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Perché il rebus Alitalia è lontano dalla soluzione
Di Maio assicura che a breve ci saranno novità. Ma, da Air France a Lufthansa, le notizie che arrivano non sono buone. Mentre la compagnia ha quasi dimezzato il prestito ponte.
11 febbraio 2019
di Francesco Pacifico
Luigi Di Maio assicura che «a breve ci saranno novità» sul dossier Alitalia. Il 14 febbraio ha convocato in via Veneto i sindacati confederali, ma è difficile che in questo consesso il ministro dello Sviluppo informi su passi avanti sostanziali. E non soltanto perché Air France ha approfittato della crisi diplomatica tra Roma e Parigi per allontanarsi (non uscire) dalla partita. Ventiquattr'ore prima, ci sarà un Cda di Ferrovie, dal quale si aspetta quanto meno l'indicazione del partner industriale privilegiato con il quale trattare. Ma tutte le parti coinvolte - le stesse Ferrovie e Alitalia, i rappresentanti in Italia di Lufthansa e di Delta fino ai confederali e alle sigle di categoria - ripetono uno stesso, amaro concetto: «Siamo in alto mare».
La compagnia ha quasi dimezzato il prestito ponte e il governo ha prorogato fino a marzo la restituzione del finanziamento e le trattative. Intanto il piano per rilanciare il vettore perde sempre più appeal. Lo schema prevede che Ferrovie entri con un chip di 200 milioni nell'azionariato di Alitalia in chiave finanziaria, senza creare neanche sinergie commerciali: si sta soltanto studiando di migliorare l'offerta ferroviaria verso alcuni aeroporti. Parallelamente - e con l'appoggio della politica - deve trovare da un lato un socio industriale che dia la linea e apra nuove rotte e, dall'altro, altri partner di natura finanziaria per introiettare alle casse dell'azienda circa 1 miliardo di euro. Al quale vanno aggiunti i 900 milioni per rimborsare al Tesoro il prestito ponte, se la Ue non accetterà di trasformare questo progresso in azioni. Ma tutti i pezzi di questo puzzle stanno via via cadendo.
LE PRESSIONI DI KLM SU AIR FRANCE
Air France, entrata nella partita soltanto per tenere Lufthansa lontana da Fiumicino, aveva già deciso prima dello scontro tra Emmanuel Macron e Di Maio di tenersi fuori dal dossier. Non fosse altro per le pressioni del socio olandese Klm, ancora scottato dalla mancata fusione con gli italiani nel 2000. Da Ferrovie - dove l'ad Gianfranco Battisti può contare tra i suoi advisor anche sull'esperienza di Roberto Scaramella, ex ad di Meridiana - trapela poi la notizia che l'offerta di Delta è meno appetibile di quello che può apparire all'esterno: gli americani vogliono investire meno dei 200 milioni del chip di entrata, non riconosceranno ad Alitalia un ruolo molto diverso da quello attuale nell'alleanza Skyteam, ma soprattutto apriranno i loro cieli, cioè il ricchissimo mercato Usa, in minima parte. Infatti la compagnia ha fatto sapere agli italiani che il codesharing sui voli atlantici sarà applicato solamente sulle tratte oggi gestite da Delta: il che vuol dire che se Alitalia vuole volare in orari e in città diversi, deve accollarsi autonomamente le spese e i rischi industriali, oltre a pagare una fee commerciale. Di più non si può, perché il vettore Usa ha un accordo sindacale, che prevede che se concede all'esterno pezzi del suo traffico, deve creare volumi simili per non mettere a rischio l'occupazione al suo interno.
Quella di Delta, anche con il coinvolgimento di Easyjet sui voli di medio raggio, resta l'ipotesi principale sulla quale stanno battendo Ferrovie e il governo italiano. Ma dietro le quinte si spera che Lufthansa riveda la sua proposta, considerata al momento inaccettabile. Dal Cda uno dei suoi membri, Harry Hohmeister, ha dichiarato al quotidiano Handelsblatt: «La decisione è ancora aperta. E lo abbiamo sempre detto: il mercato italiano è molto forte e importante per noi». Ma Lufthansa interverrà soltanto se il concorrente italiano «sarà ristrutturato». Hohmeister ha parlato di «circa 3 mila posti di lavoro» da ridurre. In realtà, questo numero è diverso nel pur sempre draconiano piano presentato a Palazzo Chigi: 2.500 tagli nel personale di volo e di terra (da riassorbire però negli anni se ci saranno utili); la piena gestione operativa anche con una quota del capitale piuttosto minima; dimezzamento del corto e medio raggio, lasciando solo due macchine al giorno per ogni rotta interna di feederaggio su Fiumicino, spostamento dell'attività di Cityliner verso la controllata Air Dolomiti, ma soprattutto nessun rilancio sull'intercontinentale.
LA RICERCA DI ALTRI PARTNER ITALIANI
I tedeschi hanno fatto sapere agli italiani che intendono mettere a terra tutti i 12 Boeing 777 ora nella flotta, sostituendoli soltanto in parte. E la decisione lascia perplesso il fronte nostrano, perché Lufthansa ha in esubero una decina Airbus 340, placidamente parcheggiata in una pista nel deserto spagnolo. All'ad di Ferrovie Battisti non va meglio sul fronte del "fundraising" per trovare altri partner italiani finanziari, necessari per chiudere la compagine azionaria. Visto il "bene" che si propone, non si può che guardare al bacino delle partecipate. Eni, Poste, Enel e Leonardo hanno già respinto l'offerta, mentre Cdp, che non può investire nelle imprese decotte, si sarebbe detta disponibile a intervenire soltanto in una newco per fare da lessor, cioè per finanziare l'acquisto di nuovi aerei.