Non ho mai avuto la fortuna, l’opportunità o la capacità di lavorare alla pianificazione di una compagnia aerea, ma un minimo di progettazione aziendale forse lo afferro.
C’è una cosa su cui proprio non mi trovo ed è il fatto che si parli di dimensione della flotta (l’ultima versione è un auspicio di 90 aerei, di cui il 30% per il lungo raggio) senza mai aver fatto cenno alcuno al network, o meglio, alla strategia di network.
Due avvertenze, a questo punto, diventano necessarie.
1) Parlare di network non è la stessa cosa che parlare di rotte: quelle vengono dopo. La scelta delle rotte è la specificazione operativa di un assetto (il network, appunto) più generale. Quindi, definire un network non ha nulla a che vedere con uno sterile totorotte. Se si definisse, come strategia di network per il lungo raggio, di concentrarsi sull’America Latina (sto banalizzando, naturalmente), in una fase della pianificazione ancora a livello strategico e non ancora operativo, questo discorso avrebbe senso anche se non si fosse deciso se volare su Bogotà piuttosto che su Lima.
2) Il piano industriale non c’è ancora, ed è giusto così: ogni cosa a suo tempo. La pianificazione ha la sua successione logica che deve essere rispettata, e mi auguro che a farla (la pianificazione) sia il management, altrimenti proprio non so chi altri. Una cosa che mi vorrei aspettare dal piano industriale è proprio quale determinata e coerente strategia di network privilegiare.
E qui vengo al problema. La definizione della flotta, per dimensione e composizione, dovrebbe essere l’output, o uno degli output, di un processo di pianificazione che passi per una serie di fasi necessariamente preliminari, e fra questi passaggi precedenti dovrebbe esserci anche la determinazione della strategia di network.
Qui, invece, sembra che si voglia porre la dimensione della flotta come input, ovvero come variabile (quasi) indipendente, il che mi sembra non solo illogico, ma anche potenzialmente dannoso.
Questo perché? Credo ci possano essere almeno due ragioni che inducano a ragionare in questo modo che a me pare contorto:
1) perché parlare di dimensione della flotta è più efficace dal punto di vista della comunicazione. È un concetto che, in assenza di un piano industriale, è privo di senso, ma riesce a dare l’idea di che cosa si miri a fare. Insomma, è un concetto funzionale alla comunicazione politica, sebbene assurdo dal punto di vista della pianificazione strategica
2) perché parlare di dimensione della flotta significa avere pressoché immediatamente l’idea della futura dimensione occupazionale, il che, per la politica e per i sindacati, è la cosa più importante, ben più importante della redditività aziendale, che, anzi, non c’è praticamente mai stata. Ma anche i livelli occupazionali dovrebbero essere un output della pianificazione, una volta definito il modello di business, il network e tutti gli altri aspetti strutturali
Insomma, non sono molto ottimista: fare una pianificazione alla rovescia e non permettere al management di metterci bocca non mi sembra il miglior viatico per l’ennesima avventura di Alitalia.
S. E. & O.