Passera e il famoso piano nazionale aeroporti


Leggo con interesse le vostre considerazioni, le leggo da semplice appassionato di aerei. Tuttavia credo di comprendere piuttosto bene alcune problematiche poichè il mio lavoro mi porta a contatto con una realtà, la realtà dei trasporti ferroviari della penisola, che è anch'essa uno specchio fedele delle istituzioni e, in ultimo, del cittadino medio.
Faccio spesso una considerazione, tra me e me, leggendo sulla stampa righe sul welfare, che nel nostro paese sarebbe assente e/o carente. Io credo invece che l'italia sia lo stato al mondo con il welfare, in senso lato ovviamente, piu efficiente in assoluto. Credo sia difficile trovare altrove una realtà dove si mantengono in vita posizioni fallimentari, situazioni insostenibili, posti di lavoro ingiustificabili etc etc..
E' un problema di cultura, nient'altro secondo me. Uniti di fronte a 11 in pantaloncini che tirano calci al pallone, accecati da una spicciola, stupida e controproducente individualità nel momento delle decisioni che contano. E' cosi che l'italiano medio è, ed è cosi che vive. Inutile lamentarsi di chi lo governa, sono esattamente cio che lui vorrebbe essere. Fondamentalmente è una forma latente di gelosia

ot. ma in che lista sei ti voto....subito.....!! parole sante! :)
 
All'estero si danno da fare mentre nel bel paese si spreca solo tempo in chiacchiere da riunione condominiale come di seguito, e intanto l'Italia affonda:

Montichiari? Giù le mani

AEROPORTI. Convegno sul futuro degli scali in Val Padana. I milanesi, divisi tra Malpensa e Linate e con Bergamo ormai saturo, guardano a Brescia. Ma Verona non molla. E lo scalo veronese pensionerà il nome di Catullo. Arena: «Ci stiamo pensando: ne vogliamo uno che sia più conosciuto nel mondo»

La Lombardia torna all'attacco per attrarre a sè l'aeroporto di Montichiari, ma la società Catullo con il suo presidente Paolo Arena non molla. Il tema è stato ieri al centro di un dibattito promosso dalla Fondazione Corriere della Sera a Milano che è ruotato attorno al patron di Esselunga, Bernardo Caprotti, e al suo sogno di creare un hub intercontinentale nell'area areoportuale di Montichiari che tra lo scalo civile e quello militare di Ghedi si estende su un'area di 44 chilometri quadrati, più vasta, per capirsi, del londinese Heathrow, dello statunitense JKF e del francese Charles De Gaulle. «Nella valle del Po abbiamo diritto ad avere il nostro hub», ha spiegato Caprotti, che ha precisato: «Di aeroporti non ne so niente, ma sono un ubicazionista, nel senso che so cosa bisogna fare per trovare un'ubicazione giusta». Idea affascinante e sostenuta sicuramente da valide motivazioni, peccato però che come ha spiegato il presidente Paolo Arena i documenti programmatori di Enac dicano che Montichiari deve essere a vocazione cargo e con riserva di capacità per passeggeri eventuali nel caso Orio al Serio andasse in difficoltà; peccato anche che sia di proprietà della Catullo che non intende cederlo anche perché ha investito 80 milioni in infrastrutture e che il ministro Passera ha in testa idee diverse. Tanto è vero che non ha ricompreso Montichiari nel Piano nazionale degli aeroporti e che la concessione non è stata ancora rilasciata. Nonostante questo, «Montichiari è un aeroporto destinato a diventare sempre più importante e fondamentale per il trasporto delle merci, al servizio del Nord Italia e non solo, così come richiesto dalle nostre imprese che esportano e sono costrette a rivolgersi agli hub svizzeri o tedeschi». E se di aeroporti in grado di soddisfare la domanda di passeggeri nei prossimi anni ce ne sono, di scali specializzati per il cargo invece no. E ci sono 600 mila tonnellate di merci da intercettare. Detto questo, è vero, ha riconosciuto Arena, che c'è bisogno di farsi conoscere di più all'estero con i nostri aeroporti e proprio per questo ha anticipato che lo scalo veronese cambierà nome: il nome Catullo andrà presto in pensione perché sconosciuto all'estero e nel mondo, anche se non è stato ancora deciso il nuovo. «Siamo in una fase di studio e riflessione», ha detto a margine Arena, «per trovare un nome che possa sintetizzare il nostro territorio di riferimento, dalle Dolomiti al Garda alle città d'arte». Ma perché questo interesse lombardo per Montichiari? Intanto perché Montichiari è in Lombardia e già solo per questo fatto geografico sembra poter essere automaticamente assimilato agli aeroporti lombardi. Ma soprattutto perché questo scalo è visto come soluzione esterna a un corto circuito che si è creato sugli aeroporti milanesi e che vede, come ha detto anche Caprotti, la città divisa in fazioni. C'è chi ritiene che costruire Malpensa così lontano da Milano sia stato un errore e non possa mai diventare un vero hub intercontinentale; altri ritengono invece che si debba chiudere il city airport di Linate in modo che gli 8 milioni di passeggeri che transitano da qui si spostino su Malpensa che avrà così più massa critica; ci sono poi i difensori di Linate che sostengono: «Meno male che c'è e non è stato chiuso». Per ultimo, va aggiunto che lo scalo di Orio al Serio come ha detto il presidente della società Sacbo, Miro Radici, andrà incontro a forti limitazioni nel traffico aereo per problemi di impatto ambientale e di rumore: presto verranno limitati i voli notturni, cioè i cargo. In più, Sacbo dovrà rifare la pista dell'aeroporto. Infatti, ci sono i grandi colossi spedizionieri che stanno decidendo dove spostarsi: se su Malpensa o su Montichiari. E qui arriviamo al punto strategico: il rilascio della concessione. Non concederla, significa da parte del Governo fare una precisa scelta politica e industriale, consentendo ad altri di svilupparsi e penalizzare bresciani, veronesi e trentini. Solo la concessione, del resto, può dare certezza operativa al sistema aeroportuale e consentire di condurre in porto i contratti. «Montichiari non ha funzionato», ha aggiunto Arena, «perché in passato non siamo riusciti a cogliere alcune occasioni, ma ora che altri aeroporti vanno a saturazione noi abbiamo grandi opportunità intercettando le merci che se ne vanno altrove: non vogliamo fare la guerra a nessuno». La necessità di uno scalo dedicato alle merci è stato ribadito anche da Carlo Mazzi, vicepresidente di Prada mentre Francesco Bettoni presidente della Brebemi ha sottolineato come Montichiari sia sempre meglio collegato a autostrade e infrastrutture, tema ribadito anche dal presidente della Provincia di Brescia Daniele Molgora: «Montichiari è stato messo nelle condizioni di essere l'aeroporto meglio servito del Nord Italia».

Maurizio Battista
 
E lo scalo veronese pensionerà il nome di Catullo. Arena: «Ci stiamo pensando: ne vogliamo uno che sia più conosciuto nel mondo»
Ci sono sempre "Giulietta & Romeo"no?!
 
Segnalo sul tema un'inchiesta di Repubblica. Questo l'articolo principale:

La sprecopoli dei mini aeroporti: 150 milioni bruciati in tre anni

Dei 101 aeroporti nazionali, solo pochi riescono a far quadrare i conti, gli altri sono scali fantasma i cui costi ricadono sugli enti locali. Da Bolzano a Foggia le sale d'attesa sono deserte e ci sono più dipendenti che passeggeri. Le politiche di Ryanair e il nuovo piano Monti, parola d'ordine: "Basta sprechi"

MILANO - Pompieri pagati per aspettare aerei che non arrivano mai. Baristi, uomini radar e poliziotti di frontiera impegnati 24 ore su 24 - quasi sempre a spese dei contribuenti - a girare i pollici in attesa di accudire 21 passeggeri al giorno. Centinaia di milioni di denaro pubblico spesi per faraonici terminal dove non transita nessuno. La sprecopoli dei mini-aeroporti italiani, una trentina di scali-bonsai cresciuti all'ombra della politica e dei campanili, ha tinto di rosso i cieli tricolori.

Abbiamo costruito in allegra anarchia piste e torri di controllo in ogni angolo del Belpaese, spesso a pochi chilometri l'uno dall'altro. E oggi i nodi stanno arrivando al pettine: dei 101 aeroporti civili nazionali solo pochi (in genere i big) riescono a far quadrare i conti. Gli altri sono cattedrali nel deserto: le sale d'attesa restano vuote, ai check-in ci sono più addetti che clienti. E il conto da pagare è altissimo: gli enti locali si sono caricati sulle spalle oltre 300 milioni di debiti per far decollare i loro sogni aeronautici. Peccato che solo negli ultimi tre anni i gioiellini in scala ridotta abbiano bruciato 150 milioni di perdite. E oggi per molti di loro (da Forlì a Parma, da Bolzano a Foggia) il rischio di chiusura è altissimo. Ma quanti e quali sono gli scali alla canna del gas? Dove sono stati buttati tutti questi soldi? Cosa (e se) cambierà con il piano di riordino del sistema approvato in zona Cesarini dal governo Monti?

GLI SCALI FANTASMA. Cosa hanno in comune l'aeroporto di Bolzano e quello di Brescia? Una cosa semplice. Si apre il loro sito, si clicca su "Partenze e arrivi di oggi" e il risultato è lo stesso: una pagina desolatamente vuota. In entrambi gli scali operano la Finanza e i vigili del fuoco. Ma causa crisi (in Alto Adige Air Alps ha appena sospeso la rotta Bolzano-Roma) non si vola. Nello scalo lombardo - ormai votato al cargo - sono passati a novembre 148 passeggeri, cinque al giorno. A Bolzano - prima dell'addio del volo per la capitale - poco più di tremila. Briciole, malgrado i milioni di denaro pubblico spesi per tenerli aperti: a Montichiari ben 160 milioni da inizio millennio; a Bolzano 45, tra cui 6 per il nuovo terminal inaugurato a fine 2011 e oggi in sostanza inutile. Più altri 27 appena stanziati dalla Provincia.

Casi isolati? Tutt'altro. Non molto meglio sta Salerno, candidata a diventare il secondo scalo campano come supporto di Napoli Capodichino. L'aeroporto (costato finora una trentina di milioni) ha già aperto e chiuso varie volte, mantenendo sempre in organico qualche decina di dipendenti. Pochi mesi fa con Skybridge ha cercato il rilancio grazie a un collegamento con Malpensa. Sul primo volo, dice la vulgata, c'era un solo passeggero e l'affare è saltato. "Con quello che spendiamo, pagheremmo meno a portare la gente a Milano in Limousine", ha scherzato (ma non troppo) Gianni Iuliano, membro del cda del "Costa d'Amalfi". Risultato, il solito: la pista dove nel 1962 - in piena Dolce Vita - è atterrata la famiglia Kennedy è semi-deserta. E cliccando su "Partenze e arrivi di oggi" appare solo uno sconfortante "disponibile a breve".

Qualche segnale di vita in più c'è alla voce "Voli in tempo reale" di Forlì. In arrivo ci sono aerei da Timisoara, Cluji, Sofia e Bucarest. Alla home page, però, la musica è un'altra: "For sale now, great opportunity" è la scritta - stile televendita - che campeggia a centro schermo. Il motivo? Il solito: malgrado i 40 milioni spesi in sei anni dalla provincia per tenere aperti i check-in, il "Ridolfi" è sull'orlo del crac. La Seaf, la società di gestione, è finita in liquidazione e l'idea più brillante per rilanciarla è venuta al direttore Unindustria Massimo Balzani che - nel clima revisionista che va per la maggiore - ha proposto di battezzare l'aeroporto "Benito Mussolini" per "dargli maggiore visibilità".

LA POLITICA IN PISTA. Quanto pesa la zavorra della politica sul flop degli scali-bonsai? E i privati possono fare meglio del pubblico? Risposta alla domanda numero uno: molto. I campanilismi sono il virus che ha messo in ginocchio il nostro sistema aeroportuale. Uno scalo nuovo di pacca - oltre a gratificare l'orgoglio territoriale - porta in dote poltrone in cda, consulenze (Rimini ha speso 271mila euro per censire l'avifauna in pista) e assunzioni. Un boccone troppo ghiotto per essere snobbato dalla casta. In Toscana si scannano da tempo tre aeroporti a pochi passi l'uno dall'altro, Firenze, Pisa (che negli ultimi giorni hanno provato a far pace) e Siena. Quello della città del Palio perdeva nel 2011 più di 1,2 euro per ogni euro che incassava ed è finito in concordato preventivo lasciando come strascico giudiziario un'inchiesta in cui è indagato l'ex presidente del Monte Paschi Giuseppe Mussari.

Massimo D'Alema, al tempo ministro degli Esteri, ha battezzato nel 2007 il "Pio La Torre" di Comiso. "Sarà il ponte tra Europa e paesi arabi", ha detto allora. Non stupisce che i rapporti tra le due sponde del Mediterraneo siano ancora tesi: l'aereo dell'ex ministro degli Esteri è l'unico atterrato da allora a Comiso. Dove da anni pompieri e dipendenti aspettano il decollo ufficiale che (forse) arriverà nel 2013. Nell'attesa lo Stato e Bruxelles - che minaccia da tempo di chiedere indietro i suoi soldi - hanno già sborsato 45 milioni.

IL VOLO "A SUA INSAPUTA". Siamo alle solite. Sotto i campanili d'Italia i consensi elettorali, spesso, si misurano in soldi pubblici. Così il "Gino Lisa" di Foggia - due passi dai rivali di Brindisi e Bari e appena 10 passeggeri al giorno a novembre 2012 - ha appena incassato la promessa di altri 15 milioni da Roma e dalla regione Puglia per allungare la pista. E Perugia, grazie a 45 milioni piovuti dal cielo per il 150esimo dell'Unità d'Italia (e 1,1 milioni spesi per attirare le low-cost) è riuscita a rinnovare un aeroporto che nel 2011 di milioni ne fatturava 2. Resta mitico però - sul fronte del groviglio armonioso aeroporti-politica - il caso del Villanova d'Albenga, lo scalo di riferimento (come ovvio "a sua insaputa") di Claudio Scajola. Le sue fortune sono lo specchio di quelle dell'ex ministro Pdl, nativo di Imperia, pochi passi da qui. Quando è andato al governo per la prima volta, Alitalia - in un sussulto di attivismo - ha lanciato l'indispensabile rotta Albenga-Fiumicino. Salvo chiuderla a stretto giro di posta quando Scajola è stato costretto alle dimissioni per il caso Biagi e riaprirla (grazie a 1 milione di aiuti del governo Berlusconi) non appena il politico ligure è tornato in auge. Il volo più affollato su questa tratta - accusa una interrogazione parlamentare - aveva a bordo 18 passeggeri. "Io non ne so nulla, decollavo da Genova", ha assicurato Scajola. Oggi però, orfano del supersponsor, il Villanova fattura 800mila euro all'anno. E poche settimane fa - della serie "io non c'entro niente" - l'ex ministro è sceso in campo per chiedere la cessione ai privati una quota di questo scalo - ipse dixit - "qualitativamente di primissimo livello". Il cui unico difetto, carta geografica alla mano, è di essere a 90 chilometri di comoda autostrada dall'aeroporto di Genova.

CHIMERA LOW-COST. Il boom del traffico low cost è l'unico paracadute - purtroppo non gratuito - per salvare dal crac gli scali-fantasma. Ma come si fa ad attirare questi vettori? Le regole d'ingaggio con Ryanair & C. sono semplici: l'ente locale sovvenziona il loro sbarco in loco stanziando quelle che pudicamente vengono definite "spese di marketing". Scusa ufficiale: i volumi di traffico garantiti fanno da volano all'economia del territorio. La compagnia incassa e garantisce un tot di voli destinati - in teoria - a ribaltare le fortune di questi scali. I soldi in ballo non sono pochi. E i rischi di choc in caso di tradimento sono altissimi. Prendiamo l'aeroporto di Verona "Catullo". I suoi vertici, alle prese con la concorrenza di Bergamo e Milano a ovest e con Treviso e Venezia a est, hanno deciso di sparigliare le carte con Ryanair. Come? Garantendole per cinque anni 24 euro di bonus (in tutto 6,7 milioni nel 2011 su 36 di ricavi) per ogni passeggero portato nella città di Giulietta e Romeo. Non c'è voluto molto per capire che era come mettersi il cappio al collo. E quando lo scalo veneto ha provato a rinegoziare l'intesa, la società irlandese se n'è andata dalla sera alla mattina cancellando 39 voli settimanali. Risultato: 26 milioni di perdite 2011, -28 per cento di passeggeri a novembre, cassa integrazione e la caccia disperata a soci disposti a mettere 75 milioni per tappare i buchi di bilancio. Quanto sono gli aeroporti low-cost dipendenti? Un bel po'. Trapani spende 6,2 milioni (pubblici) l'anno per "spese di marketing", leggi soldi alla solita Ryanair. Ancona ne ha stanziati 2,5, Rimini 7 (cifra che in questo caso non è bastata a evitargli il concordato preventivo). Contribuendo tra l'altro, in un circolo vizioso, all'eutanasia di Wind Jet, Meridiana e Alitalia, messe in ginocchio dalla concorrenza sussidiata dei rivali a basso costo.

VENTI DI RIFORMA. Come mettere fine a questa giungla di sprechi? Ci sono privati interessati a gestire anche gli scali bonsai? Una cosa è certa: la selezione darwiniana è iniziata. I trasferimenti agli enti locali sono stati sforbiciati e la gabbia del patto di stabilità rischia di dare il colpo di grazia alle realtà in crisi. Parma è a caccia di investitori per non chiudere, come Cuneo, Ancona, Genova, Bologna, Forlì, Rimini, Verona. La spallata decisiva l'ha data però il governo Monti con il piano per il riordino di sistema. Basta sprechi, è la parola d'ordine. L'esecutivo ha scelto 31 aeroporti di Serie A cui saranno garantiti concessione e investimenti pubblici. Gli altri saranno lasciati nelle mani dei soci, leggi gli enti locali, e dovranno volare con le loro ali. Cosa succederà ai mini-scali di serie B? Per molti il rischio è la chiusura. A meno di un intervento di capitali privati. Ma il percorso, scommettono tutti, non sarà indolore. E con buona pace dell'Italia dei campanili, molti scali fantasma, questa volta, diventeranno fantasmi davvero.

http://inchieste.repubblica.it/it/r...ca/rep-it/2013/03/01/news/aero_flop-52124455/
 
Ero d'accordo con te fino a quando ho visto Bologna e Genova a fianco di Parma, Cuneo, Forli. BLQ e GOA sono fra i "31 aeroporti di Serie A cui saranno garantiti concessione e investimenti pubblici".
Evvabbeh, dai, anche tu qui a sottilizzare perché ha sbagliato a copiare l'elenco ...