I BAGAGLI!) – TRA LE SOLUZIONI DEL NUOVO PRESIDENTE PALENZONA: NON DISTRIBUIRE DIVIDENDI PER 4 ANNI…
Mariaveronica Orrigoni per "L'espresso"
Nel 2006, l'anno dei Mondiali di calcio, mentre l'Italia diventava campione del Mondo contro la Francia, sugli aeroporti si giocava una partita diversa. A Parigi la società di gestione dello scalo francese spendeva per migliorare il Charles De Gaulle più o meno 700 milioni di euro. A Roma, nello stesso anno, gli investimenti non hanno sfiorato neanche i 60 milioni di euro.
fiumicino vistaaerea
Se si dividono i due valori per il numero di passeggeri, viene fuori che sotto la Tour Eiffel hanno sborsato 8,6 euro per ogni viaggiatore, contro gli 1,6 di Roma, che ha messo in bilancio la cifra più bassa di tutta Europa. Questa parsimonia non è stata applicata però ai dividendi: nello stesso anno Aeroporti di Roma, la società che gestisce gli scali romani, ha girato ai suoi azionisti per il 2005 un importo superiore ai 70 milioni di euro. Cioè più di quanto ha investito.
Nell'estate del 2009, tre anni dopo, sono cambiati i soci e i vertici, ma le polemiche sono rimaste sempre le stesse. Tempi biblici di attesa per i bagagli, infrastrutture inadeguate, rallentamenti nelle partenze che portano Fiumicino a essere incoronato come lo scalo più ritardatario d'Europa.
FABRIZIO PALENZONA - copyright Pizzi
L'Enac di Vito Riggio, che si sveglia sempre quando i buoi sono ormai scappati, ha minacciato le società di handling (additate da più parti come le principali responsabili dei disagi) di ritirare loro le licenze per la gestione dei bagagli. Continua così, sulle pagine dei giornali, l'eterno rimpallo di responsabilità tra l'Adr, che reclama aumenti tariffari, l'Enac, le compagnie aeree a partire dall'Alitalia, e i gli handlers che, dopo la liberalizzazione del 1999, sono accusati di farsi una guerra senza quartiere sulle spalle di lavoratori e passeggeri.
Perché il primo impatto con la città eterna per milioni di turisti è diventato il regno del disservizio all'italiana? Le cause vanno rintracciate nel passato, in una gestione che per anni ha solo preso e ha dato poco, con grandi azionisti che hanno usato l'azienda come un taxi: "La situazione di Adr è incancrenita", spiega David Jarach, professore di marketing alla Bocconi: "I vertici di oggi si sono ritrovati una zavorra enorme e finché non ci sarà un'iniezione di capitale non si potrà andare lontano". La zavorra di cui parla Jarach è l'enorme debito di Adr, l'eredità dell'operazione di leveraged buy out legata alla privatizzazione della società.
GIANNI ALEMANNO - copyright Pizzi
Siamo nel 1998, l'Iri decide di vendere al migliore offerente il gioiello dell'aviazione capitolina. Aeroporti di Roma fa gola a tanti, con un 1999 chiuso con 100 miliardi di lire di utile netto e ricavi per più di mille miliardi. Due anni dopo è il consorzio Leonardo a portarsi a casa il 51,2 per cento a una cifra esorbitante, duemila e 500 miliardi delle vecchie lire, con un indebitamento superiore all'80 per cento del prezzo di acquisto (per poi concludere l'operazione nel 2002 con un'opa lanciata sulla restante parte della società).
Capofila di Leonardo è la famiglia Romiti con Gemina (che ottiene la concessione fino al 2044), a cui si aggiungono i Falck e l'Italpetroli della famiglia Sensi, presto liquidati a suon di milioni di euro da Cesare e dai suoi cari. Agli italiani si affiancano ben presto gli australiani della Macquarie, un fondo specializzato nel settore aeroportuale che acquista il 44,74 per cento della società nel 2002 per 480 milioni di euro. Intanto il debito contratto dalla Leonardo per acquistare il controllo di Adr viene riversato sul bilancio di quest'ultima: circa 1,5 miliardi di euro, un importo che ogni anno si mangia solo in interessi il 30 per cento del margine operativo lordo.
Anche gli scontri tra i soci, quasi delle liti di condominio che fanno saltare cinque amministratori in sei anni, bloccano l'avvio del tanto strombazzato piano di investimenti: 2 miliardi di euro, destinati a lanciare Fiumicino nel futuro come nuovo hub in grado di accogliere 100 milioni di passeggeri, anche grazie a un'espansione immobiliare verso nord con Fiumicino 2.
A fare le spese di questi ritardi è l'intera struttura dell'aeroporto. Impianti dell'aria condizionata degli anni Settanta; il terzo sistema per la gestione informatizzata dei bagagli annunciato più volte e ancora inesistente, nonostante sia proprio la sua assenza il motivo per cui ad agosto anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha aspettato per ore le sue valigie. Ma non solo: i tapis roulant funzionano un giorno sì e l'altro no, l'asfalto delle piste è in pessimo stato e i finger sono in condizioni più che precarie.
Intanto, mentre i cordoni della borsa restano ben stretti sul fronte degli investimenti, la società distribuisce dividendi a piene mani: più di 50 milioni di euro per il 2006. Più di quanto costerebbe un sistema per i bagagli nuovo di zecca. Cambia però qualcosa nelle stanze del potere: a fianco dei Romiti in Gemina sbarcano i Benetton e il fondo Clessidra di Claudio Sposito, e nel 2007 arriva la svolta. Convinti gli australiani, con 1,2 miliardi di euro, ad abbandonare il campo, la partita resta tutta nelle loro mani.
CESARE ROMITI & FRIEND - copyright Pizzi
Alla fine, a spuntarla è la dinastia di Ponzano Veneto, che in pochi mesi diventa azionista di riferimento di Gemina (che a sua volta controlla circa il 96 per cento di Adr) attraverso Investimenti Infrastrutture Spa, comprando la quota dei Romiti (il 34,5 per cento) per una cifra intorno ai 100 milioni di euro e lasciando in minoranza il fondo Clessidra. Con la salata ritirata dei Romiti e degli australiani, per Adr comincia una stagione nuova: il management in carica dall'agosto 2007 approva il piano per colmare quel gap con gli altri scali europei di cui il nuovo presidente Fabrizio Palenzona si dice ben consapevole.
Un gap che si è scavato negli anni tra il 2001 e il 2007, quando la percentuale degli investimenti non superava il 15 per cento dei ricavi, cioè la metà rispetto ai competitor europei e ai livelli ante privatizzazione. Le prime mosse Palenzona le ha fatte: i dividendi non saranno distribuiti per i prossimi quattro anni e la prima pietra del nuovo Molo C, pomposamente annunciato da anni, è stata posata nel 2008.
All'appello mancava l'altro grande problema: quello delle tariffe aeroportuali, cioè il prezzo che le compagnie aeree pagano per poter atterrare e per i servizi d'assistenza, ferme al Duemila e il cui aumento Adr ha sempre chiesto a viva voce. Ora anche questo ostacolo, spesso e volentieri usato come alibi per i mancati investimenti, è stato superato: una norma ad hoc del decreto anticrisi del 2009 ha stabilito che le società di gestione degli scali con più di 10 milioni di passeggeri in Italia, cioè Sea (per Milano) e Adr, possono trattarle direttamente con l'Enac.
La rinegoziazione però era possibile già da due anni, grazie a una direttiva del Cipe approvata nel giugno 2007 per la nuova regolamentazione tariffaria basata sul metodo del 'price cap', ovvero su formule matematiche che legano i prezzi applicabili dai gestori a variabili numeriche (tipo la qualità dei servizi, l'efficienza e gli investimenti in programma). Novità che facevano prevedere ad Adr, come si legge nel bilancio 2007, "un negoziato tra le parti che dovrebbe ragionevolmente concludersi nel corso della prima parte del 2008". Ma a settembre 2009 tutto è ancora come prima.
La prova del nove è ora in calendario per Natale, quando i picchi delle vacanze rischieranno di mandare ancora una volta in tilt lo scalo romano.