www.lavoce.info
DOVE APPRODA IL PRESTITO PONTE
di Mario Sebastiani 29.04.2008
Per essere utile il prestito ponte dovrebbe essere risolutivo per le sorti di Alitalia. Preludere cioè dell'arrivo di un acquirente certo. A queste condizioni neanche Bruxelles avrebbe da ridire. Alla compagnia serve non solo un partner finanziario, ma anche un partner industriale solido. Il socio finanziario dovrebbe immettere soldi freschi, quello industriale essere in grado di inserirla in uno dei grandi network europei. Air France rispondeva a entrambi i requisiti. Non altrettanto si può dire dei nuovi pretendenti. Soprattutto se tra questi c'è Sviluppo Italia.
Nell'articolo del 28 marzo affermavo che condizione essenziale per considerare il prestito ponte ad
Alitalia fuori dal campo di applicazione della normativa comunitaria sugli aiuti di Stato era che vi fosse un acquirente certo e che l'erogazione fosse risolutiva per la conclusione dell’operazione, tutte le altre condizioni dovendo essere già state soddisfatte. Era quanto si andava profilando con Air France-Klm. Un prestito senza prospettive certe sarebbe stato invece un aiuto a tutti gli effetti. Precisamente lo scenario che si va delineando dopo l’uscita di scena del gruppo franco-olandese.
DEBOLI ARGOMENTI
Sul fatto che il prestito ponte deciso giorni fa dal governo uscente, energicamente strattonato da quello a venire, sia a tutti gli effetti un
aiuto di Stato, c’è poco da discutere. Questo non significa di per sé che vada necessariamente escluso, poiché la Commissione dovrà valutare se, alla luce della normativa e della giurisprudenza comunitaria, l’aiuto sia compatibile con il Trattato. Conosco gli argomenti delle autorità italiane solo per quanto riportati dalla stampa: coesione territoriale, esigenze territoriali (della Lombardia, in primis, ritengo), pericolo di gravi turbamenti sociali, eccetera. E poi, naturalmente, il ponte per permettere l’arrivo del salvatore, possibilmente patrio.
Se sono tutti qui, gli argomenti mi sembrano debolucci, sotto il profilo del diritto della concorrenza:
a) la
coesione territoriale è certamente un obiettivo primario, ma il suo perseguimento (e l’approvazione delle relative misure da parte di Bruxelles) passano per tutt’altre strade; e comunque previa dimostrazione che il mercato non assicurerebbe spontaneamente questo obiettivo, dimostrazione che definirei sovrumana;
b) le esigenze territoriali porterebbero a inquadrare il prestito fra gli aiuti regionali, che il Trattato e la giurisprudenza comunitaria stabiliscono “possono essere considerati compatibili” se “destinati a favorire lo
sviluppo economico di regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso”; sfido chiunque a dimostrare (no: a sostenere) che sia questo il caso lombardo;
c) quanto al pericolo di
gravi turbamenti sociali (dell’ordine pubblico), qualunque crisi aziendale comporta drammatici problemi, che però l’Unione Europea e il buonsenso testardamente suggeriscono che andrebbero gestiti non mantenendo in vita l’impresa a suon di sussidi ma con ammortizzatori sociali (settoriali) o altro. L’argomento del governo è politicamente forte, ma giuridicamente debolissimo. Altrimenti tutti i processi di ristrutturazione e di risanamento industriale potrebbero essere allegramente posti a carico dello Stato.
Alitalia ha già ricevuto la dose consentita di aiuti per la ristrutturazione - che non sono serviti, va detto, anche a causa delle
condizioni vessatorie a suo tempo imposte da Bruxelles sotto la pressione dei concorrenti. E la prassi comunitaria stabilisce che possano essere erogati una volta sola. Fra le molte condizioni di ammissibilità, infatti, primeggia quella che l’aiuto deve poter essere
risolutivo. Non mancano tuttavia casi di aiuti reiterati nel tempo, sempre a condizione che stavolta siano “davvero risolutivi”. Vediamo perché nemmeno questo è il caso che ricorre oggi.
IL PARTNER IDEALE
Alitalia non ha solo necessità di un
partner finanziario ma, anche, di un partner industriale solido, meglio ancora un unico soggetto che assommi tutte e due le caratteristiche. Il partner finanziario dovrebbe essere un soggetto che mette soldi freschi, non uno che si fa protagonista della solita telenovela, il cui sviluppo è schematicamente il seguente: costituzione di una scatola societaria da parte degli acquirenti, indebitamento della stessa verso il sistema bancario, acquisto della compagnia con il denaro così ottenuto (magari anche ritiro delle obbligazioni emesse dalla stessa e primo piano di investimenti), fusione della compagnia con la scatola societaria acquirente: con il che l’indebitamento viene scaricato sulla società acquistata e peserà su di essa come un macigno. Non sarebbe avvenuto con Air France-Klm; prevedo che sia invece la conclusione della cordata “prossima ventura”: non era questo, sotto sotto, il disegno di Air One-Banca Intesa?
Il
partner industriale dovrebbe essere non solo uno del mestiere, ma anche in grado di inserire Alitalia in uno dei grandi network europei, che sono tre, capeggiati rispettivamente da British Airways, Lufthansa e Air France. Il secondo requisito assorbe il primo, ed è essenziale per il rilancio di Alitalia (per la sua stessa sopravvivenza), posto che soldi e capacità manageriale non bastano se manca il quadro internazionale.
È su questa base che vanno giudicati i potenziali acquirenti. Al momento in cui scrivo se ne sono ventilati quattro: Air One, Salvatore Ligresti, Aeroflot, Sviluppo Italia.
Air Onepotrebbe rispondere allo scopo solo a condizione che faccia da apripista a Lufthansa: non nel senso del “poi si vede”, ma in quello che la stessa compagnia tedesca entri fin dall’inizio nella partita – eventualità ripetutamente smentita dall’interessata.
Ligresti è certamente un grande imprenditore, ma non possiede nessuno dei due requisiti indicati: non vedo che “c’azzecchi”.
Aeroflot non porta in dote alcuna alleanza internazionale di peso. È sì una compagnia aerea, dunque è del mestiere, ma non brilla certo per capacità e indipendenza manageriale. C’è un che di ironico in questa soluzione: veramente pensiamo che il risanamento di Alitalia possa essere realizzato sottraendone il controllo allo Stato italiano per consegnarlo nella mani dello Stato russo? Sì perché Aeroflot è molto più di società a controllo pubblico, è una società a
controllo statale: una società (come Gazprom, ad esempio) la cui linea di azione è ferreamente dettata dal governo russo e dai suoi interessi strategici, come dimostra il rinnovato, improvviso interesse manifestato all’indomani del vertice fra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin. I quali interessi strategici sono così variegati da far sospettare che il suo eventuale intervento abbia assai più a che fare con contropartite su altri fronti (energia?) che con un genuino disegno industriale.
Un’apertura al mantenimento in mani italiane (dunque, all’ottimismo) viene però dal quarto soggetto tirato in ballo.
Sviluppo Italia non possiede alcuno dei requisiti indicati sopra, ma porta in dote un pedigree nazionale inattaccabile; addirittura è di proprietà dello
Stato italiano, che in questo modo potrebbe controbilanciare il potere dello Stato russo.
Un bel successo, non c’è che dire, trattandosi di una
privatizzazione che finalmente dovrebbe consegnare Alitalia alla logica del mercato.
Veramente pensiamo che l’intervento degli acquirenti di cui si parla possa essere giudicato “risolutivo” da Bruxelles? Sono abbastanza convinto che, magari trattando su un importo minore, magari facendosi garantire la (sacrosanta) concessione di diritti di traffico da Milano, la Commissione alla fine darà il proprio assenso un assenso tutto politico. Ma anche prescindendo dai fulmini comunitari, veramente pensiamo che sia questa la via risolutiva per le sorti a lungo termine della compagnia? Senza una sponda come Air France, temo che il “ponte” sia destinato a fare la fine delle tante opere lasciate a metà, che fanno bella mostra nel Bel Paese.