[TR] - Do not travel to Vol. III - Libia: terra di deserto, storia e petrolio.


Gadames... E la mente vola, alla tappa della Parigi Dakar quando era la Parigi Dakar.
 
Le rotonde stradali col monumento decorativo al centro sono molto comuni in tutti i Paesi arabi e fanno molto anni ‘80!
 
Bellissimo, epicità che trasuda da ogni riga e da ogni foto. Foto di Leptis Magna spettacolari.

Ci sono problemi a far foto? Nel senso, le guide/protettori hanno mai vietato di fotografare qualcosa o chiesto di cancellare foto? Occorre essere discreti o tirare fuori una reflex è ok?

Entro, prendo noci, mandorle e datteri. Poi faccio un giro. Mi interessa capire che prodotti ci siano in Libia, cosa si possa comprare, cosa compra la gente. Il supermercato è fornitissimo.

View attachment 20764

I supermercati interessano tantissimo anche a me, se riesco sbircio sempre cosa comprano i locali. Certo che panettone e pandoro sembrano davvero prodotti strani da vendere, in Libia, in primavera - ho qualche idea sull'origine della merce...

DaV
 
In ogni paese girare per supermercati, mercati e botteghe è una delle esperienze migliori per capire come si vive da quelle parti: cosa c'è di prodotti e marche in vendita, e a che prezzo. Ed è spesso una occasione di contatto diretto con le persone.

Mia madre, con gli Amici dei musei di Firenze, si è girata tutto il girabile nell'area MENA, salvo l'Iraq e l'Algeria: parlo del periodo 1985-1995, appena i paesi aprivano al turismo. Viaggi organizzati, ovviamente. Ma i racconti del cosa visto, delle persone incontrate (ripeto: tra i primi turisti sia in Libia che in Iran, con inviti a feste o cene negli alberghi da parte dei residenti) me li ricordo bene. E mi maledico per non averla accompagnata: in Libia riuscirono a visitare sia la Tripolitania che la Cirenaica, e le foto che riportò di Leptis Magna, Sabratha e Cirene raccontavano di posti bellissimi.

Grazie Principe. Ci sono posti e persone bellissime dovunque; alcuni li conosciamo, altri possiamo conoscerli grazie a persone come te curiose, sensibili e pronte a condividere le esperienze.Grazie davvero.
 
Ultima modifica:
Sono stato curioso di vedere Leptis Magna sia dai tempi del Liceo, grazie delle foto!

Se ne vuoi altre, te le mando anche stampate a casa

Le rotonde stradali col monumento decorativo al centro sono molto comuni in tutti i Paesi arabi e fanno molto anni ‘80!

Si vero. Purtroppo soldi buttati 😅

Bellissimo, epicità che trasuda da ogni riga e da ogni foto. Foto di Leptis Magna spettacolari.

Ci sono problemi a far foto? Nel senso, le guide/protettori hanno mai vietato di fotografare qualcosa o chiesto di cancellare foto? Occorre essere discreti o tirare fuori una reflex è ok?
DaV

Grazie. Per le foto no. Nessun particolare problema. Alcuni posti sono chiaramente non da fotografare (eg militari, donne sole, black market) ma in generale tutto tranquillo sia con foto che con video, incluse reflex e GoPro.

Certo che panettone e pandoro sembrano davvero prodotti strani da vendere, in Libia, in primavera - ho qualche idea sull'origine della merce...

Penso di avere la stessa idea…certezza

Grazie Principe. Ci sono posti e persone bellissime dovunque; alcuni li conosciamo, altri possiamo conoscerli grazie a persone come te curiose, sensibili e pronte a condividere le esperienze.Grazie davvero.

Grazie.

Io sono felice di condividere queste esperienze, ma come ho scritto all’inizio, cogliere il messaggio che si cela dietro racconti provenienti da luoghi come la Libia non è semplice: servono curiosità e intelligenza anche per questo. Sai quante volte mi sono sentito dire “ma che minc*** vai a fare?” “Poi se ti rapiscono noi paghiamo…” “ma c’è la guerra…”
Insomma, ci siamo capiti 😅
 
Io sono felice di condividere queste esperienze, ma come ho scritto all’inizio, cogliere il messaggio che si cela dietro racconti provenienti da luoghi come la Libia non è semplice: servono curiosità e intelligenza anche per questo. Sai quante volte mi sono sentito dire “ma che minc*** vai a fare?” “Poi se ti rapiscono noi paghiamo…” “ma c’è la guerra…”
Insomma, ci siamo capiti 😅
Purtroppo, ci siamo capiti. Grazie per l'offerta delle foto. Se non ti dispiace ne scarico una mezza dozzina dal TR
 
Ma che bel TR. Questo sì che è viaggiare. Grazie per portarci con te!
 
GHADAMES ED IL DESERTO

Le distanze in Libia sono importanti, si misurano in ore, i km non hanno senso se di mezzo ci sono deserti, checkpoints, traffico, strade interrotte, soste. Da Tripoli a Ghadames sono, salvo imprevisti, 10/12 ore di strada. Per fortuna, l’itinerario prevede qualche sosta, ci fermeremo a vedere Qasr al Hajj, la città vecchia di Tamzin ed il granaio di Kabaw Qaser.

Partiamo all’alba, con il solito seguito di guardie e guide. La città lascia ben presto spazio alla terra arida, il grigio del cemento diventa piano piano ocra, la sabbia, la terra e la polvere si mischiano. Circa tre ore per arrivare alla prima sosta.

1746538447480.jpeg

Questa struttura è un castello berbero di circa 900 anni. È una enorme fortificazione poi utilizzata anche come granaio. L’esterno è sostanzialmente insignificante. L’interno è così

1746538447501.jpeg

Ci sono un centinaio di cellette, dove venivano conservati grano, orzo ed olio. La struttura è affascinante ed è ben conservata. Con un po’ di acrobazie riesco ad arrampicarmi su una delle finestrelle più alte. Scattiamo qualche foto. Nei dintorni ci sono delle case, qualcuno le definirebbe “sgarrupate”. Quando ci vedono, dei bambini mi saltano letteralmente addosso. Uno di quei momenti di umanità per cui amo viaggiare.

1746538447528.jpeg

L’autista intanto ha deciso di ingannare l’attesa così.

1746538447561.jpeg

Quando ha finito, si riparte in direzione di Tamzin, sull’altopiano del Gebel Nafusa. La Vecchia città di Tamzin, oggi abbandonata mi ricorda Craco in Basilicata.

1746538447601.jpeg

1746538447627.jpeg

1746538447652.jpeg

1746538447681.jpeg

1746538447702.jpeg

Una delle case è stata anche recuperata e trasformata in una esposizione

1746538447729.jpeg

1746538447755.jpeg

1746538447781.jpeg

1746538447807.jpeg

1746538447839.jpeg

1746538447863.jpeg

Cosa che però mi sorprende di più è che la guida locale ci dice che Tamiz da sempre è stata famosa per essere una cittadina neutrale e non ha mai conosciuto guerre. Non so se sia vero, ma un paio di fonti trovate successivamente online sembrano confermare. Prima di andare ci affacciamo al belvedere della cittadina

1746538447887.jpeg

Anche loro si godono il panorama

1746538447908.jpeg

Da Tamiz a Qabaw Kaser sono 20 minuti. Anche qui la struttura del granaio è molto particolare, forse leggermente più grezza

1746538447931.jpeg

1746538447955.jpeg

1746538447976.jpeg

Ci sono ancora resti delle anfore per l’olio

1746538447997.jpeg

e la macina di un frantoio

1746538448022.jpeg

Finiamo il giro e prima di continuare la strada verso Ghadames, facciamo una sosta benzina. Costo per 130 litri di gasolio circa 3 USD, si tre dollari.
Ne approfittiamo per mangiare e bere qualcosa. Prendo un sandwich e bevo l’unica bevanda made in Libia che c’è in frigo, un bitter. Scelgo quello verde, gusto non pervenuto.

1746538448047.jpeg

Sono le 14:30 circa, riprendiamo la marcia. Ci sono ancora quattro ore tra noi e Ghadames. L’autista schiaccia il piede, fuori fa caldo, la temperatura è estiva.
All’improvviso un’esplosione. Qualcuno urla, l’autobus sbanda, l’autista non frena, andiamo dritti nella sabbia, l’autobus si solleva da un lato, rimbalza sulla strada e ancora un’altra esplosione.
Si sente rumore di ferraglia che si trascina sull’asfalto, l’autobus continua a sbandare per altre decine di metri. Finalmente si ferma. Sono incredulo, una ventina di secondi di paura, ho pensato veramente che ci ribaltassimo. Due gomme esplose. Scendiamo dall’autobus, siamo nel nulla, solo sabbia. La gomma esterna posteriore non esiste più, quella interna è tutta lacerata. C’è anche un tubo spaccato dal quale esce aria e tutta la fiancata danneggiata, un pezzo è volato via. Gli sguardi sono tutti preoccupati e sbalorditi, alcuni impauriti. La sensazione è stata davvero brutta, improvvisa e violenta.

Passato lo shock, l’autista, la scorta e la guida parlano tra loro, cercano di capire cosa fare. Il fatto è che il primo centro abitato è ad almeno 20 chilometri. L’autista non si scompone, si riparte così. 20 chilometri di inferno continuando a perdere pezzi a 30/40 Km/h. Forse c’è un gommista. Impieghiamo quasi un’ora per percorrere la distanza ma nel frattempo tra telefonate e messaggi, le guardie hanno trovato un meccanico.

Questa una delle due gomme saltate.

1746538989728.jpeg

Iniziano le ispezioni, prima la guardia, poi l’autista, poi la guida locale (che nel frattempo ci raggiunge, avvisata a telefono dalla nostra scorta).

1746538989751.jpeg

1746538989772.jpeg

Finalmente arriva il meccanico. C’è da sistemare parecchia roba. La traversata in quelle condizioni ha spaccato le sospensioni ed alcuni cavi che resteranno non identificati e non riparati per tutto il resto del viaggio.

1746538989795.jpeg

Nel frattempo, il gruppo resta a bordo, chi guarda una serie TV, chi ascolta musica, chi dorme. Io scatto qualche foto del momento ed inizio a comunicare per le prime volte con Abdou Fatar, che si dà da fare per sistemare il tutto.

Trovare i pezzi risulta complicato, quindi succede l’incredibile. Il meccanico smonta le sospensioni da un camion parcheggiato nel capannone e le adatta all’autobus, poi arrivano due gomme usate ma decenti.

Si continua a lavorare ed io giro nel capannone cercando contatti con la gente del posto. L’unica cosa che riesco a fare è incazzarmi dopo che questa bestia sversa così un bel fusto di un liquido schiumoso che puzza di chimico. Ovviamente ciabattine di sicurezza Hermes.

1746538989816.jpeg

Mi giro dall’altra parte, sono le 17:30, le gomme sembrano montate.

1746538989840.jpeg

Abdou Fatar, la guardia fissa, quello con la maglia arancione, sembra meno rigido e comincia a parlarmi. Un poco in arabo, un poco a gesti quando non capisco. Finiamo a ridere e a darci una pacca sulla spalla, mi dice che è tutto esperienza.

Nel frattempo, noto una cosa. I ragazzi in giro, il meccanico, la gente che passa sulla strada, sono tutti ragazzi dell’Africa sub-sahariana, giovani, altri giovanissimi, la maggior parte uomini. Visto il clima tranquillo, chiedo ad uno di loro “where are you from?”. “Niger” e poi indicando l’altro “Mali”. Io gli dico “Italia” e lui mi sorride dicendomi in francese che è lì che tra qualche tempo andrà. La discussione finisce ma inizio a farmi un’idea che poi confermerò nei giorni seguenti. Questi ragazzi sono lì arrivati dal deserto. Burkina Faso, Niger, Mali, Chad i paesi di partenza. Passano attraverso il non controllato confine a sud e poi si stabiliscono due, tre anni nelle cittadine a poche ore da Tripoli, protetti dalle mafie locali. Lavorano in queste condizioni, una volta poi pagato il debito (il passaggio dall’Africa sub-shariana alla Libia) ed il credito (traversata Mediterraneo) sono accompagnati sulla costa e tentano la traversata per Lampedusa. Il tutto significa circa 7000/8000 USD. Una storia triste che conosciamo tutti, ma che vista dal vivo fa molta tristezza, molti di questi, infatti, il sogno non lo vivranno mai.

Il sole inizia a calare, siamo tutti stanchi ma finalmente si riparte. La sosta non preventivata ha confermato che basta mettere il naso pochi centimetri dentro quello che non si deve vedere per rendersi conto di cosa è veramente la Libia.

Mancano 4 ore a Ghadames, c’è forse un’ora ancora di luce, il resto sarà al buio, in una strada drittissima che affaccia sul deserto. La notte non tarda ad arrivare, l’ansia di arrivare è altissima, l’autista spinge il piede sull’acceleratore e come in un film tragicomico, altro botto, questa volta tra le urla della scorta, della guida e di chi era rimasto sveglio.
Apro gli occhi, qualcuno grida “Again, again, wtf!” dal mio finestrino vedo un cammello che vola via, sangue sul finestrino. Non ci posso credere, abbiamo preso un cammello sul lato sinistro dell’autobus. Ci fermiamo, l’autista è in lacrime, il cammello morto, l’autobus sporco di sangue, il parabrezza danneggiato. Passiamo un’ora nel nulla, al buio, prima che finalmente l’autista si riprenda dallo shock e decida di ripartire. Il cammello stecchito resta ai bordi della strada. Arriviamo in albergo a mezzanotte, 17 ore di viaggio. Ci offrono la cena, io mangio solo un poco di frutta, ho solo voglia di lavarmi e dormire.

Il giorno dopo questo è l’aspetto dell’autobus, l’autista ha tolto il grosso del sangue ma i segni dell’impatto si vedono. Di lato manca un pezzo della carrozzeria.

1746538989862.jpeg

...continua...
 
Ultima modifica:
...continua da post precedente...

Dopo colazione, è finalmente ora di vedere la città di Ghadames. Ci avviamo a piedi, nessuno ha voglia di rimettersi su quel catorcio anche se per un paio di chilometri. La città nuova è un ammasso di palazzi brutti e qualche murales fotografabile.

1746539364225.jpeg

1746539364249.jpeg

Veniamo raggiunti da una guida locale che ci racconterà la storia della città ed ovviamente dalla scorta. Al collo ha un collarino dell’Enav, non posso che chiedergli una foto.

1746539364270.jpeg

Mi racconta che lavorava a Tripoli al controllo del traffico aereo e tutti i corsi e le certificazioni li ha fatti presso Enav a Roma.

Di Ghadames vi racconto poco, è una delle città più vecchie del Sahara, era uno dei punti di sosta più importanti sulla rotta trans-sahariana che da Timbuktu portava alle aree costiere della Libia ed è patrimonio mondiale dell’Umanità. Oggi la città vecchia è stata abbandonata ma è conservata in maniera impeccabile ed è veramente interessante per come è costruita. Le foto seguenti danno una idea della visita che è durata ben cinque ore.

1746539364290.jpeg

1746539364308.jpeg

1746539364325.jpeg

1746539364344.jpeg

1746539364365.jpeg

1746539364380.jpeg

1746539364407.jpeg

1746539364423.jpeg

1746539364442.jpeg

1746539364459.jpeg

1746539364480.jpeg

1746539364502.jpeg

1746539364521.jpeg

1746539364536.jpeg

1746539364556.jpeg

1746539364585.jpeg

1746539364600.jpeg

Poche considerazioni, oggi ci sono 35 gradi ed il sole è estremamente forte. Nonostante ciò, tra i vicoli e le stradine della città c’è un microclima ed una ventilazione che rendono la passeggiata piacevolissima. Pur non essendo più abitate le case sono utilizzate quando fa troppo caldo. La guida ci conferma che durante l’estate, quando si raggiungono i 45/47 gradi, c’è gente che ci viene a dormire perché nemmeno l’aria condizionata delle case moderne regge il confronto.

Durante la passeggiata, io ed un’altra ragazza ci arrampichiamo su un tetto. Guardandomi intorno mi rendo conto che la cittadina è un tetto unico. Si può arrivare praticamente in qualsiasi altro punto passando da una casa all’altra. La foto seguente non è mia ma dà una idea di quello che intendo

1746539364618.jpeg

C’è tanto verde, ci sono principalmente palme da dattero ma anche agrumi e melograni. C’è anche una piccola fattoria che viene anche usata a scopi didattici. Ci chiediamo da chi ma ormai la Libia è tutta una sorpresa.

Come dicevo prima, camminiamo per quasi cinque ore. Nonostante mi sia scolato già quattro bottigliette d’acqua sono disidratato. Gli altri lo stesso. La guida continua a parlare ma ormai facciamo tutti fatica a seguirlo. Il suo entusiasmo è stoico ma il nostro fisico non regge più. Finalmente ci avviamo verso una delle case ancora ammobiliata dove consumeremo il pranzo preparato da una famiglia del posto. Questo l’antipasto, il main, couscous con verdure ho dimenticato di fotografarlo. Tutto sommato non male.

1746539364639.jpeg

Finito il pranzo, torniamo in albergo per una pausa di un paio d’ore. Abdou Fatar è così, comincia a starmi simpatico.

1746539364657.jpeg

Non ho la mia foto sul letto, ma la posizione per le prossime due ore è la stessa. L’appuntamento è alle 18:00 alla reception. Si va nel Sahara, per fortuna non con l’autobus ma con le Jeep 4x4.

Facciamo una trentina di chilometri direzione sud costeggiando il confine algerino

1746539364671.jpeg

Per chi è stato nel deserto, sa quali sono le sensazioni, ci si sente piccoli, impotenti, persi, spaesati. Il Sahara poi, al tramonto ha i colori della meraviglia. Ci perdiamo, a piedi tra le dune

1746539364686.jpeg

1746539364699.jpeg

La carovana di sei mezzi si divide, si alzano le bandierine segnaletiche e facciamo una ventina di minuti di dune bashing. Quando siamo al limite del vomito, tra le risate e le urla , ci fermiamo per il classico te con i tuareg ed il pane cotto nella sabbia

1746539364721.jpeg

Un poco turistico per i miei gusti ma vabbè, ci sta pure questo in una Libia che cerca di ripartire da qualcosa.

Restiamo a guardare le stelle fino alle 21:00 riscaldati dal fuoco

1746539364738.jpeg

Quando inizia a fare troppo freddo, ripartiamo in direzione Ghadames, bisogna tornare. C’è solo un problema, uno degli autisti per fare lo splendido prende una roccia in pieno e spacca un cerchio. Siamo al limite del comico, davvero iniziamo tutti a ridere e a prenderla con filosofia. Per fortuna, il cambio ruota è veloce, venti minuti e ripartiamo.

1746539364755.jpeg

1746539364781.jpeg

Torniamo in albergo in tempo per una piccola cena, stasera pollo, riso e anguria.

Visitare Ghadames, un posto a metà tra la storia e il mitico è stato bello ma quello che resterà nel mio bagaglio di ricordi ancora una volta è il contatto con la gente che seppur minimo e filtrato comincia in qualche modo ad essere presente. Perfino la scorta e la guida cominciano ad essere meno istituzionali, mi parlano anche di cose private, di amicizie, fanno battute. Insomma, la cortina per quanto spessa possa essere non potrà mai delimitare il bisogno di umanità e connessione. Vado a letto felice, oggi è stata una bellissima giornata.

Il giorno dopo, apro gli occhi alle 6:00, la mia camera dà su un parco di palme. Apro la porta, mi godo l’aria fresca e guardo il sole sorgere. I colori sono indefiniti tra il giallo, il viola e l’azzurro. Mi vesto e vado a fare colazione, sono solo. Mangio pane, datteri, halva, un’arancia, qualche pezzo di formaggio fresco. Nel frattempo, arriva Abdoul, la guida. Si siede con me. Iniziamo a parlare del più e del meno, mi racconta che ha cinque figli, che gli mancano quando è in giro, che nella vita normale lavora per la dogana, che sua moglie lavora come infermiera, gli racconto anche io della mia vita. È la prima volta che parliamo così a lungo e finalmente si apre, mi spiega tante cose, sembra non farsi troppi problemi e mi sembra veramente disponibile a parlare. Mi spiega dei ragazzi di ieri e del viaggio dal Mali o dal Niger all’Europa, mi dice di come funziona la polizia turistica, le guide locali, la necessità del controllo del territorio, le aree dove ci sono le milizie, le aree off-limits, le aree a rischio sequestri. Mi spiega anche che nessuno crede nel governo, che non sanno chi comanda e che tutte queste divisioni sono il motivo per cui in un paese come la Libia la democrazia non può funzionare. In inglese, quando gli chiedo come potrebbe funzionare, lui dice “democracy, though not a 100% democracy. A strong leader, you know, who keeps people together but allows a bit more freedom than in the past…”. Il messaggio è chiaro, il riferimento al rais anche e ovviamente non mi dirà mai che si stava meglio quando si stava peggio ma credo che in tanti, guardando cosa è la Libia oggi pensino che se solo Gheddafi avesse dato un poco di libertà in più forse sarebbe ancora al suo posto. Insomma, una differente prospettiva che avevo inteso ma non ancora compreso a pieno.

Cominciano ad arrivare gli altri, piano piano i discorsi tornano nei ranghi del consentito. Anche la scorta si avvicina ed oggi quando mi vede, mi chiede “how are you my friend?”. Vuoi vedere che anche lui vuole raccontarmi qualcosa?

Oggi sarà una giornata lunga. Si torna a Tripoli, sono una decina di ore se tutto va bene. Siamo preoccupati per le condizioni dell’autobus ma non c’è nessuna alternativa ad incrociare le dita e sperare che tutto proceda per il meglio. Faremo una sola sosta, Nalut, anche qui per la visita del suo castello, granaio.

L’esterno

1746539364802.jpeg

E l’interno, in tutto il suo particolare splendore.

1746539364827.jpeg

1746539364850.jpeg

1746539364876.jpeg

Due presenze fisse, frantoio e Abdou Fatar

1746539364900.jpeg

Ripartiamo, proseguendo nella vallata

1746539364926.jpeg

Tripoli è lontana, tra check points e polizia che continua a fotografare i nostri permessi e passaporti arriviamo in città per ora di cena.

1746539364948.jpeg

Per fortuna questa volta fila tutto liscio. Niente cammelli, niente gomme scoppiate, niente problemi. Visto l’orario e la possibilità di avere una cena decente, chiediamo di andare in un ristorante che sembra essere uno dei migliori di Tripoli, si chiama “Casa Morischi” e si trova nella medina. È una vecchia casa tradizionale trasformata in un ristorante. Ceniamo veramente bene sulla terrazza all’ultimo piano, beviamo un paio di mocktail a testa, pane fresco fatto nel forno a legna, pollo, cous cous, verdure alla griglia ed infine anche un dolce. Le porzioni immense, il conto meno di 10 euro a testa. Purtroppo, foto non pervenute, il cibo mi ha distratto dal dovere di cronaca, mi ricordo di scattare solo quando vedo lui, nella sua iconica posa, sui divanetti all’ingresso.

1746539364971.jpeg

Facciamo un’ultima passeggiata tra i vicoli della medina, c’è ancora un poco di movimento, piano piano ci avviamo all’albergo, è ora di andare a dormire.



1746539364989.jpeg

Se fossimo in bici, questa giornata si direbbe tappa di trasferimento, nel gergo del mio viaggio le dodici monotone ore di autobus non importano, contano quei minuti intensi di domande e risposte che sono riuscito a strappare ad Abdoul ad inizio giornata.
Domani si va a Sabrata.
Buonanotte
 
Epico. Spiace per il camelide, ma le scene coll'autobus mi ricordano un po' certi viaggi in Asia Centrale, coi "dva minut" che diventano due ore.

Mi permetto di quotarti su questo pezzo qui:

Visto il clima tranquillo, chiedo ad uno di loro “where are you from?”. “Niger” e poi indicando l’altro “Mali”. Io gli dico “Italia” e lui mi sorride dicendomi in francese che è lì che tra qualche tempo andrà. La discussione finisce ma inizio a farmi un’idea che poi confermerò nei giorni seguenti. Questi ragazzi sono lì arrivati dal deserto. Burkina Faso, Niger, Mali, Chad i paesi di partenza. Passano attraverso il non controllato confine a sud e poi si stabiliscono due, tre anni nelle cittadine a poche ore da Tripoli, protetti dalle mafie locali. Lavorano in queste condizioni, una volta poi pagato il debito (il passaggio dall’Africa sub-shariana alla Libia) ed il credito (traversata Mediterraneo) sono accompagnati sulla costa e tentano la traversata per Lampedusa. Il tutto significa circa 7000/8000 USD. Una storia triste che conosciamo tutti, ma che vista dal vivo fa molta tristezza, molti di questi, infatti, il sogno non lo vivranno mai.

Prima di trasferirmi su queste sponde ho aiutato, nel mio piccolo, un gruppo di ragazzi arrivati a Biella proprio secondo questo tragitto, scappati dalla Libia col barcone all'inizio del conflitto che porto' alla morte di Gheddafi. Un paio giovanissimi, nemmeno 18enni, quasi tutti maliani o senegalesi, mandati dalle famiglie con le collette - un po' come facevano i nostri bisnonni per mandarne uno in America.

Le storie non me le hanno mai raccontate, loro, ma gli psicologhi che facevano volontariato parlavano che tutti questi ragazzi avevano sintomi di PTSD. S'erano visti, a parte una guerra, gente morire in barca, e in un paio di casi erano stati frustati dagli 'scafisti'/'schiavisti' con pezzi di cavo ad alta tensione. La guaina di gomma a fare da manico, e i fili di rame esposti a fare da gatto a nove code.
 
Concordo con @13900, veramente epico. Fantastico tutto. L'autobus che, nonostante tutto, continua ad andare, Ghadames, Tamzin, i granai, e per ultimo (ma non meno importante) lo shoc dell'autista quando si e' accorto di aver ammazzato un cammello.
 
Bellissimo!!!

Non so perché ma nei deserti -- nonostante le distanze, la solitudine, i pericoli -- quando si rompe un mezzo e ci si trova con le mani in mano, capita di sentirsi davvero liberi.
 
  • Like
Reactions: Dancrane
Bellissimo!!!

Non so perché ma nei deserti -- nonostante le distanze, la solitudine, i pericoli -- quando si rompe un mezzo e ci si trova con le mani in mano, capita di sentirsi davvero liberi.
Beh, oddio. In parte hai ragione ma dipende. Se sei solo o in compagnia/gruppo, quanto isolato e' il punto in cui sei, etc.

Io ho rotto il van nel Nullharbor australiano, eravamo in 2 con scorte per una settimana. Abbiamo aspettato un giorno (sotto al sole, dentro l'abitacolo a causa del miliardo di moscerini che popolano quelle lande) ed una notte (splendida, nel mezzo del nulla con una volta celeste incredibile) prima che un road train passasse e ci caricasse. Ti posso assicurare che dopo il panico iniziale per la rottura inizia la consapevolezza del "f**k it, aspettiamo qualcuno" ma la sensazione di liberta' sparisce gradualmente man mano che le ore passano.