[TR] Transoxiana


Grande idea il TR condiviso! E immagini finora spettacolari, non vedo l'ora di vedere il resto.
 
Grazie è riduttivo.
Dovreste scrivere un libro, avete una bella penna (peraltro non siete i soli su questo Forum)
 
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They see me rollin’, they hatin’…

... e anche questo lunedì ho trovato un modo per cominciare la settimana con il sorriso. :D
 
In realtà quella era la parte tranquilla. Quella meno tranquilla è quando gli ho dovuto dare il mio documento, ma non mi va di divagare (per decenza più che altro...).

Vedi ad aiutare Dancrane? e ti chiama pure geometra.

Mi occupo di agricoltura, su un progetto di cooperazione internazionale. Fergana è una valle bellissima (valle intesa nel senso di pianura, come la valle padana), ma purtroppo priva di attrattive turistiche.
I casini in aeroporto sono finiti con la fine degli strettissimi controlli doganali, retaggio di un'epoca ormai alle spalle. Da un paio di mesi niente più dichiarazione di valuta e beni, niente più controlli sui bagagli, tutto molto veloce.

Chi è il biellese?

Grazie, molto interessante! :) PS il biellese sono io!

Foto spettacolari! Complimenti ad entrambi


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Grazie Nickee.

Semplicemente SPETTACOLARE!!! Applausi a Dancrane e 13900, il miglior TR di quelli che ho visto fino ad ora nel forum! Mitici!

Grazie, troppo gentile! Malgrado le foto di Dancrane sta venendo bellino.

Grande idea il TR condiviso! E immagini finora spettacolari, non vedo l'ora di vedere il resto.

Grazie edag, mi ci vorra' un po' ma conto di fare un altro update entro fine settimana.

Grazie è riduttivo.
Dovreste scrivere un libro, avete una bella penna (peraltro non siete i soli su questo Forum)

Grazie! la realta' e' che siamo entrambi analfabeti.

... e anche questo lunedì ho trovato un modo per cominciare la settimana con il sorriso. :D

:D L'ho detta a Dancrane ma non ha capito. Non e' ccioffane.

mi ricorda tanto il mio pregresso in Iran, posti e gente stupendi

Si, la somiglianza c'e'. La differenza, per me, sta nella minor religiosita' della gente.

Che dire?
Ben vi (e ci) stan!

Grazie!

TR meraviglioso. Acume e brillantezza degli autori. grazie davvero

Prego e grazie a te per leggere.
 
Questo TR si appresta ad essere consacrato nell'Olimpo dei TR di Aviazione Civile. I TR dove una persona normale parte in viaggio con uno scherzo della natura sono poi sempre garanzia di successo e comicità.
 
[OT, Parte II – Bukhara]

Scusate il ritardo, purtroppo (a differenza di alcuni, anzi di uno, anzi di Dancrane) ogni tanto, ahime’, mi tocca lavorare. Comunque, eccoci qui con la seconda di tre parti sull’OT. Parliamo di Bukhara.

A differenza dei fan di Vecchioni, il vero obiettivo per questo viaggio, per me, era Bukhara. Bukhara, la citta’ santa, Bukhara la citta’ in cui la luce sale da terra anziche’ dal cielo, Bukhara la dotta, Bukhara la citta’ proibita. Onestamente non vedevo l’ora di arrivarci.

L’arrivo e’ un anti-climax, generosamente condotti dal treno veloce Talgo, soprannominato FrecciUzbeca. In tutta onesta’ ho sempre trovato i treni veloci spagnoli abbastanza ridicoli; questo qui ha otto carrozze grosse, ognuna, come meta’ di una carrozza di un treno ‘vero’. Vabbe’, dettagli.

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

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Come a Samarcanda usiamo il barbatrucco di andare in biglietteria per prenotare il biglietto del treno del ritorno e li, terremoto e tragggeddia. Il FrecciUzbeca e’ pieno (e vorrei ben vedere, avra’ 15 posti ‘sto brucomela). Rimane solo il treno Sharq, also known as “L’accelerato del Syr Darya”. Sette ore per tornare a Tashkent. Sconfitti e attorniati da tassinari piu’ o meno abusivi prenotiamo due posti ”Ma che sia almeno la bisnis!” interloquisce Dancrane che ha, giustamente, degli standard.

Il giro in taxi e’ di cattivo auspicio. Becchiamo un tassinaro acefalo – va anche detto che a dargli le indicazioni sono io, quindi possiamo benissimo parlare di concorso di colpa. L’hotel e’ in Naqshbandi street, stando alla mia stampata; lui ovviamente e’ l’unico di tre persone al mondo a non sapere cosa vuol dire ‘street’ e lesto lesto ci porta al mausoleo del signor Naqshbandi. Seguono copiosi ”kitammuort” e raccomandazioni reciproche di usufruire dei servigi delle rispettive madri, ma alla fine siamo all’hotel. Amulet Hotel, situata in una ex madrassa, te’ come se piovesse e birra a prezzi politici. TW843 lo troverebbe ‘na stamberga, per me è una reggia.

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

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Comunque, Bukhara.

Parlare della storia della citta’ richiederebbe pagine e pagine, probabilmente annoierebbe tutti tranne me, e quindi non lo faro’; mi limitero’ a dare qualche aneddoto quando serve. Comunque, la differenza principale sta nel fatto che, a differenza di Samarcanda, il centro è rimasto praticamente come ai tempi e la ricostruzione russa è stata abbastanza dignitosa. Come per Samarcanda, vi porto a fare un giro, anche se a spezzoni.

A nord della nostra zona sta uno dei landmark più importanti di Bukhara, talmente famoso da essersi meritato la copertina della Lonely Planet per l’Asia Centrale (estiqatsi, direbbero gli etruschi). Chor Minor, Quattro minareti – va detto, però, che la struttura non fu mai una moschea, le torri non furono mai minareti; piuttosto, si trattava della darvazakhana, o portineria, di una madrasa costruita da un mercante turkmeno. La madrasa è sparita nei lunghi anni di declino e oblio di Bukhara, Chor Minor no.

Usciamo mentre fervono i lavori


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e il traffico

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Foto Dancrane​

All’improvviso, LEI.
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Appena fuori dalle tre vie principale, tutte ammirabilmente pedonalizzate (voglio dire, Londra deve ancora arrivarci), le strade sono così. Ci avventureremo li dentro tra non molto.

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Foto Dancrane

Seguo le mie mappe disegnate a mano, perculato senza pietà da Dancrane, e ovviamente andiamo lunghi. Un monsù in bicicletta corregge l’errore, ed eccoci qui.

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I più attenti noteranno una strana scultura in cima a uno dei quattro pseudominareti. Impieghiamo le lunghe lenti del prode Dancrane, và:

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Foto Dancrane​

Bukhara sorgeva vicino, o proprio dentro a seconda di chi chiedete, una zona di acquitrini, paludosa, in cui le cicogne sguazzavano allegramente. Purtroppo a sguazzarci erano anche malaria e altre amenità; i sovietici, che comunque non brillavano per attenzione all’ambiente – vedi Aral – bonificarono il tutto, causando la sparizione delle cicogne. Nelle costruzioni più vecchie e non restaurate si vedranno, ancora oggi, i vecchi nidi.

Nel frattempo il nostro perlustra ricordi del suo passato prossimo (se vi racconta della Lunga Marcia, scappate):

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Foto Dancrane​

Torniamo indietro, e andiamo verso il centro. Lungo la via, si passano un paio di bazaar, tutti costruiti con almeno 4 ingressi per favorire la circolazione dell’aria e oramai interamente dedicati al turismo. Il paragone con Isfahan è, purtroppo, impari.

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane​

Passiamo nuovamente attraverso viuzze…
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finché un delicato profumo di panetteria non riempie i vicoli (di solito o è metano, o caprone, o tutt’e due). Io spinto dalla nostalgia – a Londra le panetterie sono più rare di un povero a Belgravia – Dancrane dalla ben più volgare fame, seguiamo il profumo come due setter a caccia di tartufi. Il profumo proviene dalla bicicletta di costui:

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…il quale, spaventato, vende subito la lochescion dello spacciatore. Dancrane è come la Wermacht nel 1941: inarrestabile. Manco il tempo di dire generale inverno che è praticamente dentro alla panetteria.

Il pane, come sempre a queste latitudini, è il lepyoshka:

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Foto Dancrane​

Di seguito il metodo di produzione. Il pane viene preparato, si punzona il centro con un apposito strumento, usabile anche come souvenir, e schiaffato senza troppe cerimonie in un forno che ricorda molto il tandoori indiano. Al ritorno mi sono ovviamente divertito a perculare i colleghi del Subcontinente dicendo loro che il tandoori ce l’avevano prima gl’uzbeki.

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane​

Arriviamo, infine, a Labi Hauz, se possibile il centro focale della zona turistica. Un hauz è un serbatoio a cielo aperto, di solito di forma esagonale, in cui veniva stoccata l’acqua per l’uso cittadino dato che, d’estate, il rifornimento dai fiumi poteva venire a mancare per dei mesi. Il problema era che gli hauz erano anche usati come scovoli per i rifiuti, cosa che rendeva l’acqua ovviamente fetida. Tutti i visitatori stranieri che riuscirono ad entrare in Bukhara e ad uscirne vivi – Alexander Burnes, Lord Curzon, Vambéry e altri – menzionarono le condizioni igieniche orribili, e tutto il corollario di parassiti e altre cose belle che ne derivavano. L’arrivo dei russi portò un miglioramento, e ad oggi l’acqua del rubinetto è bevibile e ha anche un gusto migliore di quella di casa mia ad Acton.

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

Questo hauz, comunque, ha qualcosa di interessante. Tutto il compresso – due madrase, un convitto per dervisci erranti, il serbatoio stesso – è stato costruito sul terreno su cui, precedentemente, insisteva la casa di una vedova ebrea. Già. Perché qui, a Bukhara, esiste una comunità ebraica almeno, si dice, dai tempi dell’esilio di Babilonia. Oramai quasi estinta, essendo tutti i giovani e i ricchi emigrati in America o in Israele, ma comunque esistente. La zona a sud del hauz, infatti, è quella ebraica.

La signora della storia di prima, in cambio della sua casa, ottenne la costruzione di una sinagoga, dato che, prima di questa, gli ebrei coabitavano in una moschea, Magoki Attor; ci siamo muniti di una guida, Gulchekra – una specie di Loredana Bertè vestita da madama di Milano, veramente in gamba – e grazie alle sue entrature riusciamo, appunto, ad entrare. A guidarci è tale Isaac Gulamov, età 82, professione ex-geologo.

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

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Il vecchio quartiere ebraico è oramai una sequela di hotel, tutti – grazie a Dio – dagli interni più o meno originali o comunque rispettosi degli standard del tempo. Eccone un esempio, prima di chiudere per questo post. L’OT, però, continua.


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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane


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Foto Dancrane​
 
Due appunti:
onde evitare di passare per quello che non faceva una beata mazza per tutto il tempo, mi preme sottolineare che effettivamente non ho fatta una beneamata mazza per QUASI tutto il tempo. Il compare narratore, infatti, omette di dire che grazie alle mie reminiscenze universitarie ed al 28 generosamente elargitomi all’esame (ove TUTTI gli altri prendevano 30), sono stato perfettamente in grado di ripetere ad orde di tassinari ed uberisti uzbeki “нет такси, спасибо”, seguito, alla inevitabile replica incomprensibile, dall’immancabile Я не говорю, и понимаю по-русски, riuscendo, talvolta, ad essere addirittura capito!
Secondariamente, potendo più o meno agevolmente leggere il cirillico, ho deliziato il compare leggendogli ogni indicazione scritta con quell’alfabeto. Non è servito a nulla, ma tant’è.
 
[OT Parte II bis – Bukhara]

Sistemata la zona ebraica, ri-approdiamo nella zona più centrale, passando un cortile in cui bambini giocano e in generale fanno casino.


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Foto Dancrane

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Dancrane ha una strana passione per le lame. Dormirò con un occhio aperto e il Kalashnikov sotto al cuscino.

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane​

Arriviamo, infine, al Poi Kalyon. Questa è la piazza. Qui arrivò Genghis Khan, nel XIII secolo, durante la sua missione punitiva contro l’emirato di Khwarezm reo di aver massacrato una sua legazione commerciale. Come narra la leggenda Genghis, presa la città, arrivò nella piazza qui sotto e guardò il minareto, alto una quarantina di metri e funzionante anche da faro per le carovane della via della Seta.

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Reclinando il capo per guardarne la cima, a Genghis cadde il cappello. Chinatosi a ripigliarlo, se lo rimise intesta e disse “Questo minareto è la prima cosa dinanzi alla quale mi sia mai inchinato”.
Le referenze a Genghis non finiscono qui, perché se ci giriamo..

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…no, quella è la madrasa Mir-i-Arab (l’unica in funzione, NdR)…

…ecco, qui:

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Foto Dancrane​

Questa è la moschea del venerdì. Entratoci, e avendola inizialmente scambiata per il palazzo reale, Genghis ordina che i ricchi della città gli vengano portati dinanzi. Trovatili, li fa radunare nello spiazzo principale della moschea, dopo aver fatto decapitare un po’ di gente e lanciare le teste nel pozzo qui sotto.

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane

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Montato sul pulpito, ecco il sermone. Genghis è una punizione divina, perché il popolo di Bukhara ha commesso gravi crimini, e devono pagare. Sistemata l’omelia, parte il saccheggio, mentre nel frattempo il nostro mette sotto assedio l’Arca, la fortezza cittadina. Andiamoci, và.

Uno sguardo a Poi Kalyon lungo la via:
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Ed ecco l’Arca. Genghis arrivò, la mise sotto assedio, la conquistò, uccise tutti quelli che la difendevano più alti del manico di una frusta, così dicono le cronache, e proseguì per la sua via, verso il Turkmenistan, dove Merv le buscò ancora più pesante.


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Foto Dancrane

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Un pomeriggio, mentre Dancrane si ricarica (avete presente il coniglietto della pubblicità della Duracell, quello colle pile marca Fidèl dell’Esselunga? Ecco, è ispirato al Nostro) vado in giro in esplorazione, col dichiarato intento di perdermi. Dopotutto, solo perdendosi si trovano cose interessanti, così diceva Fabio Volo. Puntualmente, mi perdo.

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Una delle mie passioni inespresse è il ruin tourism, e qui posso praticarlo. All’improvviso m’imbatto in una madrasa semi-abbandonata, se non fosse per qualche negozio che prova, con poca convinzione, ad essere aperto.

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Giro l’angolo, e m’imbatto – come in Iran – in un muro di fango e paglia. Questa è tecnologia sumera, 5000 AC. Brividi.

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Mi giro ancora un po’, e noto che alla madrasa… manca un pezzo. Faccio un giro e, si, hanno scavato una specie di canyon nel fianco dell’edificio. Un camion ci passa attraverso, e decido di seguirlo, scendendo negli strati di storia della città. Sopra di me celle di studio, oramai vuote, e il nido di cicogne volate via da molti anni ormai.

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Riemergo, e trovo altre strade. Le vie si fanno larghe a sufficienza per intravedere auto, piccoli negozi, antichissimi distributori di bevande con la fessura per la moneta. Il sum uzbeko non ha più monete da oltre un decennio, credo.

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Cammino lungo Samarkand ko’chasi, che ho trovato sulla mia mappina disegnata a mano, e trovo un’altra rovina. L’ennesima madrasa, stavolta non ancora modificata in hotel, o ristorante, o negozio. Il portone in metallaccio è socchiuso. Entro.

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Rimango li un po’, cercando di trovare una via per salire. Lascio perdere, e penso a come doveva essere; la costruzione, l’epoca d’oro dello studio – c’erano 150 madrase qui nel 1500/1600 – i lunghi secoli di declino, gli ultimi studenti, l’abbandono, l’oblio. Questa madrasa è una metafora dell’intera città. Esco di nuovo, e cammino verso il centro.

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Cammino, badando principalmente ai fatti miei, quando sento una voce: Mister, Mister! Alzo lo sguardo e, da una balconata, due tizi mi chiamano. Chai, mister, chai!. Tè. Non si può rifiutare.

Sotto il portico di una ex moschea divenuta una specie di circolo ARCI, quattro pensionati giocano a backgammon, o quello che reputo sia backgammon, appollaiati in cima a un topchan. Ovviamente m’invitano, appaiono tè e caramelle. Seguo il gioco, vinto – spoilerone – dal signore col cappello.

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Le barriere linguistiche sono alte come il muro di Trump, per cui la discussione non può raggiungere vette filosofiche. Il più piccolo del gruppo, Nasser, mi porta a vedere la piccola moschea, arredata modestamente, ma con una gentilezza da allargare il cuore. Non mi chiedono niente, non mi domandano soldi, semplicemente sono contenti di vedere un forestiero – dall’Italia!, si ripetono – e che il forestiero sia lì con loro. Rimango un’oretta, poi li saluto. Poi mi chiedono perché preferisco questi posti alla Florida.

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Nel frattempo il gioco riprende.

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Da Bukhara è quasi tutto, manca solo un altro post, che però rimando a più tardi nel fine settimana, un OT… sportivo. C’è giusto il tempo, ora, per una vista di Poi Kalyon al tramonto, gustata da un rooftop bar rigorosamente abusivo.

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Foto Dancrane

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Foto Dancrane​
 
Due appunti:
onde evitare di passare per quello che non faceva una beata mazza per tutto il tempo, mi preme sottolineare che effettivamente non ho fatta una beneamata mazza per QUASI tutto il tempo. Il compare narratore, infatti, omette di dire che grazie alle mie reminiscenze universitarie ed al 28 generosamente elargitomi all’esame (ove TUTTI gli altri prendevano 30), sono stato perfettamente in grado di ripetere ad orde di tassinari ed uberisti uzbeki “нет такси, спасибо”, seguito, alla inevitabile replica incomprensibile, dall’immancabile Я не говорю, и понимаю по-русски, riuscendo, talvolta, ad essere addirittura capito!
Secondariamente, potendo più o meno agevolmente leggere il cirillico, ho deliziato il compare leggendogli ogni indicazione scritta con quell’alfabeto. Non è servito a nulla, ma tant’è.


Ok, lo ammetto. Ammetto anche che l'idea malsana di prendere il vino uzbeko è stata la mia.
 
Da rimanere senza fiato... Mi sono suggestionato a vedere le soltanto le foto, figuriamoci voi dal vivo.