Sappiamo tutti che, in un'azienda, ci sono alcuni lavori che pochi vogliono fare, tipo andare a dire al capo che abbiamo perso quella pratica là, o raccogliere i vassoi in aereo dopo il pasto… Nel mio ufficio e nella mia compagnia la patata bollente sono i voli da corriere.
Primo, perché non si viene pagati in più.
Secondo, perché sono una mazzata.
Terzo, perché si vola 12 ore per lavorare, se va male, tre ore.
Quarto, perché capitano sempre di weekend.
Di solito, quindi, quando capita di dover fare qualcosa che non si vuole ecco che scatta lo scaricamento di barile, operazione che sia arresta una volta raggiunto il gradino più basso della catena alimentare, ai piedi del nuovo arrivato. Io.
Tutto inizia la settimana scorsa, quando il mio vicecapo mi offre un caffè e, mentre beviamo cazzeggiando, mi chiede:
“Senti, ti andrebbe di farmi un favore?”
Io (subodorando l’inc…ata): “Ah, ecco perché mi hai offerto il caffè [merdaccia]…. Dimmi pure”
“Sabato vai a Tokyo con del cargo sensibile, nostro e di alcuni clienti. Arrivi domenica, lo sdogani e riparti il lunedì. Ho due biglietti di World Traveller, ma l’hotel te lo devi pagare tu, poi te lo rimborsa Finance”.
Io: “gh…”
Lui: “Allora d’accordo così, eh? Bene! E non preoccuparti, tanto hai il martedì di vacanza! Buon viaggio allora!”
E quindi, eccoci qui. E’ sabato mattina, giusto il tempo di bestemmiare un po’ a quegli incredibili incompetenti di Barclays e sono in aeroporto, pronto per le prossime 50 ore ad alto tasso di aviazione. Devo ammettere di essere addirittura eccitato: avevo altri piani per il weekend ma, dopotutto, adoro volare. E tornare in Giappone, seppur per poco, dopo averci passato due settimane nel 2009, è una bella cosa. In più, poi, volerò sui 77W di BA, con i nuovi interni. Potrebbe capitarmi di peggio, alla fin fine!
Faccio check-in, chiacchierando con l’addetta del mio viaggio. La domanda “E allora cosa porti a Tokyo?” mi lascia un po’ interdetto, perché infatti non ne ho idea, per cui blatero un po’ di vaccate e mi allontano, pensando scenari da incubo in cui i pallet del cargo sono gonfi di ecstasy e io finisco rinchiuso per sei anni in una cella a Chiba decorata con i personaggi di Hello Kitty.
Il Terminal 5 è la solita scena e il panorama abbastanza monotono, code BA in ogni dove. Circuisco una duty manager e mi faccio rivelare che il mio volo partirà dal satellite B, dove mi dirigo (stava anche scritto sui pannelli alla banchina del TTS, potevo evitare la circonvenzione). Qui l’atmosfera è molto più tranquilla e mi siedo un po’ in attesa degli eventi.
Pushback dal T5B per un 747 con la nuova Prime.
I due A388 di QF che operano, se non sbaglio, i voli per MEL e SYD via SIN/BKK. Arrivano di prima mattina e passano più di 12 ore fermi alla fuel farm tra T5C e T3.
Momento amarcord: il mio vecchio ufficio con un A346 di Virgin parcheggiato davanti. E' una cosa un po' strana, dato che lo stand 576 viene prevalentemente usato da BA
Il gate è il B42 e, mentre le colleghe preparano il tutto, mi diverto a guardare un giapponese che, armato di reflex Canon EOS 7D con teleobiettivo prestatogli dal telescopio Hubble, si mette a fotografare i camion di Gategourmet, la società del catering. Purtroppo passano solo quelli, senza nemmeno un DHL o uno di OCS a rompere la monotonia, ma lui sembra soddisfatto così. Provo ad immaginarmi le serate a casa sua a Yokohama quando proietterà agli amici le foto della vacanza e questo pensiero mi allieta finché non sento la fatidica chiamata:
“Chiunque sia seduto tra le file 30 e 50 si faccia avanti, passeggeri di First e Club vengano quando vogliono”
Appartenendo alla prima categoria vado al gate, deserto. I rimanenti 300 passeggeri, giapponesi al 90%, non si muovono di un muscolo. Probabilmente aspettano qualche istruzione nella loro lingua oppure attendono che i loro accompagnatori (sono quasi tutti pensionati in viaggi organizzati) gli dicano cosa fare. Com’è come non è sono l’unico passeggero di Y a passare tra mucchi di viaggiatori con biglietti in J, armati di iPad e supplementi domenicali del Financial Times.
La bestia che ci porterà a Tokyo
Gli equipaggi di Worldwide in BA sono un po’, per dirla all’inglese, “Hit and miss”. Un servizio all’altezza è sempre garantito, alle volte è meraviglioso ma, spesso, capita che si limitino a fare quello che il manuale dice loro di fare, senza metterci un po’ di sforzo in più. Sono cabin crew volontario e capisco il livello di stress e di fatica che comporta il loro mestiere, però per una compagnia che punta sul servizio non è una bella visione. I ragazzi di turno oggi, con la probabile esclusione di un paio di individui in club e del CSD, appartengono all’ultima categoria: pochi sorrisi e atteggiamento del tipo “Siamo qui perché dobbiamo e faremo quello che dobbiamo fare, ma nulla di più”. Mah.
Continua...
Primo, perché non si viene pagati in più.
Secondo, perché sono una mazzata.
Terzo, perché si vola 12 ore per lavorare, se va male, tre ore.
Quarto, perché capitano sempre di weekend.
Di solito, quindi, quando capita di dover fare qualcosa che non si vuole ecco che scatta lo scaricamento di barile, operazione che sia arresta una volta raggiunto il gradino più basso della catena alimentare, ai piedi del nuovo arrivato. Io.
Tutto inizia la settimana scorsa, quando il mio vicecapo mi offre un caffè e, mentre beviamo cazzeggiando, mi chiede:
“Senti, ti andrebbe di farmi un favore?”
Io (subodorando l’inc…ata): “Ah, ecco perché mi hai offerto il caffè [merdaccia]…. Dimmi pure”
“Sabato vai a Tokyo con del cargo sensibile, nostro e di alcuni clienti. Arrivi domenica, lo sdogani e riparti il lunedì. Ho due biglietti di World Traveller, ma l’hotel te lo devi pagare tu, poi te lo rimborsa Finance”.
Io: “gh…”
Lui: “Allora d’accordo così, eh? Bene! E non preoccuparti, tanto hai il martedì di vacanza! Buon viaggio allora!”
E quindi, eccoci qui. E’ sabato mattina, giusto il tempo di bestemmiare un po’ a quegli incredibili incompetenti di Barclays e sono in aeroporto, pronto per le prossime 50 ore ad alto tasso di aviazione. Devo ammettere di essere addirittura eccitato: avevo altri piani per il weekend ma, dopotutto, adoro volare. E tornare in Giappone, seppur per poco, dopo averci passato due settimane nel 2009, è una bella cosa. In più, poi, volerò sui 77W di BA, con i nuovi interni. Potrebbe capitarmi di peggio, alla fin fine!
Faccio check-in, chiacchierando con l’addetta del mio viaggio. La domanda “E allora cosa porti a Tokyo?” mi lascia un po’ interdetto, perché infatti non ne ho idea, per cui blatero un po’ di vaccate e mi allontano, pensando scenari da incubo in cui i pallet del cargo sono gonfi di ecstasy e io finisco rinchiuso per sei anni in una cella a Chiba decorata con i personaggi di Hello Kitty.
Il Terminal 5 è la solita scena e il panorama abbastanza monotono, code BA in ogni dove. Circuisco una duty manager e mi faccio rivelare che il mio volo partirà dal satellite B, dove mi dirigo (stava anche scritto sui pannelli alla banchina del TTS, potevo evitare la circonvenzione). Qui l’atmosfera è molto più tranquilla e mi siedo un po’ in attesa degli eventi.

Pushback dal T5B per un 747 con la nuova Prime.




I due A388 di QF che operano, se non sbaglio, i voli per MEL e SYD via SIN/BKK. Arrivano di prima mattina e passano più di 12 ore fermi alla fuel farm tra T5C e T3.

Momento amarcord: il mio vecchio ufficio con un A346 di Virgin parcheggiato davanti. E' una cosa un po' strana, dato che lo stand 576 viene prevalentemente usato da BA
Il gate è il B42 e, mentre le colleghe preparano il tutto, mi diverto a guardare un giapponese che, armato di reflex Canon EOS 7D con teleobiettivo prestatogli dal telescopio Hubble, si mette a fotografare i camion di Gategourmet, la società del catering. Purtroppo passano solo quelli, senza nemmeno un DHL o uno di OCS a rompere la monotonia, ma lui sembra soddisfatto così. Provo ad immaginarmi le serate a casa sua a Yokohama quando proietterà agli amici le foto della vacanza e questo pensiero mi allieta finché non sento la fatidica chiamata:
“Chiunque sia seduto tra le file 30 e 50 si faccia avanti, passeggeri di First e Club vengano quando vogliono”
Appartenendo alla prima categoria vado al gate, deserto. I rimanenti 300 passeggeri, giapponesi al 90%, non si muovono di un muscolo. Probabilmente aspettano qualche istruzione nella loro lingua oppure attendono che i loro accompagnatori (sono quasi tutti pensionati in viaggi organizzati) gli dicano cosa fare. Com’è come non è sono l’unico passeggero di Y a passare tra mucchi di viaggiatori con biglietti in J, armati di iPad e supplementi domenicali del Financial Times.

La bestia che ci porterà a Tokyo
Gli equipaggi di Worldwide in BA sono un po’, per dirla all’inglese, “Hit and miss”. Un servizio all’altezza è sempre garantito, alle volte è meraviglioso ma, spesso, capita che si limitino a fare quello che il manuale dice loro di fare, senza metterci un po’ di sforzo in più. Sono cabin crew volontario e capisco il livello di stress e di fatica che comporta il loro mestiere, però per una compagnia che punta sul servizio non è una bella visione. I ragazzi di turno oggi, con la probabile esclusione di un paio di individui in club e del CSD, appartengono all’ultima categoria: pochi sorrisi e atteggiamento del tipo “Siamo qui perché dobbiamo e faremo quello che dobbiamo fare, ma nulla di più”. Mah.
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