Premessa: viaggiare con Sokol è un privilegio che ancora mi chiedo come possa essermi capitato, è certamente un’esperienza molto bella, ma è anche, per come sono fatto io, difficile: tanto lui è “viaggiatore”, tanto io sono più “vacanziero”. Tanto lui è irriverente, spregiudicato, libero, indipendente, tutto nel senso positivo dei termini, tanto io sono tendenzialmente rispettoso delle regole e delle direttive (lui dice cacasotto: avrà sicuramente ragione anche in questo). In breve, lui viaggia, io mi accodo e cerco di assimilare tutto quello che vedo, sento, ed ho la possibilità di vivere con lui. Ieri sera abbiamo avuto una lunga conversazione alle 3 di notte (mie) per le preoccupazioni di cosa e come scrivere: la sintesi l’ha fatta Sokol all’inizio dell’ultima parte di thread che ha pubblicata senza commenti. Ci penserà lui a dirvi quelle che sono le sue considerazioni e percezioni, io vi dico cosa ha lasciato a me questo viaggio. Anzitutto, è stato per certi versi più “facile” delle attese: pochissimi problemi per le foto (di fatto gli unici li ho avuti io, se di problemi si può parlare, visto che viaggiavo col “cannone” Canon), un gruppo enormemente affiatato del quale Sokol, sin dal briefing al ristorante a Pechino, è subito diventato leader indiscusso per il suo istrionismo e per il suo modo di vivere il viaggio (non questo in particolare: il viaggio come concetto). Personalmente, a proposito di foto, a me è stato chiesto, quasi sommessamente e senza troppa insistenza, di cancellare 4/5 fotografie nelle quali incidentalmente avevo ripreso militari in servizio; memore di questo, Sokol ha chiesto come mai nella zona più delicata da noi visitata (quella del 38° parallelo) ci sia stato consentito di fare fotografie a raffica con i militari in servizio, sorridenti e molto meno ingessati col passare dei minuti, senza che alcuno si permettesse di obiettare alcunchè: “E’ una zona turistica”, la risposta in sintesi. Vero, ci è stato detto che era preferibile non andare in giro da soli senza guide, senza imposizioni particolari, ma qualche allontanamento dal gruppo non ha creato malumori, preoccupazioni o altro. Certamente, passeggiate per le vie di Pyongyang da soli non ne abbiamo fatte, vuoi per i ritmi incalzanti del tour (si attaccava al mattino presto, verso le 8.30/9.00, si rientrava per le 21/22), vuoi perché la notte è buio pesto e c’è poco da vedere. Vero, abbiamo visto quello che era previsto vedessimo, al pari di tutti gli altri gruppi presenti, ma comunque si è trattato di cose interessanti (oddìo, il circo è stata un’enorme rottura di zebedei...). L’aspetto in questo senso che più mi ha colpito è stato, a posteriori, sentire dai miei genitori che nel lontano 1979, in occasione di un loro viaggio nella Mosca della guerra fredda, avevano fatto le stesse esperienze: noi siamo andati al teatro dell’Opera a sentire un concerto? Anche loro. Siamo stati portati a fare un giro in metropolitana? Anche loro. Ci hanno fatto vedere il Circo? Anche a loro... Il paese e le persone che abbiamo visto: un paese certamente con molta povertà, ma con gente sorridente e apparentemente felice. Se lo fosse per convinzione, per facciata, o perché semplicemente veramente felice non ho elementi per poterlo dire. Certamente, la parte di popolo che ho visto non era triste, e le foto lo dimostrano molto bene. Come ha detto Sokol, non abbiamo visto nessuno con il taglio alla Kim Jong Un, e questo un po’ ci ha rallegrato, non fosse altro che per questioni estetiche. Altrettanto certamente, non abbiamo parlato con i contadini e, fatta salva Kaesong, visto nessuna altra città o paese al di fuori di Pyongyang. Il loro grosso problema è il cronico deficit di energia elettrica: non hanno fonti di energia fatta salva quella prodotta dalla diga di Huichon, motivo per il quale aspettano che l’Occidente gli permetta di costruire le centrali atomiche, ovviamente a soli scopi civili e non militari. Ognuno è libero di credere alla campana che ascolta, la mia fortuna è quella di avere ascoltata anche la loro e di potermi fare un’opinione personale, per questo ve la riporto. Una cosa che mi ha colpito particolarmente è stata la visita all’asilo: il campo giochi “militare”, i bambini comandati a bacchetta a ripetere la stessa canzoncina appena arrivava il nuovo gruppo, i murales violenti contro il nemico imperialista sono tutte cose che non passano certo inosservate e che qualche riflessione la inducono nelle persone che hanno voglia di usare il cervello per riflettere e pensare. Avete potuto vedere la foto della lezione in classe: avreste dovuto assistere dal vivo, alla lezione! Per contro, i balli alla mass dance, le imbucate di Sokol ai pic nic nel Day of the Sun (giorno del compleanno dell’Eterno Presidente), le battute di molti del gruppo sono tutte cose fatte serenamente e senza chiedere il permesso e senza cazziatoni da parte di nessuno, ed i visi dei partecipanti stanno lì a dimostrarlo. Le guide che abbiamo avuto, tre ragazze molto giovani, hanno subito colto lo spirito di Sokol, e si sono dimostrate estremamente aperte, anche come mentalità: merito tutto suo, altri gruppi con i quali abbiamo avuto modo di parlare ci dicevano di grossi problemi legati alla rigidità delle guide ed alla impossibilità di fare fotografie. Vero è anche che alla richiesta di potere entrare in qualche negozio, fosse questo un parrucchiere o il minimarket, ci è stato garbatamente ma fermamente detto che non era possibile. Ed è un vero peccato non averlo potuto fare. Nessuno, però, ha detto nulla quando usciti dal centro botanico due ragazzini stavano giocando a pallone ed uno dei nostri compagni di avventura è andato a fare due tiri. Se avete fatto caso alle fotografie ed alla massa di persone che applaudiva, sorrideva ed era felice dello spettacolo, beh, sappiate che si è accalcata dopo che Sokol, ben spalleggiato da Dave e Chen ha dato inizio alla sfida DPRK/Resto del Mondo! Prima la situazione era questa

Anche questo è Sokol: ovunque tu vada e con chiunque tu sia, la capacità di coinvolgere il primo che passa è un dote tutta sua! Il ricordo e la sensazione più forti che, però, porterò dentro di me di questo viaggio è un altro: lo sguardo della giovane guida alla quale stavo mostrando una foto di mia nipote, e che mi ha chiesto se avessi altre foto dei miei viaggi. Fatte vedere alcune immagini, l’ultima sera le ho mostrato quelle del viaggio dello scorso anno in Bhutan, Thailandia ed India: l’espressione della fanciulla che, per quanto soddisfatta ed estasiata dalle immagini, tradiva una sorta di malinconia che ho interpretato come un “Non potrò mai vedere nulla di tutto ciò” è qualcosa che non si riesce a trasmettere con le sole parole. Mi auguro di avere contribuito a farvi capire un po’ di cose e di avervi data una chiave di lettura alternativa. Se siete curiosi, non mancherà alla fine del TR l’occasione di potervi togliere la curiosità. Ora lasciate che rientri nel mio sarcofago.