La bella news di oggi, è che EY sembra voglia ulteriori investimenti da parte italiana. In larga misura sembra che da un lato gli arabi pretendano che le banche azzerino o quasi i loro crediti e dall'altra che investano pure nuova liquidità a ricompensa di cotanto modello di azienda. Siamo la barzelletta del mondo.
Alitalia, Etihad chiede più capitale. Ma la Ue avverte l'Italia: agli arabi non più del 49%
Tutto pronto per le nozze tra Etihad e Alitalia. Ma la lettera d’intenti, che le banche italiane attendevano ieri, tarda ancora. Ma l’attesa dovrebbe durare poche ore. La compagnia emiratina dovrebbe fare il passo ufficiale al massimo entro domenica, mettendo nero su bianco cosa si aspetta dal partner e dall'altro cosa ciò che è pronta a offrire: il matrimonio, salvo sorprese dell'ultima ora, avverrebbe tra fine aprile e metà maggio. Come anticipato dal Messaggero, la lettera che finirà sul tavolo dell'ad Gabriele Del Torchio contiene condizioni - sul fronte del taglio dei debiti e su quello dell’ulteriore riduzione del costo del lavoro - che una volta condivise con i soci italiani rappresenteranno l'ossatura del nuovo piano industriale di Alitalia. La ragione per la quale Etihad ora vuole stringere i tempi è legata anche al monito di Bruxelles che ha chiesto esplicitamente al governo di vigilare sulle trattative per evitare che gli arabi possano conquistare il controllo di Alitalia. Una eventualità peraltro esclusa sin dall'inizio della trattativa, visto che Etihad punta al 40-45% del capitale a fronte di esborso complessivo di circa 300 milioni. Una cifra rilevante ma, secondo le osservazioni fatte di recente dal vettore arabo, non sufficiente a consentire il decollo sicuro della nuova alleanza. Servono cioè ulteriori risorse, che vanno trovate sia attraverso l’ulteriore stretta ai costi sia con nuove iniezioni di liquidità. La lettera d'intenti, secondo quanto il Messaggero ha già anticipato, contiene in nuce il progetto di sviluppo industriale. Con indicazioni precise sulle rotte (riduzione del medio raggio, delle frequenze Roma-Milano e implementazione del lungo raggio), sulla la flotta (razionalizzazione e riduzione degli aeromobili), sulle attività di marketing, sulle sinergie.
IL CONFRONTO
L’ad Del Torchio ha già peraltro confidato che dalla nuova alleanza i grandi soci italiani non si attendono solo nuove risorse finanziarie. Non solo soldi freschi, insomma, ma anche una strategia nuova per scongiurare lo spettro del fallimento che aleggia da anni sulla compagnia tricolore. Per questo i manager di Etihad premono per un taglio ulteriore del costo del lavoro. Del Torchio, d'accordo con i sindacati, ha stimato in 1900 gli esuberi. Personale da gestire con la cig a rotazione, riduzione degli stipendi, contratti di solidarietà; gli arabi - lo scrivono nella lettera d'intenti - vogliono invece una sforbiciata più robusta con uscite a cig a zero ore. Probabilmente si arriverà a un punto di equilibrio. Visto, tra l'altro, che molti piloti Alitalia potrebbero volare sugli aerei Etihad, la cui flotta è in crescita esponenziale. Mosse e contromosse del negoziato che porterà al closing finale. Sia dal quartier generale di Alitalia che tra le banche azioniste trapela comunque ottimismo. E lo scoglio dei debiti? Anche qui il compromesso è possibile. Una delle richieste-chiave del pretendente arabo prevede di allungare le scadenze o di cancellare circa 400 milioni di debiti finanziari, in larga parte dovuti dalla compagnia a Intesa Sanpaolo e Unicredit, chiamate quindi a individuare una via d'uscita. Se le banche sono pronte a fare la propria parte, anche il governo non si tirerà indietro. Da un lato eliminando gradualmente le sovvenzioni alle low cost, dall'altra rendendo più efficiente il sistema aeroportuale con collegamenti all’Alta velocità. Non è un mistero che Etihad punti forte sullo scalo romano, tant'è che da mesi valuta la possibilità di entrare in forza anche nel capitale di Adr: gli advisor di Credit Suisse sono già al lavoro. A sua volta il governo è in campo con il capo della segreteria tecnica di Padoan, Fabrizio Pagani, che da Palazzo Chigi all'epoca del governo Letta aveva ideato, insieme al ministro Maurizio Lupi, il piano di salvataggio che ha portato le Poste nel capitale e avviato con successo i contatti con Abu Dhabi.
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