Sky Europe come Myair Nella giungla «low cost» cadono i più piccoli
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Quando, meno di un anno fa, Myair e la slovacca Sky Europe annunciarono una partnership operativa che doveva portarle verso l’integrazione, qualche esperto commentò: «Un’alleanza tra disperati». Myair ha chiuso i battenti all’inizio dell’estate, Sky Europe il 31 agosto: un destino comune. Ieri si è assistito, di nuovo, al disagio e alle proteste di centinaia di passeggeri bloccati negli scali, costretti a ricomprare il biglietto di ritorno con una diversa compagnia (possono sperare nel rimborso soltanto coloro che hanno prenotato il volo di ritorno pagando con carta di credito); alcuni concorrenti sono stati pronti a offrire biglietti «d’emergenza», che hanno un po’ il sapore della solidarietà, un po’ quello del cinismo. Dagli scali italiani si sono adoperate Ryanair, EasyJet, Wizz air. Quest’ultima, ungherese, è la più grande low cost dell’Europa dell’Est (5,9 milioni di passeggeri nel 2008 contro i 3,6 di Sky Europe) e appare oggi evidente che quel mercato stenta ad alimentare due compagnie con modelli di business e reti di collegamento piuttosto simili.
Fondata il 6 settembre 2001, pochi giorni prima dell’attentato alle Torri gemelle, Sky Europe nasceva sulla scia di un momento di euforia economica e di ampia disponibilità di capitali. Pur registrando una crescita dimensionale costante (per la riuscita di una low cost le dimensioni sono essenziali), in realtà aveva sempre chiuso i bilanci in rosso. Dai 53 milioni di fatturato del 2004 era passata a 260 nel 2008, ma le perdite erano cresciute, anch’esse, da 10 a 59 milioni. Al 31 marzo 2009, su un fatturato semestrale di 85 milioni la perdita era stata di 32 milioni. Lo stesso esperto citato all’inizio ieri ha commentato: «Non mi stupisco che sia fallita, mi stupisco che volasse ancora». E dire che Sky Europe era anche riuscita a ottenere la fiducia (e i soldi) dell’Ue, della Bers, di Abn Amro; e che era approdata anche ai listini delle Borse di Vienna e di Varsavia, convinta di poter cavalcare, con l’aiuto dei risparmiatori, l’obiettivo di diventare la più grande compagnia low cost dell’Europa centrale: ma la capitalizzazione, che nel 2007 aveva raggiunto i 103 milioni, nel 2008 era scesa a 19 e a marzo a 6.
Molti si chiedono: è in crisi il modello low cost? No, in crisi, in realtà, è tutto il trasporto aereo mondiale, e le low cost - che pure, grazie alla loro fisionomia, sembrano meno esposte - soffrono quanto le compagnie tradizionali, ma hanno strumenti più flessibili per difendersi. Proprio ieri la Iata - l’associazione del trasporto aereo di linea (cui non aderiscono le compagnie a basso costo) - ha diffuso i dati del secondo trimestre 2009: le perdite sono state di altri 2 miliardi di dollari, che si aggiungono ai 4 miliardi già persi tra gennaio e marzo.
Il traffico in tutti gli aeroporti europei nel semestre è sceso del 10%, ma in parallelo, invece, le low cost più grandi vanno controcorrente: Ryanair ha aumentato il proprio fattore di riempimento dall’84 all’85%, trasportando il 13% di passeggeri in più nei 12 mesi; anche EasyJet, che ha avuto un rallentamento in primavera e un semestre in perdita, ha ripreso a crescere. A rischio sono le piccole low cost: perchè il modello esige grandi dimensioni per innescare il volano delle economie di scala. Risparmiare anche solo mezzo euro a passeggero dà un risultato diverso se i passeggeri sono tanti, come Ryanair, o sono pochi, come Sky Europe o Myair.
Io non lo ritengo corretto. Quello che sappiamo è che Ryanair paga pochissimo i dipendenti, non paga le tasse sul territorio italiano ai dipendenti, (e fa così in quasi tutta Europa risparmiando notevolmente). Poi ha altri benefici dal territorio, per aprire rotte in posti semisperduti.
Secondo me non solo cadono i più piccoli, infatti aziende serie come LH e AF e BA sono in crisi, le piccole falliscono se il modello di dumping non funziona più.