[TR] - Do not travel to Vol. III - Libia: terra di deserto, storia e petrolio.


TRIPOLI

Il primo contatto con la città di Tripoli sa di sole della Sicilia, mi ricorda di Malta, del Mediterraneo, c’è qualcosa anche di Tunisi. La storia le ha dato un mix molto complesso e l’architettura ne è lo specchio. Storia che però si ferma alla guerra civile degli ultimi anni. Il dopo, almeno nelle prime impressioni, è fatto di palazzi di vetro e cemento costruiti senza criterio con capitali turchi e cinesi. Altri palazzi, principalmente quelli in costruzione all’epoca di Gheddafi, sono congelati al 2011, da lontano, nello skyline cittadino si confondono con i nuovi, da vicino si vedono i danni e lo stato di abbandono.

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Il viale che dall’aeroporto porta all’hotel Cleopatra è nuovo e pieno di palme, da una parte c’è il mare con qualche stabilimento balneare, la costa, ogni tanto pezzi di coriche, dall’altra traffico, palazzi, case, parchi ed uffici. Riesco a scorgere quello che una volta era il grand hotel Tripoli, per chi ama la storia, qui davanti si incontrarono il generale Gariboldi (si con la O) e Rommel nel 1941.

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Dall’autobus scorgo un bar, caffè Toraldo, più che a Napoli, scoprirò che in Libia è una istituzione. Non è un caffè, è il caffè, quello buono, un po’ come gli anglosassoni si eccitano per la nastro azzurro, i libici amano Toraldo.

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Comunque, se per il caffè i Libici si affidano ancora agli Italiani, nelle cose che contano, petrolio incluso, ormai guardano più a est. La guida, mentre andiamo e durante le prime chiacchierate di rito, mi dice che gli Italiani hanno perso tante occasioni in Libia ed ormai la Turchia ha avviato un processo di nuova colonizzazione, simile a quello partito in Somalia qualche anno prima, che prevede investimenti in infrastrutture, telecomunicazioni, energia…altro che caffè.

Arriviamo in albergo, facciamo il check-in. La mia camera è bella grande, pulita e superiore ad ogni aspettativa.

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Aspettiamo gli altri fino a quando il gruppo è completo. Nel giro di un’oretta arrivano tutti. Non è la prima volta che viaggio con gente “a sorpresa”. Una sorta di uovo di Pasqua, se ti va bene fai nuovi amici, se ti va male rischi fortemente di rovinarti il viaggio. Per fortuna, il gruppo si rivelerà essere uno degli highlight di questa spedizione.

Partiamo subito verso la città vecchia. Qui c’è la storia in poche centinaia di metri, i romani, gli italiani, la rivoluzione di Gheddafi, la primavera araba.

Siamo tutti abbastanza affamati, io ho mangiato l’ultima volta sul volo, lo stesso gli altri. Ci infiliamo in un ristorante con vista sull’arco di Marco Aurelio, a quest’ora del pomeriggio non c’è nessuno ma non si fanno problemi ad accoglierci. Il mio primo pranzo libico sarà uno shisk tawuk e verdure grigliate. Il ristorante Athar Restaurant è davvero bello, con la terrazza che dà sulla piazza, il cibo nella media.

Dal ristorante si vede l’arco, costruito nel 165, fu recuperato e ristrutturato dagli Italiani a partire dal 1914.

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Intorno alla piazza ci sono esempi di architettura italiana di inizio secolo

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Le guardie, intanto, ci seguono e non ci lasciano. Una è fissa, si chiama Abdou Fatar, l’altra cambia di volta in volta a seconda dei posti, non sono armati. Comincio a chiedermi quale sia lo scopo della loro continua presenza. Proteggerci? E da cosa e soprattutto come? A pugni? A mani nude? Non è che in realtà debbano controllarci? E in che modo? Boh, domande alle quali per ora non trovo una risposta. Ce le avevano vendute come guardie per garantire l’incolumità del gruppo, non che mi aspettassi rambo ma questi non mi sembrano del mestiere, oltretutto le situazione generale mi sembra tranquilla e l’istinto, per ora, mi dice che tutto è sotto controllo, la gente pacifica e che pericoli non ce ne sono. Ci vorranno alcuni giorni prima che la cosa inizi ad avere qualche senso. Per ora camminiamo compatti, con la security ad aprire e a chiudere il gruppo.

Usciti dal ristorante, iniziamo il giro. Arriviamo alla vecchia ambasciata francese, oggi ristrutturata ed utilizzata come uffici comunali.

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La nuova bandiera della Libia, messa in mostra ovunque

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Uno dei luoghi iconici della Libia Italiana,il palazo che una volta ospitava la banca di Roma.

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La piazza antistante è piena di bar e caffè, alcuni con nomi italiani.

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Cattedrale cattolica

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La passeggiata si interrompe quando Abdoul, la guida ci mostra una bandiera raffigurata su un muro. A vederla così sembra insignificante, la verità è che è stata la prima bandiera dipinta nel 2011 nel momento in cui è scoppiata la rivoluzione. Convenzionalmente la bandiera simbolo della nuova Libia. Lo stato di conservazione mi fa venire qualche dubbio sulla storiella, per far contente guardie e guida decido di credere che sia così e mi faccio fare anche una foto.

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Continuiamo il giro tra le strade, la gente sembra cordiale, in una panetteria becco un signore che parla italiano, riesco a scambiare qualche parola ma poi vengo interrotto, bisogna proseguire.

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La piazza principale con palazzi dell’epoca italiana

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c’è fermento, la gente si prepara alla serata, ci sono le macchine per i pop corn, i giochi per i bambini e dietro il castello che ospita il museo nazionale, chiuso però dal 2011.

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Voci dicono che dovrebbe riaprire nel 2025. La nostra guida dice che nessuno ci crede più

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C’è un briciolo di normalità qui, la vita che scorre come a qualsiasi altra latitudine. Anche da queste parti ci sono i bambini che mangiano lo zucchero filato, le amiche che passeggiano facendosi i selfie, i ragazzi che impennano sui motorini, gli anziani che giocano a scacchi, le famiglie che vivono una vita normale. Certi posti, purtroppo, soprattutto quando sono poco conosciuti, chiusi e difficili vengono facilmente etichettati e spesso finiamo con il credere di sapere bene quello che in realtà non sappiamo per niente.

E con questo non sto dicendo che qui vada tutto bene, anzi, la Libia è un disastro politico, economico e sociale. Quello che ancora una volta, questa piazza mi ricorda è che nonostante tutto c’è del bene e del buono ovunque, c’è una vita che scorre tranquilla, ci sono le persone che vivono proprio come viviamo noi. Poi è vero ci sono anche i campi di detenzione, i disgraziati, poveri cristi che vivono ai margini della società, una parte orrenda, odiosa e tremenda che verrà fuori anche da questo racconto.

Adou Fatar, la Security guard fissa al nostro seguito, urla qualcosa a dei ragazzi che si erano avvicinati. Per la seconda volta oggi, contatti con la gente per strada interrotti bruscamente.

Ci allontaniamo dalla Tripoli vecchia, andiamo verso la corniche, passeggiamo accanto al mare.

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Prima di rientrare in albergo facciamo una sosta in un supermercato, domani si va a Leptis Magna, meglio fare rifornimento di snack.

Entro, prendo noci, mandorle e datteri. Poi faccio un giro. Mi interessa capire che prodotti ci siano in Libia, cosa si possa comprare, cosa compra la gente. Il supermercato è fornitissimo.

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Ci sono addirittura le Weetabix. Da noi, ci sono solo le classiche, questi hanno la stessa scelta di Sainsbury a Londra. C’è la nutella, il pandoro, le mele della val venosta. Insomma, anche qui, meglio delle aspettative.

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Rientriamo in albergo, tra viaggio e km macinati a piedi siamo tutti stanchi, nessuno ha voglia di cenare, è ora di salutarsi, domani si va a Leptis Magna. Uno dei ragazzi della security rimane a presidiare la hall e sarà sempre così per accertarsi che nessuno si muova senza la loro presenza.

Prima di andare in camera, vado al ristorante all’ultimo piano dell’albergo per prendere dell’acqua. Visto che siamo alti, chiedo al cameriere se c’è un posto per fare una foto, lui mi dice di seguirlo. Mi apre una porta, c’è la lavanderia. Forse non ha capito. Mi apre la porta del retro della lavanderia ci sono delle scale, un’altra porta e questo. Ha capito.

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Visto che siamo soli e che non avrò altre molte occasioni per parlare liberamente con qualcuno provo a chiedergli qualcosa. È ghanese, parla inglese, più facile che in arabo. Mi dice che è in Libia da 15 anni, lui sta bene ma la Libia è un posto difficile. Gli chiedo come si vive e se è sicuro. Mi dice che si sopravvive, “prima” c’era meno libertà ma almeno c’era stabilità, oggi non si capisce chi comanda e la vita è alla giornata. Mi fa vedere un palazzo in costruzione. Questo:

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Mi dice, sai cos’è? Quello era un progetto voluto da Gheddafi, doveva essere l’hotel più lussuoso di tutta l’Africa. È abbandonato dal 2011. Ecco la Libia è così, tutta ferma. Oggi non ci si può avvicinare, ci sono le milizie.

Chiedo cosa intende ma si guarda intorno. Mi dice che la Libia, Tripoli, tutte le città sono governate dalle milizie, quartiere per quartiere. Le milizie sono finanziate da gruppi di famiglie ricche e potenti che si spartiscono strada per strada la Libia. Soldi ed armi in cambio di fedeltà e protezione. Ogni quartiere diventa il loro regno. Il governo non conta nulla. Qui funziona così e quello scheletro di albergo è roba delle milizie.

È ora di andare, pochi minuti di conversazione che hanno dato una svolta al viaggio e che iniziano a fare luce sulla security, sulla guardia fissa e sulle guardie che cambiano ogni volta che cambiamo quartiere...
 
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Bellissimo. Gli ultimi paragrafi mi ricordano molto A Stranger in Your Own City di Ghaith Abdul-Ahad, quando descriveva la Baghdad post-2003. Anche in quel caso, un intervento occidentale andato a ramengo.
 
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Bellissimo racconto.
Grazie per quanto già postato e attendo impazientemente il seguito.

Quanti rimpianti per non aver visitato la Libia in tempi più tranquilli. Lo immaginavo ma dalla tua narrazione capisco che, al giorno d'oggi, con famiglia al seguito è davvero impossibile.
 
Qualche cartaccia in giro, ma tutto sommato meglio di Roma in quanto a decoro.
Poi mi domando sempre se qualche gru, prima o poi, non crolli rovinosamente dopo tanti anni. Soprattutto se esposta al mare.
(pure da noi, dico. Ci sono certi cantieri abbandonati...)
 
Bellissimo! Io ci dovrò andare per lavoro a fine giugno, grazie al tuo TR so’ (più o meno) cosa aspettarmi.
 
Leptis Magna.

La colazione prima di tutto. Pane, datteri, formaggio, un paio di te, forse anche tre, i bicchierini sono piccoli. Il pane è fatto al momento, è buonissimo. Una frittata, due arance e possiamo andare.

Il viaggio verso quella che fu una delle più belle città dell’antica Roma dura circa due ore. Ci arriviamo con un autobus che ha visto tempi migliori e che sarà lo stesso per tutto il viaggio. La targa è stata cambiata ma la livrea non tradisce, Iannone, Villa Literno (CE).

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Nonostante l’età e il milione di Km, l’aria condizionata funziona ancora bene, c’è anche una toilette senza scarico e bottiglie d’acqua per sopravvivere venti giorni nel Sahara. Oggi sono solo due ore di strada, domani per Ghadames il viaggio è lungo, lunghissimo, servirà tutto, anche il bagno senza sciacquone.

Arriviamo a Leptis, è venerdì, giorno di festa per i Libici. Il parcheggio delle auto è pieno, tutti “locals”, noi gli unici stranieri. Il sito si visita gratuitamente. Ovviamente appena scendiamo dall’autobus, veniamo raggiunti dalla “guardia” locale. “Security, security”…vabbè...e da un non meglio precisato servizio di polizia dei siti storici.

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Per intenderci, sono più gli accompagnatori che noi visitatori.

Sulla storia di Leptis non mi soffermo, sulla bellezza e maestosità del sito parlano le foto. Quello che aggiungo è che nonostante il sito sia patrimonio mondiale dell’umanità, dal 2011 l’Unesco è sparito, i ricercatori ed archeologi internazionali (molti italiani) scomparsi e tutto ciò che dovrebbe essere protetto e manutenuto è lasciato alla meno peggio. Le risorse sono limitate e la Libia prima di pensare alla storia passata, in questo momento ha bisogno di concentrarsi sul presente. Difficile da accettare per noi che vorremmo quell’incredibile patrimonio conservato e preservato ma comprensibile dal punto di vista di chi deve pensare prima a mettere il pane a tavola. Altra precisazione, Leptis Magna è davvero immensa, molto della città è sotto alle nuove costruzioni dei dintorni, molto deve essere ancora scavato.

L’ingresso del sito, l’arco di Settimio Severo

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Ci sono un po’ di erbacce, la sensazione di trascurato è evidente però tranne qualche cartaccia e poche bottiglie di plastica il sito è tutto sommato pulito.

Qualche libico in gita

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Le terme di Adriano

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Alcuni mosaici, protetti da una rete tutta arrugginita

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Foro dei Severi, da notare le teste di Gorgone

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La basilica sul fondo del foro è purtroppo chiusa. Una particolarità di Leptis Magna è la presenza di due fori, caso non unico ma abbastanza raro e significativo dell’importanza di Leptis. Quello delle foto precedenti è quello voluto da Settimio Severo. Poi c’era quello vecchio, costruito circa 100 anni prima da Adriano

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Particolare interessante, una tabula lusoria, quello che oggi sarebbe un gioco da tavola

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Una sorta di tris al quale si giocava con delle sfere di legno ed i dadi. Chi metteva per primo tre sfere in fila vinceva.
Proseguiamo la visita verso il ninfeo

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Il mercato

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Il teatro, probabilmente uno dei posti più affascinanti di tutto il viaggio

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Ovviamente, siamo le star del posto, i ragazzi mi chiedono una foto, posa da vip e taac.

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Questa foto mi fa anche riflettere su una cosa. Questi due ragazzi parlavano entrambi inglese molto bene ed un poco di italiano. Ovviamente, siamo stati interrotti dalla security ma ho fatto in tempo a chiedere dove l’avessero imparato. Mi hanno risposto Duolingo (per chi non lo sapesse, è una famosa app per imparare lingue) e serie TV. Per un attimo ho pensato alle decine, centinaia, migliaia di ragazzi italiani che alla stessa età non riescono a mettere quattro parole di inglese una dietro l’altra. È tutta una questione di volontà e mi dispiace constatare che spesso, noi, credendo di essere nella parte buona del mondo, rimaniamo intrappolati nell’indolenza di una vita facile ed agiata.

Ritorniamo alla visita di Leptis. A poche centinaia di metri ci sono l’anfiteatro ed il circo.
The big brother non molla.

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L’anfiteatro, poteva contenere circa 15.000 persone

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Il circo, purtroppo non l'ho fotografato, ma ormai non è rimasto più nulla.
Ultima sosta, il porto, o meglio quello che rimane, ben poco

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Sono passate ben quattro ore, il solo è forte, fortissimo ma la temperatura piacevole. La visita è stata veramente interessante ma ormai siamo tutti cotti. È ora di andare. Ci avviamo all’uscita e becchiamo un gruppo di boy scouts.

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Alquanto sorpresi da quest’altro frammento di normalità, ringraziamo il direttore, gli diamo una meritatissima mancia e ci avviamo all’autobus.

Fuori ci sono anche dei negozi di souvenirs, qualcuno compra qualche calamita, uno scialle. Tutta roba di altri tempi, quando qui c’era qualche turista.
Sulla strada del ritorno, facciamo una sosta pranzo. Non c’è molta scelta, soprattutto se si vuole continuare il viaggio e non rischiare di rimanere seduti in bagno per i prossimi giorni e quindi che Bizza sia. Si, non è un errore, in Libia, la pizza, diventa bizza, non solo nella pronuncia tipicamente araba ma anche come è scritto sui menu.

Il forno sembra promettere bene

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la pizza? Quella di domino di Istanbul del primo giorno era un sogno. La mia chicken pizza non si è meritata nemmeno una foto.

Rientriamo a Tripoli, la strada è monotona, ci siamo beccati anche il traffico dell’ora di punta. Ci mettiamo quasi tre ore per fare i circa 120 km tra Leptis e la città.

Unica cosa degna di nota, le rotonde, hanno tutte qualcosa del genere

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Mi chiedo se forse convenisse investire i soldi di questa roba in qualcosina di più utile. Sono ormai le 19 passate arriviamo in albergo.

La stanchezza del gruppo, il fatto di non potersi muovere in autonomia, la guardia che tira fuori un tappeto e si mette a pregare nella hall dell’hotel…tutto mi dice che anche oggi il pranzo di qualche ora fa, farà da pranzo e cena. Per fortuna ho ancora qualche noce ed una lattina di coca light. Restiamo in albergo, il sole sta tramontando, c’è la luna piena.

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Prima di dormire, ragiono su due cose. Primo, quando viaggio in autonomia, viaggio ad un’altra intensità. Qui mi sento limitato, un giorno intero per vedere Leptis Magna. Sito immenso, vero, ma fossi stato solo e avessi avuto la possibilità di girare, ora sarei fuori in qualche postaccio di Tripoli a scambiare due chiacchiere con qualcuno. Oggi purtroppo va così, non c’è alternativa. È una esperienza anche questa e paradossalmente dà una chiara idea di come funziona il paese. L’altro pensiero è tutto per Leptis ed al confronto con altre città romane della stessa portata, Pompei per esempio. Sono tutte magnifiche, ma la grossa differenza è che qui non si ha l’impressione di visitare un museo o un sito storico ma una città abbandonata che è rimasta tale e quale per secoli. Il privilegio di avere una roba del genere tutta per se è qualcosa che non si può spiegare a parole.

Non c’è tanto altro da fare, doccia e buonanotte. Domani Ghadames, o meglio il viaggio verso Ghadames.
 
Molto ma molto interessante ho trasmesso le foto al mio amico libico di base a Napoli c'era stato da bambino con la sua famiglia 8 figli il padre dipendente pubblico!
 
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Il primo contatto con la città di Tripoli sa di sole della Sicilia, mi ricorda di Malta, del Mediterraneo, c’è qualcosa anche di Tunisi.
Quando abitavo sull'isola del miele (per gli aviopirla MLA, per gli ignoranti Malta) ho conosciuto un tizio italiano che lavorava a Bengazi per un'azienda maltese e che si e' trovato in mezzo alla rivoluzione/guerra nel 2011. Quando scoppio' il tutto, attese circa una settimana nascosto in casa con altri due colleghi libici (per fortuna era sua abitudine stoccare cibo/acqua in caso di problemi) con la gente che sparava e si ammazzava in strada. Farnesina contattata piu' volte, piu' inutile di un bagnino ai mondiali di nuoto. Alla fine riusci' a imbaracarsi su una bagnarola turca insieme con altre 4mila persone (le foto erano impressionanti) e arrivare a Istanbul dove finalmente venne reimpatriato dai nostri che aspettavano comodamente seduti su un divano turco.
Tornato a Malta fu stupito dalla quantita' di libici (facoltosi, ça va sans dire) che si erano trasferiti lampo-stampo, portandosi addirittura le macchine. Dal 2008 c'era stata una forte presenza di investimenti libici a Malta, dal 2011 questa presenza divenne un uragano. Poi nel 2014 Malta inizio' a "vendere" i suoi passaporti e ciao.

Ha sempre detto che moltissimi luoghi della Libia gli ricordavano Malta, che su certi punti di vista non si discosta molto dalla nostra Sicilia, e che il mare era splendido. Li considerava come cugini mediterranei.
L'ho messa nei miei posti da visitare prima possibile. Questo TR mi fa venire una voglia pazzesca ma allo stesso tempo mi ferma perche' non sarebbe un viaggio come vorrei. E credo che non lo sara' mai.
 
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