Ita Airways, il ceo Eberhart: «I conti migliorano, il pareggio è vicino, ma abbiamo troppi aerei fermi»
di Leonard Berberi
FIUMICINO — Nei primi sei mesi di quest’anno Ita Airways ha migliorato di quasi il 50% il suo risultato operativo. L’ultima riga del bilancio resta comunque in rosso, al netto dell’effetto positivo — e straordinario — del cambio favorevole euro-dollaro. «Ma la compagnia è sulla strada giusta per il pareggio già nel 2025», confida l’amministratore delegato e direttore generale Joerg Eberhart durante la chiacchierata con il
Corriere. Eberhart, al comando dallo scorso gennaio — quando Lufthansa è entrata nel capitale di Ita con il 41% — non nasconde le complessità, pur con il trimestre estivo che si sta chiudendo in utile.
L’azienda in questo periodo vola con un quinto della flotta — una ventina di velivoli — a terra per diversi motivi, stando ai dati forniti dalla piattaforma specializzata ch-aviation. E questo ha avuto un impatto negativo sui ricavi, conferma il manager. Sullo sfondo si agitano i sindacati, che chiedono — tra le altre cose — un piano industriale 2026-2030 più ambizioso di quello annunciato a luglio. Ma il mantra di Eberhart, ripetuto più volte, è semplice: non si sprecano soldi (che sono anche pubblici: l’altro 59% è in mano al ministero dell’Economia) per un’espansione aggressiva e rischiosa, non si avviano rotte che non funzionano già sulla carta, figurarsi nella realtà. L’obiettivo è mettere l’azienda nelle condizioni di iniziare a generare utili.
Partiamo dai dati del primo semestre di quest’anno.
«Abbiamo trasportato 8,1 milioni di passeggeri — in linea con l’anno scorso, ma con un incremento del 15% sui voli intercontinentali. Il tasso di riempimento medio dei velivoli è stato dell’82%, contro il 79% del 2024. Sul fronte economico i ricavi totali sono stati 1,5 miliardi, 100 milioni in più rispetto all’anno scorso».
E verso le ultime righe del bilancio?
«Nei primi sei mesi abbiamo ottenuto un Ebit di -46 milioni, migliorato di 40 milioni rispetto allo stesso periodo del 2024».
A quanto ammonta il risultato netto?
«Andiamo meglio dell’anno scorso, anche sopra il budget».
Ancora in negativo quindi.
«Abbiamo l’Ebit negativo per 46 milioni, poi ci sono i contratti di leasing, circa 50 milioni. Quindi siamo ancora negativi per circa 100 milioni».
Ma mancano ancora i mesi in cui si fanno i soldi.
«Sì, luglio, agosto, settembre e ottobre sono tutti mesi forti. A novembre e dicembre si perde più o meno quello che si guadagna a ottobre, quindi il risultato a fine settembre spesso coincide con quello finale».
Ecco, com’è andata l’estate?
«Tra luglio e agosto abbiamo trasportato quasi 3 milioni di passeggeri, il 14% in meno rispetto allo stesso bimestre dell’anno scorso, con un tasso di riempimento dell’86% (contro l’84% del 2024). I ricavi sono calati del 6%, meno rispetto ai passeggeri: significa che il margine è stato migliore».
Come mai questo calo di passeggeri mentre il mercato è cresciuto?
«La causa principale sono i problemi ai motori di nuova generazione Pratt & Whitney, che riguardano tutto il settore. Sono installati sui nostri Airbus A320neo e A220. Questi problemi sono più gravi di quanto previsto sei mesi fa: stimavamo 8 aerei fermi quest’anno e invece sono 15».
Quasi il doppio. Com’è possibile?
«Perché quando si apre un motore per le ispezioni si trovano problemi che non si vedono dall’esterno, e quindi bisogna intervenire».
Ci sono però altri 5 aerei a terra...
«Questo è dovuto alla manutenzione, che ci pone la sfida di ottimizzare l’interazione tra noi e la società che se ne occupa, Atitech. Poi ci sono altri tre aerei prestati a easyJet nell’ambito del pacchetto di sacrifici imposto dall’Ue in cambio del via libera all’investimento di Lufthansa».
Lei è diplomatico, ma qualche problema c’è con la manutenzione: ci sono jet consegnati più tardi del previsto, cosa che vi costringe a cancellare voli all’ultimo.
«È così. Ma a volte succede anche perché manca un pezzo, data la carenza di parti di ricambio che va avanti da tempo nel mondo».
C’è chi sostiene che quello con Atitech sia un accordo svantaggioso per Ita.
«Chi mi ha preceduto nella gestione ha firmato il contratto quando Ita era in una situazione particolare: doveva trovare in tempi molto stretti una soluzione per la manutenzione e Atitech è stata l’unica a farsi avanti. L’attuale accordo ha delle debolezze che dovremo superare con loro».
Quando scade il contratto con Atitech?
«Nel 2031, con la possibilità di fare un primo bilancio già questo novembre: possiamo confrontare le condizioni offerte da Atitech — sia economiche, sia di qualità — con quelle del resto del settore e capire dove migliorare insieme».
Quindi Ita ha una flotta ufficiale di 100 aerei, ma di fatto ne può usare 77.
«E nel frattempo paghiamo le rate di leasing anche dei jet fermi».
Chiederete un risarcimento al costruttore dei motori?
«Lo abbiamo già fatto».
A quanto ammontano i danni?
«Non posso rivelare la cifra, c’è un accordo di non divulgazione. Ma posso dire che sono significativi. Anche perché ci sono ulteriori ricadute: i passeggeri che vengono meno, anche sui voli intercontinentali, perché c’è la riduzione dei collegamenti brevi e medi che “alimentano” quelli lunghi. E poi abbiamo un eccesso di piloti degli A220 che in questo momento volano poco: non è accettabile che lavorino 20-25 ore al mese per colpa dei motori».
Un 2025 più complicato del previsto.
«Decisamente. E concordo sul fatto che non sia normale che un’azienda con 100 aeromobili finisca per farne volare solo 77».
Quando pensa si uscirà da questa situazione?
«Io spero di vedere un miglioramento nel 2027. Il 2026 sarà ancora un anno difficile, anche se con una pianificazione più stabile».
Quanti aerei a terra si aspetta ancora l’anno prossimo?
«Dieci, quindici. Ma mitigati con l’estensione di alcuni contratti di leasing, così da ridurre l’impatto a 5-7 velivoli».
Ma c’è ancora la possibilità di raggiungere il pareggio operativo quest’anno?
«Sì. La seconda metà dell’anno è migliore della prima perché c’è il picco estivo, quindi puntiamo ad avvicinarci proprio al pareggio. I prezzi bassi del carburante ci aiutano, abbiamo fatto un po’ di gestione dei costi anche internamente: l’effetto positivo rispetto al budget è dovuto grazie a queste due voci».
Come sono andati i diversi mercati per Ita?
«Molto bene il segmento domestico (i voli interni all’Italia,
ndr), il Canada, il Sud America. Siamo molto contenti. Anche il Giappone sta andando bene, così come Svizzera, Francia, Tunisia e Algeria».
E gli Stati Uniti, principale fonte di utili?
«I risultati sono sostanzialmente in linea con l’anno scorso, quindi il dato è positivo. Dakar e Accra vanno meglio del previsto. Soddisfazioni arrivano anche da Bangkok e — a livello di voli stagionali — dalle isole spagnole e greche».
Cosa non vi soddisfa?
«Per ora l’India, forse anche per le difficoltà sul rilascio dei visti. Poi Germania, Belgio e Paesi Bassi, in questo caso come conseguenza diretta dei sacrifici imposti a Milano Linate dall’Antitrust Ue. Tanti rivali hanno spostato i voli nel city airport usando gli slot ceduti da noi. Poi c’è l’Egitto, un po’ debole, in parte per la crisi in Medio Oriente».
Non avete ancora ripreso su Tel Aviv, destinazione redditizia per voi. Che impatto ha sui vostri conti?
«Se si guarda il periodo maggio-ottobre di quest’anno calcoliamo 50 milioni di euro di ricavi in meno».
Quando verranno lanciate nuove rotte in Sud America?
«All’inizio, e parlo dei prossimi uno o due anni, è più probabile che aumentiamo la capacità sulle tratte esistenti: Buenos Aires, Rio de Janeiro e San Paolo».
E altrove?
«Abbiamo studiato a lungo altre destinazioni nella regione».
Si parla di Bogotà, in Colombia.
«Ma lì il problema è che l’aeroporto è in alta quota e questo costringerebbe i nostri Airbus A350 e A330neo a volare con un centinaio di passeggeri in meno sui viaggi di ritorno in Italia: economicamente è molto difficile ottenere un risultato positivo».
Si vocifera anche di Lima e Santiago del Cile.
«Le abbiamo analizzate anche quelle. Sono rotte lunghe, che si riempiono solo con prezzi bassi. Nel momento in cui si alza la tariffa, non prenota più nessuno. Detto questo, valuteremo anno per anno, magari tenendo conto anche di eventuali incentivi».
E quanto al Nord America?
«Dipenderà molto dall’adesione alla joint venture transatlantica A++ con United Airlines e Air Canada prevista nel 2027 (un accordo che consente alle associate di coordinare rotte, orari, prezzi e offerte,
ndr). Una volta entrati potremo muoverci, per esempio, negli hub dove United è forte come Newark e Houston: quelli diventeranno anche gli snodi nei quali Ita si incontrerà con il partner».
I sindacati sono agitati e minacciano lo sciopero. Chiedono un piano industriale 2026-2030 più coraggioso, con un’espansione maggiore di quella che avete previsto.
«Capisco il loro ragionamento e comprendo che vogliano rimettere mano al contratto, scaduto l’anno scorso. Ma dobbiamo raggiungere il pareggio di bilancio. Prima lo raggiungiamo, prima possiamo decidere una crescita più aggressiva. Sottolineo che gli effetti delle sinergie con il gruppo Lufthansa e le sue alleate li inizieremo a vedere soprattutto nel 2027. E poi bisogna fare i conti con i mercati».
In che senso?
«Dobbiamo crescere perché c’è un mercato che lo giustifica. Sono felice se si crea maggiore occupazione, ma questo deve avvenire senza operare in perdita».
La minaccia dello sciopero è un po’ il segnale che la luna di miele è finita.
«C’è loro un confronto continuo. Ita aveva bisogno di un partner forte: Lufthansa è già una garanzia per la stabilità di questa azienda. Crea prospettive e assicura solidità».
Non crede che sul piano industriale si poteva osare di più, come sostengono i rappresentanti dei dipendenti?
«Loro sostengono che il mercato è dinamico, soprattutto a Roma, e quindi Ita dovrebbe crescere di più per non perdere quote. Non sono del tutto in disaccordo. Però il nostro compito è anche espanderci senza andare in perdita».
Già a giugno 2026 Lufthansa potrebbe esercitare l’opzione e salire al 90%.
«Penso che sia un segno tangibile dell’impegno di Lufthansa: loro credono in Ita. Non può che essere positivo».
Potreste far arrivare ulteriori passeggeri nell’hub di Roma attraverso accordi di «alimentazione» con vettori regionali.
«Ci stiamo guardando intorno, magari con compagnie che già lavorano con il Lufthansa, come AirBaltic o Braathens».
E con Air Dolomiti che fa parte del gruppo Lufthansa?
«Air Dolomiti ha sede a Verona, vola molto a Venezia e ha una base operativa a Firenze, tutti punti che per noi di Ita sono interessanti da collegare con Fiumicino. Si può pianificare qualcosa con loro, forse non nel 2026».
lberberi@corriere.it
Nei primi sei mesi 1,5 miliardi di ricavi ed Ebit negativo per 46 milioni, migliorato di quasi il 50% in un anno. Il capo del vettore: soddisfatti per i voli nazionali e con il Sudamerica. Ai sindacati dico: creiamo le basi per fare utili
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