ALITALIA/ Italiani gufi o desiderosi di liberalizzazioni?
Andrea Giuricin martedì 24 marzo 2009
http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=14590
L’Italia è un «paese di gufi»? Riportare le notizie circa il cattivo andamento di Alitalia nei primi mesi di operatività significa vedere «sempre le cose in negativo» come ha affermato il presidente Roberto Colaninno lo scorso 19 marzo?
I
dati dichiarati dalla stessa azienda di trasporto parlano chiaro: il load factor, cioè il riempimento degli aerei, è molto basso e si situa circa 15 punti percentuali sotto rispetto a quello raggiunto nello stesso periodo dello scorso anno.
Certo, la crisi sta colpendo molto duramente il trasporto aereo, ma la partenza di Alitalia è stata alquanto difficoltosa.
Quasi tutte le compagnie stanno riducendo la propria offerta anche del 10%, ma proprio grazie a questa diminuzione dei posti offerti, il load factor delle compagnie concorrenti è solo in leggera diminuzione. Infatti, semplificando, se la riduzione dell’offerta è pari a quella della domanda, il riempimento degli aerei rimane sostanzialmente stabile[1]. Alitalia, invece, nonostante la riduzione importante dell’offerta sta subendo una contrazione molto più grande della domanda.
Non si tratta dunque di dovere fare o meno il “tifo” per la compagnia di bandiera; la sola preoccupazione per i cittadini italiani è quella di dover un’altra volta dover pagare come contribuenti la cassa integrazione dei lavoratori di un’azienda in difficoltà, dopo nemmeno un anno dal fallimento della vecchia Alitalia e dal licenziamento di circa 9 mila dipendenti tra AirOne e Alitalia.
La seconda preoccupazione che incide fortemente sulla volontà di essere supporter di una compagnia privata è legata al capitolo concorrenza. Se l’azienda non avesse certe posizioni di rendite da monopolio, molto probabilmente incontrerebbe maggiore approvazione da parte dei consumatori.
La legge 166 del 2008, la cosiddetta “Salva Alitalia” ha provocato l’impossibilità di intervento da parte dell’antitrust per tre anni nei casi di fusioni tra aziende effettuate fino al 30 giugno 2009. Siccome il merger tra Alitalia e Airone è avvenuto prima di tale data, l’autorità garante della concorrenza e del mercato in pratica non può intervenire laddove esistono delle posizioni di monopolio.
Queste posizioni monopoliste non sono preoccupanti da un punto di pura teoria economica, ma incidono profondamente sulle scelte dei consumatori.
Se la nuova Alitalia ha il 98% degli slot tra Linate e Fiumicino esiste un problema reale di concorrenza che non permette l’entrata di nuovi operatori su tale rotta. Lufthansa Italia ed Easyjet sono costretti a operare da Malpensa non per volontà, ma semplicemente perché non hanno disponibilità di slot su Linate. Partire dallo scalo di Malpensa non è esattamente la stessa identica cosa che avere come punto d’origine a Linate; per avere la riprova, basta domandare a un businessman.
Ma esiste questa posizione di monopolista sulle tratte interne? Molto probabilmente l’azienda potrebbe rispondere che esiste ormai la concorrenza del treno ad alta velocità: ma quanto dura il tragitto in treno tra Milano e Bari ad esempio? E
quale era la quota di slot detenuta da Alitalia con Airone tra Linate e Bari nello scorso terzo trimestre? La risposta è tanto ovvia, quanto tragica per il consumatore: il 100% degli slot era in mano al monopolista “aereo”.
Si vuole un’altra riprova? Com’è possibile che il piano industriale Alitalia, il cosiddetto “Piano Fenice” prevedeva nei prossimi anni il prezzo medio di un biglietto per il mercato domestico maggiore rispetto a un volo internazionale (non intercontinentale)? Forse sul mercato europeo esiste una forte liberalizzazione e una grande scelta, mentre sul mercato domestico si è chiuso alla concorrenza?
Infine come è possibile che il “Piano Fenice” preveda dei ricavi per posti chilometro offerto (RASK) superiore del 32% rispetto a quello della stessa Alitalia del 2007 sul mercato domestico, quando il mercato vede una caduta di questo indice a causa della contrazione della domanda? La differenza del 32% non è poca cosa: sono infatti 2,1 miliardi di euro in cinque anni per i viaggiatori sul mercato interno.
Si capisce bene che gli italiani, allora, forse non sono gufi, ma semplicemente preoccupati di dovere pagare per l’ennesima volta. Si capisce bene che se si vuole fare l’interesse degli italiani, sarebbe meglio intraprendere delle semplici azioni, quali la liberalizzazione degli slot, tramite l’introduzione di un mercato secondario (come suggerito tra l’altro dalla stessa Commissione Europea lo scorso 30 aprile) ed evitare che si possano creare situazioni di rendita da posizione dominante.
È facile capire che la concorrenza porterebbe benefici sia ai consumatori che a tutte le imprese che vogliono o devono spostarsi nel nostro paese e questo sarebbe ancora più importante in un momento di crisi economica come quello attuale. Liberalizzare è un concetto tanto semplice da enunciare quanto difficile da applicare, in Italia.
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[1] In realtà il load factor è dato dal rapporto tra RPK, Revenue Passenger Kilometers o la domanda di una compagnia aerea e l’ASK, l’Available Seta Kilometers, vale a dire l’offerta di una compagnia aerea