Resta ancora irrisolto il nodo doloroso dei 2.251 esuberi, e circola ancora un diffuso scetticismo su altri punti critici dell'intesa. Oggi una nota dell'Ansa dice che secondo Etihad ci vorranno ancora mesi per venirne a capo. Ma l’annuncio ufficiale e congiunto dell’accordo raggiunto – dove Etihad entra nel capitale con il 49% di quota – sembra aprire un percorso per la prima volta concreto al disastrato vettore italiano, fin qui privo di alternative.
Helen Kearns, la portavoce di Siim Kallas, vice presidente della Commissione Europea e responsabile per i trasporti, lo ha ripetuto ieri: la quota di controllo di Alitalia deve rimanere in mani europee, e anche il governo reale della compagnia dovrà restarlo. Ma Kearns ha detto anche che su questo dovranno vigilare le authority italiane, la Commissione interverrà se necessario. E qui al ministro Lupi liberalizzazioni e competitività piacciono davvero, quando chiede che non si strumentalizzi l’Europa per impedirle, e insiste che sull’intesa Alitalia-Etihad «stiamo rispettando le regole».
Certo l’Unione Europea sonderà a fondo questa nuova iniziativa di Etihad, ma sembra difficile immaginare che James Hogan e i suoi esperti negoziatori arabi possano incorrere in errori tali da minacciare un progetto di grandi prospettive, e di sicuro prestigio.
L'ottavo vettore della Equity Alliance
Perché quello in Alitalia – oltre 560 milioni di euro subito, e altri 690 milioni nei prossimi quattro anni – è l’ottavo ma fin qui il maggior investimento di Etihad nella Equity Alliance pensata dal ceo irlandese James Hogan, che spesso ne ha chiarito il senso: «Entriamo nel capitale di vettori con i quali possiamo sviluppare sinergie operative, economie di scala e fare profitti. Non per governarli, ma per ottenere insieme il massimo. In soli 12 anni dalla nostra nascita queste alleanze ci consentono di volare in tutto il mondo», trasportando nel 2013 oltre 12 milioni di passeggeri, più 16%.
Così Hogan ha spiegato anche perché Etihad non ha bisogno di entrare nelle alleanze globali, con le quali di fatto collabora grazie ai vettori dell’Equity Alliance. Della quale fanno parte ora Air Seychelles (dove Etihad ha il 40%), Virgin Australia (19,9%), l’indiana Jet Airways (24%), Aer Lingus (3%), Air Serbia (49%), e l’ex Darwin Airline, ribattezzata Etihad Regional (33,3%). C’è anche AirBerlin, l’affannato vettore tedesco nel quale Etihad aveva fino ad aprile scorso una quota del 29%, cui ha aggiunto l'acquisto di obbligazioni per altri 300 milioni di euro. Il che ha mantenuto la quota del vettore arabo sotto il 49% imposto dall’Unione Europea (pena la perdita di slot e diritti di traffico). Tutti insieme i vettori della Equity Alliance, al netto di Alitalia, attualmente valgono il 15% dell'offerta di Etihad sull'Europa, che nel complesso sta crescendo a fine 2014 di quasi il 40% rispetto al 2012.
Air France-Etihad, alleati scomodi
Restano per ora indiscrezioni quelle circolate sulla stampa francese quanto alla lettera di protesta contro l’invadenza dei vettori del Golfo che Lufthansa e Air France avrebbero scritto a Siim Kallas, appellandosi all'Europa. Mentre è certo che Air France, coazionista di Alitalia al 7% insieme a KLM, ha un importante accordo revenue-sharing con airberlin, sulle rotte tra Germania e Francia.
La mossa di LH e AF-KLM sarebbe del tutto verosimile mentre numerosi vettori storici europei – Lufthansa inclusa, appunto – prevedono profitti in calo quest’anno, sotto la pressione dei low cost e appunto dei vettori del Golfo. Ma soprattutto afflitti – dicono gli analisti di Capa – da eccesso di capacità su alcuni mercati e da un rapporto molto contrastato con il loro personale.
Perché l’Italia è importante
Mentre se Etihad ha trattato così a lungo per Alitalia, e con tanta paziente tenacia è anche perché bene o male – di nuovo numeri di Capa – quanto a offerta di trasporto aereo e posti/chilometro (ASK) “l’Italia è il 13° mercato turistico domestico del mondo e in Europa è secondo solo alla Spagna”. Considerando la sola offerta sulle tratte internazionali l’Italia sale all’ottavo posto nel mondo. Inoltre Etihad era ancora debole in Italia, dove vola solo dal 2007, quando i competitor Emirates e Qatar avevano già una presenza più importante. C'è anche che l'hub princpale della nuova Alitalia sarà a Roma, una delle mete più desiderate dai viaggiatori di tutto il mondo.
Poi Etihad apre ad Alitalia le porte dell’Asia, attraverso il proprio hub di Abu Dhabi, da dove può alimentare la rete europea del nostro vettore, contrastando in qualche modo la pressione dei low cost. E in più Etihad – anche capitalizzando a fondo la sua Equity Alliance – potrà alimentare gli intercontinentali AZ verso le Americhe.
Competenza e produttività
A far decollare l’accordo sarebbe stata anzitutto l’intesa sui debiti, dove le banche hanno accettato le condizioni di Etihad: un terzo del credito cancellato e il resto trasformato in azioni (convertibili a tre anni). Lo aveva detto poco prima Gian Maria Gros-Pietro, presidente del Consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, azionista e creditore di Alitalia, notando che il 7% di capitale in quota AF-KLM resta fondamentale per mantenere Alitalia sotto il controllo europeo. E si era detto certo Gros-Pietro che un accordo sul debito si sarebbe trovato «nell’interesse di tutti», garantito dalla provata capacità di Etihad e del suo management nel mestiere del trasporto aereo. Se Alitalia potrà fare profitti, ha detto sostanzialmente Gros-Pietro, certi sacrifici sono accettabili.
A Montezemolo piEtihad
Sarebbe confermato il termine del 31 luglio per finalizzare l’intera operazione, scelto a quanto pare soprattutto da Etihad. Così alla fine lo ha detto anche Luca Montezemolo, “facilitatore” di questa difficile intesa, che Etihad è complementare con Alitalia, e non concorrente come avrebbe rischiato di essere AF-KLM. Peccato che il presidente di Ferrari – il Cavallino è probabilmente il marchio più noto del mondo – non accetti la presidenza della nuova joint venture, dove forse lo avrebbero voluto i partner arabi, che di immagine e di marketing sicuramente se ne intendono.