[TR] De otium, o dell’arte di non lavorare.


Scarab

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26 Aprile 2012
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Lavorando da un quindicennio nella Perfida Albione non ho mai avuto modo di capire appieno l’italica passione per il “posto fisso”, o il “lavoro a tempo indeterminato”. Io, a parte un brevissimo periodo all’inizio della mia carriera, ho sempre avuto “posti fissi”, permanent roles, chiamateli come vi pare. Ciò non vuol dire che sia sempre stato “al riparo”. Anzi, forse è vero il contrario.

Basta un invito dai capi per una riunione cui non è concesso di dire no. Si entra in sala riunione, o su Teams, e si vede – assieme ai soliti visi e facce note – anche il business partner di HR, e si capisce che c’è un siluro in acqua. L’HR BP mantiene la sua faccia compita, un misto tra Buddha e la principale odiosa nei film di Harry Potter, sai bene quale. Il capo di turno – mai il megadirettore cosmico, uno dei tirapiedi – legge un messaggio preparato in anticipo. In risposta ai cambiamenti dettati dalla situazione economica generale / nuova proprietà aziendale / cambiamenti strategici [delete as appropriate, o inventatevi qualche altra minchiata] siamo costretti a informarvi che le vostre posizioni sono a rischio. A seguire altre formalità, e via che iniziano le danze.

Come dicevo, nella mia quindicennale carriera di travet, mi sono trovato in questa situazione… mmmh, se ci penso bene non ne sono sicuro. Direi almeno cinque volte. Si, almeno cinque. E sono sempre riuscito a sfangarmela; vuoi ri-applicando per il mio lavoro o cambiando impiego e compagnie, in modo strategico. Ma, alla fin fine, anche i più veloci vengono acchiappati e, a settembre 2025, è il mio turno.

Me ne vado dal datore di lavoro di turno senza troppi rimpianti, senza lacrime, e senza mandarli a quel paese; la realtà è che – alla fin fine – ne ho avuto abbastanza pure io. Per cui, a tutti quelli che mi dicono “mi dispiace”, rispondo di non farlo. Anche perchè io sono il primo pinguino a buttarsi dall’iceberg; la scure sta calamdo su tutti.

L’aziendalismo è cosa ancor più stupida della fede calcistica. All’azienda non importa del dipendente u155955, non importa delle settimane passate lavorando dalle 7 di mattina alle 18 di sera, senza pausa pranzo, 5 giorni la settimana e anche qualche weekend. Il dipendente è un asset, una risorsa, e quando è il momento di andarsene ecco che un altro asset, un'altra risorsa, dirà al dipendente che deve sgomberare la scrivania e via.

Era il mio turno e, sinceramente, meglio così. Perché ora, per la prima volta in 15 anni, davanti a me ho almeno un mese dedicato a fare qualunque cosa tranne che guadagnarmi la pagnotta. Infatti, è giunto il momento di spenderla, e poi si vedrà.

Come è la moda degli spot pubblicitari delle case farmaceutiche, un disclaimer: questo sarà un TR lungo. Eterno, quasi. Roba che mi direte, ne sono sicuro, “mobbastaveramenteperò”. Sarà anche un itinerario convoluto, complesso, soggetto a cambiamenti. E sarà anche un itinerario fatto in presa diretta, o quasi. Proverò, insomma, a fare un resoconto a fine giornata di tutti gli eventi. Posto che riesca (e che interessi).

L’unica costante, anzi le uniche due costanti, saranno: velocipedi e barbonismo. Perché così si vuole dove non si può ciò che si vuole, e più non domandate. Ecco, ora che siamo tutti ben intesi, è il momento di iniziare.

A stasera, si spera (tò fa pure rima!)
 
Grande e bentornato nel club!
Mai stato attratto dai posti fissi, ogni volta che me ne sono andato (per scelta o per necessità), sono sempre cresciuto.
Tanti che conosco invece sono rimasti incollati alla loro confort zone ed al relativo ruolo/RAL formato mignon.

Condivido anche qui la metafora dell’aragosta, molto ben spiegata in questo video:


Ad maiora semper.
 
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L’aziendalismo è cosa ancor più stupida della fede calcistica. All’azienda non importa del dipendente u155955, non importa delle settimane passate lavorando dalle 7 di mattina alle 18 di sera, senza pausa pranzo, 5 giorni la settimana e anche qualche weekend. Il dipendente è un asset, una risorsa, e quando è il momento di andarsene ecco che un altro asset, un'altra risorsa, dirà al dipendente che deve sgomberare la scrivania e via

Quanta verità in così poche parole.
 
Giorno 0. La prima (di 3) partenze.


16 ottobre; il clima a Londra è passato dall’estate indiana di fine settembre a quel grigio BMW che, lo scorso inverno, ha dominato la metà del tempo (l’altra metá è stata pioggia). È il momento di partire, destinazione - da buon emigrante valigia di cartone - il paesello, Biella.

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Come dicevo, il tempo è lugubre sopra il Gallaratese di Londra Ovest.

La Piccadilly dice di avere un “buon servizio” ma ad Acton aspetto 5 minuti per un treno che vada verso Heathrow. Ne passa uno per T4, per cui scendo a Hatton Cross. Lí leggo che il prossimo treno per T5 arriverà in 13 minuti. Per cui eccovi una immagine della bellissima stazione di Hatton X in tutto il suo splendore.

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Sbologno il feretro al banco dove un (ex) collega mostra un epico elemento di gioielleria che cosí vi rappresento. Pensate a un anellone in argento, con al posto del brilloccone un piccolissimo orologio. Gli chiedo se funziona e lui mi fa “oh si! It’s a ring watch!”. La moda avanza a passi da gigante, vi dico.

Vado airside in un battibaleno; prendo un paio di hot bao buns al cavolo (giusto per essere popolare in aereo) e guardo fuori dove le operazioni fervono malgrado il tempo plumbeo. Fortunatamente le vacanze estive sono finite e i bambini non sono piú ovunque in aeroporto. Rimane però la piaga, veramente impossibile da evitare, della persona che cammina 27 centimetri al minuto, senza la minima idea del fatto che sono locati in mezzo alle gonadi dell’intero universo mondo.

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Ma basta brontolare che è il momento di imbarcare. Per una volta ho preso un finestrino, e sono su uno di quei A320neo presi durante l’era Cruz, quello con le panche dopo le uscite di emergenza, le cappelliere grosse e con i divisori tra business e barbons che se li guardi si rompono. Volo pieno, e la stagione invernale è giá iniziata a giudicare dai Moncler a bordo.

A differenza del 320 di EZY con cui ho volato un paio di settimane fa, ci sto con le ginocchia (e seduto composto come diceva mia nonna!).

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Al nostro fianco abbiamo un 320ceo in modalitá oneworld.

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Boarding complete, un po’ in anticipo, per cui aspettiamo lo slot. Se non fosse che c’è un danno a bordo, causato nella rotazione precedente (scopriró che si tratta dell’ineffabile Aviapartner di Amsterdam), e quindi ecco una bella attesa di 30 minuti. Sistemato il tutto, siamo pronti per andare con un quarantacinque minuti di ritardo e tanti auguri ad AMS.

Va bene che c’è davvero un niente di taxiing.

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E siamo su, sopra le nuvole, in un attimo.

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Mi metto a guardare la puntata odierna di Slow Horses, una serie di AppleTV che vale l’abbonamento da sola. Gary Oldman che dice alla sua banda di pellegrini Let’s go, fuckwits! è qualcosa che mi riempie di gioia e dedicherei a tanta gente.

Il volo è breve, e alle 21:30 - in ritardo di una ventina di minuti - arriviamo a MXP dove l’handler è già pronto con le valigie del prossimo volo, inclusa una in cima all’AKE.

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A quest’ora l’HUB è tranquillo. Faccio il km per il controllo passaporti, aspetto una diecina di minuti per la consegna delle valigie out of gauge (ottima performance, brava Aviapartner MXP, potreste dare una mano ai vs cugini olandesi?) e all’Avis ritiro una Renegade rossa mattone che fa ridere i polli ma fa il suo lavoro. Autostrada ai 150 nel pieno rispetto dei limiti di velocità e sono a Biella. Anzi, abbiella, per i prossimi 3gg.
 
Vai, pedala! Che l'incipit è, forse, ancor più intrigante del solito.

E il prosieguo è intrigantissimo! Biella, ovviamente.

Grande e bentornato nel club!
Mai stato attratto dai posti fissi, ogni volta che me ne sono andato (per scelta o per necessità), sono sempre cresciuto.
Tanti che conosco invece sono rimasti incollati alla loro confort zone ed al relativo ruolo/RAL formato mignon.

Condivido anche qui la metafora dell’aragosta, molto ben spiegata in questo video:


Ad maiora semper.

Assolutamente. Fa solo ridere vedere la pletora di imbecilli che sta facendo il disastro in cui sono rimasto coinvolto io. Giusto oggi ho scoperto che stanno per segare le ultime sacche di know-how su certi sistemi parecchio importanti. Gente che domani si troverà a lavorare per altre compagnie con un 20/30% in piú in busta paga, mentre chi li ha licenziati si troverà in una montagna di me*da. Ma i miei ex capi sono tutti proudly ex-McKinsey.

Comincia però ad aggiustare 'sto latinorum, barbun! 😁

Celta sono!

Aspettiamo questa sera. In quale fuso orario?

In futuro gli orari saranno ancora piú sballati!

Vai scarab!
E ovviamente vogliamo solo velocipedi scarab 😉

Ça va sans dire.

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Quanta verità in così poche parole.
La cosa piú brutta è vedere colleghi che hanno sputato il sangue per la compagnia, gente che ha fatto le notti, che ha lavorato 24h di seguito, venire segata cosí. Ieri ho consolato una mia ex collega. 35 anni di lavoro per la compagnia, fatto tutto, visto tutto, era a lavorare quest’estate con 45 gradi centigradi con gente che sveniva e lei pure a digiuno perchè c’era il Ramadan. Deve mandare il CV ai capi e dimostrare “il valore aggiunto” che dà. Non dico ciò che penso perchè so che leggono.


Fatto!
 
Lavorando da un quindicennio nella Perfida Albione non ho mai avuto modo di capire appieno l’italica passione per il “posto fisso”, o il “lavoro a tempo indeterminato”. Io, a parte un brevissimo periodo all’inizio della mia carriera, ho sempre avuto “posti fissi”, permanent roles, chiamateli come vi pare. Ciò non vuol dire che sia sempre stato “al riparo”. Anzi, forse è vero il contrario.

Basta un invito dai capi per una riunione cui non è concesso di dire no. Si entra in sala riunione, o su Teams, e si vede – assieme ai soliti visi e facce note – anche il business partner di HR, e si capisce che c’è un siluro in acqua. L’HR BP mantiene la sua faccia compita, un misto tra Buddha e la principale odiosa nei film di Harry Potter, sai bene quale. Il capo di turno – mai il megadirettore cosmico, uno dei tirapiedi – legge un messaggio preparato in anticipo. In risposta ai cambiamenti dettati dalla situazione economica generale / nuova proprietà aziendale / cambiamenti strategici [delete as appropriate, o inventatevi qualche altra minchiata] siamo costretti a informarvi che le vostre posizioni sono a rischio. A seguire altre formalità, e via che iniziano le danze.

Come dicevo, nella mia quindicennale carriera di travet, mi sono trovato in questa situazione… mmmh, se ci penso bene non ne sono sicuro. Direi almeno cinque volte. Si, almeno cinque. E sono sempre riuscito a sfangarmela; vuoi ri-applicando per il mio lavoro o cambiando impiego e compagnie, in modo strategico. Ma, alla fin fine, anche i più veloci vengono acchiappati e, a settembre 2025, è il mio turno.

Me ne vado dal datore di lavoro di turno senza troppi rimpianti, senza lacrime, e senza mandarli a quel paese; la realtà è che – alla fin fine – ne ho avuto abbastanza pure io. Per cui, a tutti quelli che mi dicono “mi dispiace”, rispondo di non farlo. Anche perchè io sono il primo pinguino a buttarsi dall’iceberg; la scure sta calamdo su tutti.

L’aziendalismo è cosa ancor più stupida della fede calcistica. All’azienda non importa del dipendente u155955, non importa delle settimane passate lavorando dalle 7 di mattina alle 18 di sera, senza pausa pranzo, 5 giorni la settimana e anche qualche weekend. Il dipendente è un asset, una risorsa, e quando è il momento di andarsene ecco che un altro asset, un'altra risorsa, dirà al dipendente che deve sgomberare la scrivania e via.

Era il mio turno e, sinceramente, meglio così. Perché ora, per la prima volta in 15 anni, davanti a me ho almeno un mese dedicato a fare qualunque cosa tranne che guadagnarmi la pagnotta. Infatti, è giunto il momento di spenderla, e poi si vedrà.

Come è la moda degli spot pubblicitari delle case farmaceutiche, un disclaimer: questo sarà un TR lungo. Eterno, quasi. Roba che mi direte, ne sono sicuro, “mobbastaveramenteperò”. Sarà anche un itinerario convoluto, complesso, soggetto a cambiamenti. E sarà anche un itinerario fatto in presa diretta, o quasi. Proverò, insomma, a fare un resoconto a fine giornata di tutti gli eventi. Posto che riesca (e che interessi).

L’unica costante, anzi le uniche due costanti, saranno: velocipedi e barbonismo. Perché così si vuole dove non si può ciò che si vuole, e più non domandate. Ecco, ora che siamo tutti ben intesi, è il momento di iniziare.

A stasera, si spera (tò fa pure rima!)

Condivido tutte le tue considerazioni sul lavoro, in Italia abbiamo una mentalita' totalmente sbagliata e controproducente.
Il posto fisso che in realta' e' un "posto per sempre" tiene a freno la produttivita' e i guadagni dei lavoratori.
Cambiare lavoro piu' volte ( con contratti indeterminati) e' un sintomo di un mercato del lavoro sano.

In bocca al lupo per la tua futura carriera, io intanto mi godo il TR
 
Giorno 1. OT Biellese, prima parte: la catena di Pantani.

Seaking voleva corposo OT biellese, e questo avrà. E vi garantisco che, al termine di questa tre giorni di OT, vorrete trasferirvi a Biella. Oppure chiederete al Donald di vaporizzarla con un missile nucleare, tertium non datur.

Iniziamo con un momento storico. L’anno è il 1999, tarda primavera. C’è il Giro, e ovviamente questo vuol dire Marco Pantani. Il Pirata è in maglia rosa all’inizio della 15ma tappa, primo con 53” su Paolo Savoldelli e 1’21” su Ivan Gotti. Racconigi-Oropa, un piattone epico fino alla scalata finale. 12 km e circa 500 metri di dislivello. Oggi ripercorreremo quell’epica salita.

Preso un caffè propiziatorio con Scarab Sr in piazza, è ora di partire mentre turbe di ragazzini di ogni sesso e colore, ma ugualmente zarri, si avviano verso la mia vecchia scuola media. Ai miei tempi si chiamava Schiapparelli, egittologo, mentre ora i cattofascisti (Biella è passata dalla DC alla Lega con Tangentopoli e non ha mai cambiato sponda) l’hanno ribattezzata San Francesco.

Il cielo è bigio come a Londra, temperatura simile.

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Parto forte e mi bevo la salita di Cossila prima di rendermi conto che l’ho fatta. Mi fermo solo al punto piú importante della salita.

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Quel giorno me lo ricordo. Con alcuni amici delle medie (troppo giovani per scoprire le droghe, troppo pirla per pensare alla gnocca, troppo poveri per i videogame, restava il ciclismo) salimmo a Oropa per vedere l’arrivo, dal sentiero di Sant’Eurosia. La vittoria di Pantani non era scontata, era ga-ran-ti-ta. Ovviamente non c’erano cellulari, Internet, Twitter. Siamo su al Prato delle Oche e si inizia a sentire che Pantani ha forato. Anzi no gli è caduta la catena. No, l’ha proprio divelta. Come Fantozzi e colleghi al cineforum, gli astanti all’arrivo di Oropa ne inventano di ogni. La catena è partita via e ha ferito una vecchia. Ha piegato il pacco pignoni con la forza dei suoi adduttori. Ha divelto la ruota a bestemmie.

La realtà era che a Pantani cadde la catena e, tra una bestemmia e l’altra, perse 40 secondi per risistemarla. Ora, fosse stato un Remco Evenepoel qualsiasi, Pantani si sarebbe messo a dar calci alle borracce e ciao. Ma non Marco, non lui. Con la sola forza delle sue gambe (e di una mezza damigiana di Epo, ma lasciamo perdere questi dettagli) il Pirata li ripiglia tutti. Rimonta 40 secondi in 10km di salita e arriva primo ai cancelli del Santuario. Apoteosi tra gli astanti.

Comunque, siamo ancora un po’ distanti. Ce n’è di salita. Passo per l’altra Cossila (San Grato e San Giovanni, a scelta nell’ordine), poi il Favaro. Lì c’è un’istituzione storica biellese. Aguzzate la vista; la vedete?

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No? Vabbè vado piú vicino, aspetta.

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OGGI POLENTA E CERVO.

Ignoro il nome della trattoria, penso che non lo sappiano nemmeno i gestori. Fattostà che questo cartello, che promette uno stufato di polenta e capriolo, è lí almeno dall’anno Domini 1974, allorquando mia mamma, allora ventiduenne, si trasferì a Biella da Milano seguendo un impulso che, per i successivi 40 anni, non seppe spiegarsi. Vide il cartello, e fermò la sua Bianchina per mangiare polenta e cervo. Perchè cosí si deve fare.

La salita continua, la temperatura cambia, e le foglie passano dal verdino pallido al giallo, e poi al rosso.

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Breve intermezzo brontolone: vedete i tre archi in pietra sulla sinistra? È ció che resta del vecchio trenino/tram che, dalla stazione di Biella San Paolo, portava a Oropa. Biella aveva anche linee di tram che andavano nei vari paesi, una bella rete costruita tra l’Unitá d’Italia e il Primo Dopoguerra. Tutto smantellato negli anni ‘50 e ‘60 perchè i bus sono piú fighi e gli Agnelli - maledetti loro e gli Elkann loro discendenti - c’han da vendere i bus e quelle porcate delle 600.

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La fine della salita è nella faggeta, che ora è veramente rossa. L’iPhone non rende, e non posso fare editing senza il PC, ma fidatevi.

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L’ultimo rettilineo. Ricordo Pantani che saliva qui a razzo.

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Ed eccoci al Sacro Monte.

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Non può mancare la mia Parámo.

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Mi prendo un caffè da una giovane ed avvenente barista. Ai miei tempi, qui a Oropa, c’erano solo carampane. Sono veramente nato nel decennio sbagliato, tantopiú che riconosce Jeffrey “The Dude” Lebowski che veglia sul mio casco.

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Ma continuiamo in costa lungo il cosiddetto Tracciolino, una strada (a volte panoramica, a volte boschiva, quasi sempre dissestata) che collega Oropa con Graglia e, volendo, Andrate sulla Serra d’Ivrea.

La vista qui è epica, se solo ci fosse bel tempo si potrebbero vedere Torino e Milano, piú gli aerei da Malpensa. Capita a volte di rimanere abbagliati dal riflesso del Rolex di Dancrane. Non oggi.

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Siccome ci sono anche solo 6 gradi centigradi metto su l’antivento e quindi non ho piú accesso al telefono, ma vi spiego che succede.

Si schivano torte di vacca (in biellese sciunte) per una quindicina di km fino al bivio della
Bossola. Di li si scende verso Graglia, zona che non mi piace per due motivi prettamente piemontesi:

1) il santuario è troppo internazionale. Cianno le bandiere di mezzo mondo, fanno i raduni di yoga, c’è andato pure il Dalai Lama. Esageruma nen.
2) a Graglia c’è la sede della Lauretana, l’acqua piú leggera d’Italia / d’Europa / del Mondo / del Sistema Solare / della Galassia / dell’Universo a noi visibile. Ora, niente da dire sull’acqua in sè. È bagnata quanto basta, se la metti in frigo è pure fredda, e quella gasata consente di produrre rutti misurabili sulla Scala Mercalli, ma la sua presenza causa un traffico di mezzi pesanti indescrivibile su una strada che, a tutti gli effetti, è di montagna. Anche oggi, scendendo, incontro TIR, camion, motocarri e bilici a non finire. A parte il fatto che, qualora dovessi trovarne uno intento a tagliare un tornante, finirei come una zanzara contro la motrice di un Regionale Veloce, l’impatto sulla zona non è per niente basso. La strada per Graglia è l’unica che viene riasfaltata di continuo, prosciugando il magro (pensate all’Armenia nel 1995) bilancio biellese. Ma tant’è, miliardi di bocche necessitano della Lauretana.

Comunque, passo indenne il traffico di mezzipppessanti, affronto i due paesi di Occhieppo Superiore ed Inferiore (cristiani: 600; rotonde: 10^6), entro a Biella nella sempre trafficata Via Ivrea e, siccome mi mancano 100 metri per fare 1000 di dislivello, torno a casa dal Piazzo, il cuore antico di Biella. Eccovi Piazza Cisterna colta in un attimo di estremo fermento.

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Bene per oggi è tutto, stasera ho una cena “impegnativa”. Vi lascio giusto con uno screenshot di Strava, perchè se non è su Strava, allora non è mai successo.

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Per la polenta (senza cervo) a Oropa c'era una volta il ristorante Croce Bianca, specializzato nella variante polenta concia (il trionfo del colesterolo, ma c'è da leccarsi i baffi fino agli orecchi) e nelle trote. Spero che il livello si sia mantenuto.
Visto che avevi il mezzo adatto alla circostanza, perché invece di svoltare a sinistra per il Tracciolino non hai tirato a diritto per la galleria Rosazza e l'altro santuario del Biellese, quello di San Giovanni di Andorno?
La rotondite è una malattia che colpisce gli assessori ai lavori pubblici di mezza Italia: vieni a fare un giro nel Pratese ... dove prosperano quelle diametro 2 metri -e che anche se non vuoi finisci per tagliarle perchè con quei raggi di curva non c'è verso di girarci ammodino-, normalmente solo dipinte sull'asfalto ma ogni tanto anche con pilastro o cordoli in mezzo.
 
Mai e poi mai avrei creduto di poter vedere un OT su Biella!!!
Per la polenta (senza cervo) a Oropa c'era una volta il ristorante Croce Bianca, specializzato nella variante polenta concia (il trionfo del colesterolo, ma c'è da leccarsi i baffi fino agli orecchi) e nelle trote. Spero che il livello si sia mantenuto.
C'è ancora, c'è ancora. Quando la mangi è come bere burro. E godi.
 
Condivido tutte le tue considerazioni sul lavoro, in Italia abbiamo una mentalita' totalmente sbagliata e controproducente.
Il posto fisso che in realta' e' un "posto per sempre" tiene a freno la produttivita' e i guadagni dei lavoratori.
Cambiare lavoro piu' volte ( con contratti indeterminati) e' un sintomo di un mercato del lavoro sano.

In bocca al lupo per la tua futura carriera, io intanto mi godo il TR

Beh, se non altro, sarebbe meglio avere un po’ piú di tutele per quanto riguarda concertazione e licenziamenti (in UK). Grazie per gli auguri e per leggere!

1 - Quello è un cappuccio
2 - Dove sta la foto della barista?
3 - Hai invertito l'ordine di importanza tra la fotografia inserita e quella celata.

1 - pistino
2&3- poteva essere tua bisnipote, vergognati! 😆

Quello che m'ha regalato soreta, fetente!

È proprio un brava ragazza!

Per la polenta (senza cervo) a Oropa c'era una volta il ristorante Croce Bianca, specializzato nella variante polenta concia (il trionfo del colesterolo, ma c'è da leccarsi i baffi fino agli orecchi) e nelle trote. Spero che il livello si sia mantenuto.
Visto che avevi il mezzo adatto alla circostanza, perché invece di svoltare a sinistra per il Tracciolino non hai tirato a diritto per la galleria Rosazza e l'altro santuario del Biellese, quello di San Giovanni di Andorno?
La rotondite è una malattia che colpisce gli assessori ai lavori pubblici di mezza Italia: vieni a fare un giro nel Pratese ... dove prosperano quelle diametro 2 metri -e che anche se non vuoi finisci per tagliarle perchè con quei raggi di curva non c'è verso di girarci ammodino-, normalmente solo dipinte sull'asfalto ma ogni tanto anche con pilastro o cordoli in mezzo.

La Croce Bianca è un po’ troppo altolocato per me. Io vado sempre alla Latteria, forte di un rating 2.8 su 5 su Google, dove la lingua franca è il piemontese, la concia servita a secchielli e la bestemmia, pur essendo in un santuario, è ammessa.

Ah e il rutto è libero.

Mai e poi mai avrei creduto di poter vedere un OT su Biella!!!

C'è ancora, c'è ancora. Quando la mangi è come bere burro. E godi.

Biella, de pleis tu bi.
 
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