GHADAMES ED IL DESERTO
Le distanze in Libia sono importanti, si misurano in ore, i km non hanno senso se di mezzo ci sono deserti, checkpoints, traffico, strade interrotte, soste. Da Tripoli a Ghadames sono, salvo imprevisti, 10/12 ore di strada. Per fortuna, l’itinerario prevede qualche sosta, ci fermeremo a vedere Qasr al Hajj, la città vecchia di Tamzin ed il granaio di Kabaw Qaser.
Partiamo all’alba, con il solito seguito di guardie e guide. La città lascia ben presto spazio alla terra arida, il grigio del cemento diventa piano piano ocra, la sabbia, la terra e la polvere si mischiano. Circa tre ore per arrivare alla prima sosta.
Questa struttura è un castello berbero di circa 900 anni. È una enorme fortificazione poi utilizzata anche come granaio. L’esterno è sostanzialmente insignificante. L’interno è così
Ci sono un centinaio di cellette, dove venivano conservati grano, orzo ed olio. La struttura è affascinante ed è ben conservata. Con un po’ di acrobazie riesco ad arrampicarmi su una delle finestrelle più alte. Scattiamo qualche foto. Nei dintorni ci sono delle case, qualcuno le definirebbe “sgarrupate”. Quando ci vedono, dei bambini mi saltano letteralmente addosso. Uno di quei momenti di umanità per cui amo viaggiare.
L’autista intanto ha deciso di ingannare l’attesa così.
Quando ha finito, si riparte in direzione di Tamzin, sull’altopiano del Gebel Nafusa. La Vecchia città di Tamzin, oggi abbandonata mi ricorda Craco in Basilicata.
Una delle case è stata anche recuperata e trasformata in una esposizione
Cosa che però mi sorprende di più è che la guida locale ci dice che Tamiz da sempre è stata famosa per essere una cittadina neutrale e non ha mai conosciuto guerre. Non so se sia vero, ma un paio di fonti trovate successivamente online sembrano confermare. Prima di andare ci affacciamo al belvedere della cittadina
Anche loro si godono il panorama
Da Tamiz a Qabaw Kaser sono 20 minuti. Anche qui la struttura del granaio è molto particolare, forse leggermente più grezza
Ci sono ancora resti delle anfore per l’olio
e la macina di un frantoio
Finiamo il giro e prima di continuare la strada verso Ghadames, facciamo una sosta benzina. Costo per 130 litri di gasolio circa 3 USD, si tre dollari.
Ne approfittiamo per mangiare e bere qualcosa. Prendo un sandwich e bevo l’unica bevanda made in Libia che c’è in frigo, un bitter. Scelgo quello verde, gusto non pervenuto.
Sono le 14:30 circa, riprendiamo la marcia. Ci sono ancora quattro ore tra noi e Ghadames. L’autista schiaccia il piede, fuori fa caldo, la temperatura è estiva.
All’improvviso un’esplosione. Qualcuno urla, l’autobus sbanda, l’autista non frena, andiamo dritti nella sabbia, l’autobus si solleva da un lato, rimbalza sulla strada e ancora un’altra esplosione.
Si sente rumore di ferraglia che si trascina sull’asfalto, l’autobus continua a sbandare per altre decine di metri. Finalmente si ferma. Sono incredulo, una ventina di secondi di paura, ho pensato veramente che ci ribaltassimo. Due gomme esplose. Scendiamo dall’autobus, siamo nel nulla, solo sabbia. La gomma esterna posteriore non esiste più, quella interna è tutta lacerata. C’è anche un tubo spaccato dal quale esce aria e tutta la fiancata danneggiata, un pezzo è volato via. Gli sguardi sono tutti preoccupati e sbalorditi, alcuni impauriti. La sensazione è stata davvero brutta, improvvisa e violenta.
Passato lo shock, l’autista, la scorta e la guida parlano tra loro, cercano di capire cosa fare. Il fatto è che il primo centro abitato è ad almeno 20 chilometri. L’autista non si scompone, si riparte così. 20 chilometri di inferno continuando a perdere pezzi a 30/40 Km/h. Forse c’è un gommista. Impieghiamo quasi un’ora per percorrere la distanza ma nel frattempo tra telefonate e messaggi, le guardie hanno trovato un meccanico.
Questa una delle due gomme saltate.
Iniziano le ispezioni, prima la guardia, poi l’autista, poi la guida locale (che nel frattempo ci raggiunge, avvisata a telefono dalla nostra scorta).
Finalmente arriva il meccanico. C’è da sistemare parecchia roba. La traversata in quelle condizioni ha spaccato le sospensioni ed alcuni cavi che resteranno non identificati e non riparati per tutto il resto del viaggio.
Nel frattempo, il gruppo resta a bordo, chi guarda una serie TV, chi ascolta musica, chi dorme. Io scatto qualche foto del momento ed inizio a comunicare per le prime volte con Abdou Fatar, che si dà da fare per sistemare il tutto.
Trovare i pezzi risulta complicato, quindi succede l’incredibile. Il meccanico smonta le sospensioni da un camion parcheggiato nel capannone e le adatta all’autobus, poi arrivano due gomme usate ma decenti.
Si continua a lavorare ed io giro nel capannone cercando contatti con la gente del posto. L’unica cosa che riesco a fare è incazzarmi dopo che questa bestia sversa così un bel fusto di un liquido schiumoso che puzza di chimico. Ovviamente ciabattine di sicurezza Hermes.
Mi giro dall’altra parte, sono le 17:30, le gomme sembrano montate.
Abdou Fatar, la guardia fissa, quello con la maglia arancione, sembra meno rigido e comincia a parlarmi. Un poco in arabo, un poco a gesti quando non capisco. Finiamo a ridere e a darci una pacca sulla spalla, mi dice che è tutto esperienza.
Nel frattempo, noto una cosa. I ragazzi in giro, il meccanico, la gente che passa sulla strada, sono tutti ragazzi dell’Africa sub-sahariana, giovani, altri giovanissimi, la maggior parte uomini. Visto il clima tranquillo, chiedo ad uno di loro “where are you from?”. “Niger” e poi indicando l’altro “Mali”. Io gli dico “Italia” e lui mi sorride dicendomi in francese che è lì che tra qualche tempo andrà. La discussione finisce ma inizio a farmi un’idea che poi confermerò nei giorni seguenti. Questi ragazzi sono lì arrivati dal deserto. Burkina Faso, Niger, Mali, Chad i paesi di partenza. Passano attraverso il non controllato confine a sud e poi si stabiliscono due, tre anni nelle cittadine a poche ore da Tripoli, protetti dalle mafie locali. Lavorano in queste condizioni, una volta poi pagato il debito (il passaggio dall’Africa sub-shariana alla Libia) ed il credito (traversata Mediterraneo) sono accompagnati sulla costa e tentano la traversata per Lampedusa. Il tutto significa circa 7000/8000 USD. Una storia triste che conosciamo tutti, ma che vista dal vivo fa molta tristezza, molti di questi, infatti, il sogno non lo vivranno mai.
Il sole inizia a calare, siamo tutti stanchi ma finalmente si riparte. La sosta non preventivata ha confermato che basta mettere il naso pochi centimetri dentro quello che non si deve vedere per rendersi conto di cosa è veramente la Libia.
Mancano 4 ore a Ghadames, c’è forse un’ora ancora di luce, il resto sarà al buio, in una strada drittissima che affaccia sul deserto. La notte non tarda ad arrivare, l’ansia di arrivare è altissima, l’autista spinge il piede sull’acceleratore e come in un film tragicomico, altro botto, questa volta tra le urla della scorta, della guida e di chi era rimasto sveglio.
Apro gli occhi, qualcuno grida “Again, again, wtf!” dal mio finestrino vedo un cammello che vola via, sangue sul finestrino. Non ci posso credere, abbiamo preso un cammello sul lato sinistro dell’autobus. Ci fermiamo, l’autista è in lacrime, il cammello morto, l’autobus sporco di sangue, il parabrezza danneggiato. Passiamo un’ora nel nulla, al buio, prima che finalmente l’autista si riprenda dallo shock e decida di ripartire. Il cammello stecchito resta ai bordi della strada. Arriviamo in albergo a mezzanotte, 17 ore di viaggio. Ci offrono la cena, io mangio solo un poco di frutta, ho solo voglia di lavarmi e dormire.
Il giorno dopo questo è l’aspetto dell’autobus, l’autista ha tolto il grosso del sangue ma i segni dell’impatto si vedono. Di lato manca un pezzo della carrozzeria.
...continua...