Da La Stampa di oggi
Cassa aziendale quasi esaurita
Poste pronta a investire 70 milioni
Corsa contro il tempo per l’accordo, ma resta il nodo dei debiti pregressi
+ Alitalia, sì a Etihad o è finita LUIGI GRASSIA
ALESSANDRO BARBERA
ROMA
In ossequio alla tradizione tutta italiana che ci spinge a dare il meglio nei momenti di emergenza, è probabile si tratti di una buona notizia: la cassa di Alitalia sta per esaurirsi. Secondo le informazioni che circolano in azienda e fra gli azionisti, la ex compagnia di bandiera non può permettersi traccheggiamenti.
Più della fretta di chiudere del nuovo socio arabo, c’è da tutelare la continuità aziendale. Se gli aerei Alitalia continuano a volare, è solo grazie alla discreta liquidità garantita dal traffico estivo. Ma se l’accordo non si formalizzerà a breve, se entro questa settimana la prospettiva non sarà chiara, il rischio che alcuni fornitori neghino il credito è molto alto.
Insomma, l’accordo non c’è ancora, ma nessuno si azzarda a immaginare che non arriverà. Non Unicredit, fra le banche quella che ha più da perdere dall’accollo dei vecchi debiti della compagnia, non Poste, l’ultima arrivata nel capitale, che di quei debiti non vuol sentir parlare. L’intenso traffico telefonico di ieri sull’asse Roma-Milano-Abu Dhabi segnala la volontà di stringere. Il numero uno di Poste Caio ha sentito nell’ordine Hogan (Etihad), Ghizzoni (Unicredit) e Del Torchio (Alitalia). A Caio Renzi l’ha detto chiaramente: qualunque essa sarà, una soluzione fra le parti va trovata. Il traffico è stato intenso anche fra il ministro dei Trasporti Lupi e Luigi Angeletti. Il leader della Uil ha imposto ai suoi in Alitalia il silenzio stampa, e da ieri si occupa personalmente della questione esplosa con il (fallito) referendum aziendale sul piano di tagli agli stipendi. La minaccia di diffida ad Alitalia è pressoché risolta: a metà della prossima settimana ci sarà un accordo per spalmare almeno in sei mesi il prezzo di quei sacrifici.
La novità più importante è che Poste ora sarebbe disposta a impegnare per la ricapitalizzazione fino a 70 milioni di euro, quasi il doppio dei 40 inizialmente ipotizzati. È un passo avanti, ma per le banche non ancora sufficiente: Unicredit non accetta nessuna ipotesi di compromesso che escluda Poste dall’accollo dei vecchi debiti, nemmeno attraverso il versamento delle proprie quote ad una società intermedia fra la vecchia Cai (quella che risponderà di debiti e contenziosi) e la nuova scatola nella quale entrerà Etihad con le sue quote. La soluzione per convincere Poste a fare la sua parte come gli altri vecchi soci è nelle sinergie industriali. Caio ha consegnato agli advisor un lungo documento che le elenca: dalla vendita reciproca dei servizi ai clienti alla logistica. Il ragionamento è semplice: poiché ormai la concorrenza postale è quasi esclusivamente sulle consegne rapide di pacchi e documenti, e poiché Etihad ha in portafoglio parecchi ordini per nuovi aerei, Poste ed Etihad potrebbero creare insieme un concorrente insidioso per i giganti della spedizione come Ups e Dhl.
La trattativa sull’assetto della nuova compagnia è complicata dal fatto che Etihad - una compagnia extraeuropea - non potrà in ogni caso sottoscrivere più del 49 percento delle quote della nuova Alitalia, pena la perdita di tutti i diritti di traffico. Per le decisioni c’è tempo, ma gli arabi vogliono sapere ora, e con chiarezza, chi parteciperà. C’è ad esempio pressing su Roberto Colaninno perché confermi le sue quote, così come si cerca in extremis di trovare qualche altro imprenditore disponibile a investire, sia fra i soci uscenti, sia fra altri che finora non sono entrati. Ogni quota aggiuntiva servirebbe a colmare la distanza fra Unicredit e Poste di Caio il quale, se potesse scegliere liberamente, si libererebbe volentieri del fardello. Farà di necessità virtù, non prima di aver tentato di ottenere il massimo per evitare a Poste di perdere altri soldi oltre a quelli persi, a tempo di record, con l’ingresso nel capitale di Alitalia.