Provo a sporgermi sulla strada per vedere se arriva il nostro pullmino corazzato… mmm, no, non ancora. Quando arriva c’è una discreta folla, e, dato che ho già il biglietto per il ritorno, sono tra i “fortunati” che partiranno subito; gli altri dovranno attendere un minivan in arrivo da non so dove che li recupererà. Succede anche questo
La sera ceno nella cucina della guesthouse con prelibatezze locali – noodles precotti al curry, spiedini di pesce e verdure e frutta mista assortita, che viene dalle serre poste a sud, altrimenti costerebbe come un etto di ciliegie a Natale a Milano – e una fantastica birra autoctona da 2,25%. E già, le birre vendute nei super o sono analcoliche, o hanno il limite dei 2,25 gradi, tutti gli altri alcolici si vendono nei Vinbuð, spacci statali dedicati esclusivamente agli admin beoni

, oppure nei locali con licenza.
Stordito dall’eccesso di alcol, invece che stramazzare a terra senza sensi mi dedico a un po’ di fotografia notturna in giro per la città; non che abbia molto senso parlare di fotografia notturna dove il sole tramonta verso le 11 e alle 4 inizia ad albeggiare, lasciando sempre un po’ di chiarore…
La mattina sveglia presto, l’autobus per Reykjahlíð, sul lago di Mývatn, parte alle 8.30. Lungo la strada incroceremo il fiume Laxà, il nome di tanti fiumi qui, visto che vuol dire salmone e indica che lì se ne possono pescare in abbondanza. Durante una sosta anche qualche curioso veicolo…
Mývatn è una delle principali destinazioni turistiche del paese. Il lago, bello di per sé, è costellato da siti interessanti, come gli pseudo-crateri della zona sud, la zona si nidificazione protetta sulla costa nord-ovest, la zona vulcanica di Krafla e quella di Hverir, i campi di lava di Dimmuborgir; è inoltre base di partenza per le escursioni nell’interno (cratere dell’Askja e cascate di Dettifoss). Il lago presenta due seri problemi: l’instabilità climatica, in un giorno può piovere e uscire il sole anche quattro-cinque volte (anche se io ho visto quasi solo pioggia

), e i moscerini: Mývatn significa proprio moscerino. Lì ce ne sono di due tipi diversi, uno punge e l’altro no, in compenso sono fastidiosi uguali, si infilano nei capelli, nel naso, in bocca, nelle orecchie; sono davvero devastanti. Fortunatamente a Reykjahlíð c’è stato quasi sempre vento e i moscerini sono quasi sempre rimasti bassi senza arrecare troppo fastidio; dalla zona degli pseudo-crateri invece mi hanno fatto scappare.
Poco dopo le 10 arrivo a Reykjahlíð, il centro più grosso della zona, circa 300 abitanti; quasi tutte le case sono guesthouse, due gli alberghi, due i campeggi; c’è un supermercato, stazione di servizio, una chiesa, un centro turistico-informazioni e tre strade. Il resto sono turisti e (tante) cose da vedere.
Il giorno dell’arrivo decido di rimanere nei pressi, ieri ho camminato abbastanza e ho bisogno di far riposare un po’ il piede. Mi dicono che la camera della mia guesthouse sarà pronta solo verso le 14.30, quindi ho tempo di farmi un giro al tourist info e programmare le gite dei giorni successivi; trovo un depliant che pubblicizza voli turistici in zona, il prezzo non è proibitivo… mi indicano la strada per l’aviosuperficie e mi dicono di chiedere maggiori dettagli alla Myflúg, piccolo vettore con paperozzi che si dedica ad avioturismo e occasionali aerotaxi interni. In comune con Myair ha il significato del nome, e che hanno a che fare con dei “botti”. Dei conti economici, l’una, dei vulcani della zona, l’altra. L’aviosuperficie è appena più in alto rispetto al paese, la strada è un po’ in salita ma c’è un discreto panorama del lago e del campo di lava che si è formato nel 1974, quando si è fermato (miracolosamente, sostengono i locali) proprio davanti alla chiesa.
Entro nella casupola di Myflúg, un signore, credo il proprietario, pilota, segretario e magazziniere del vettore, mi accoglie con una tazza di caffè. Urka! Gli chiedo lumi sui voli turistici sul Krafla e l’Askja, tanto vale prendere il pacchetto completo di un’ora. Mi dice che purtroppo quei voli sono organizzati per almeno quattro partecipanti, tutti gli altri per due, a meno che non volessi affittare tutto il volo per me (un po’ costosetto in realtà). Mi dice che è previsto tempo da lupi, troppo instabile, ma di lasciargli il numero di cellulare che mi avrebbe fatto sapere se ci fosse stato qualche altro interessato e un miglioramento meteo. Mi richiamerà entrambi i giorni seguenti per dirmi che purtroppo non c’era nessuno, peccato; mi organizzo in altro modo. Molto gentile davvero.
Torno in paese, vado a mangiare un boccone e poi vado a fare un giro nei pressi, appena fuori dalla metropoli che vi si affaccia; mi sento un po’ il bambino della Chicco che deve farne di strada per scoprire il mondo… credo anche di aver infranto una proprietà privata, ma non ne sono sicurissimo, il cancello era aperto e sembrava un sentiro! E poi ho solo due foto e sono uscito, giurin giuretta.
Torno verso le quattro, dopo aver fatto un po’ di spesa, prendo le chiavi della mia stanza e mi metto comodo e rilassato. Appena in tempo! Dieci minuti dopo viene giù di tutto, le tende del campeggio sventolavano che era un piacere. Non mi rimane altro da fare che fare una doccia, leggere, cucinare, gustare un’altra ottima birra a 2,25 gradi, ascoltare l’ipod e chiacchierare con gli altri ospiti che nel frattempo sono arrivati. Le uniche che si godono la pioggia sono le papere che stazionano nel campeggio, piacciono ai turisti e lo tengono pulito, mangiando le briciole dei campeggiatori. Una signora francese mi dice che è il terzo giorno di fila che piove, e pensare ne pioverà altri tre, e sospetto anche di più
(cont.)