Analisi Bocconi-Corriere Economia sul nuovo piano industriale di Alitalia; qualcuno ha il documento completo (se esiste)?
Bilanci L'analisi Bocconi-CorrierEconomia dopo il piano Del Torchio. Dal 2009 a oggi 116 dipendenti in più e patrimonio ridotto a un terzo; Alitalia La rotta di salvezza: meno Italia, più Ali
ALESSANDRA PUATO
8 July 2013
Corriere della Sera
Pochi voli nazionali e tanti intercontinentali per portare passeggeri dai Paesi Emergenti. O il debito la soffoca
S arà l'effetto dell'abbinata Frecciarossa-Italo sulla Milano-Roma, com'è ammesso nel piano industriale presentato giovedì scorso dal nuovo amministratore delegato, Gabriele Del Torchio (che ora tenterà il rilancio). Saranno il generale calo dei passeggeri causa crisi, i maggiori costi aeroportuali, il prezzo del petrolio, le rotte internazionali perdute, la confusione sullo scopo dell'ereditata (dal socio Carlo Toto) e improfittevole Air One.
Di certo i conti dell'Alitalia dell'ultimo anno rivelano una gestione in netto peggioramento e l'implosione oggettiva della compagnia di bandiera, schiacciata da oltre un miliardo di debiti, in quadruplicato rosso e congelata nei ricavi dopo il piano Fenice del 2008 (governo Berlusconi), che avrebbe dovuto salvarla con l'innesto di 16 soci industriali (25 nel 2009, ora 22, da Roberto Colaninno a Emma Marcegaglia), l'allontanamento della cessione ad Air France, l'esonero fino a quest'anno dalle multe Antitrust. Invece, l'ha quasi affossata.
Il confronto
Il bilancio consolidato del 2012, che analizziamo con l'Università Bocconi (vedi tabella), mostra un indebitamento netto enorme verso le banche: 1,029 miliardi, cinque volte il patrimonio netto (201 milioni) e dieci volte il margine operativo lordo (108 milioni), che a sua volta si è dimezzato nell'ultimo anno (era a 225 nel 2011). È un debito (acceso al 60% per finanziare la flotta) quasi doppio rispetto ai 656 milioni del 2010 e in crescita di 175 milioni rispetto al 2011. I ricavi continuano a viaggiare poco sopra i tre miliardi (3,594 - erano 3,225 nel 2010), anni luce dall'obiettivo di cinque miliardi indicato nel piano del 2008.
Inoltre, malgrado un flusso di cassa positivo per 118 milioni, Alitalia ha chiuso l'anno con una perdita di 280 milioni, il quadruplo dei già preoccupanti 69 milioni dell'anno precedente: quel 2011 nel quale avrebbe dovuto tornare all'utile (meta che con il piano Del Torchio slitta al 2016). Come dire che è regredita quasi ai livelli del 2009, quando di milioni ne perdeva 327. Rispetto ad allora, per di più, sono aumentati i dipendenti: 14.259 contro 14.143, 116 persone in più. E il patrimonio netto si è ridotto a meno di un terzo: era a 723 milioni allora, poi l'erosione: 548 nel 2010, 479 nel 2011, 201 l'anno scorso.
Nel 2012 è crollato (-119 milioni) anche l'Ebit, l'utile prima di interessi e tasse, che l'anno scorso era a -6 milioni: soglia prossima al pareggio operativo, l'obiettivo mancato del precedente capoazienda, Rocco Sabelli. In un anno Alitalia ha perso quasi un milione di passeggeri (da 24,7 a 23,9 milioni), «principalmente quale riflesso della difficile situazione economica del Paese - è scritto nella relazione della Bocconi - solo in parte controbilanciata da contenuti incrementi sui comparti internazionale e intercontinentale». Quelli sui quali deve focalizzarsi ora, se vuole ripartire.
«È un bilancio con due zavorre e due valori inespressi - dice Stefano Caselli, prorettore in Bocconi, che ha curato l'analisi con Corriere Economia -. Innanzitutto, il debito è spaventoso e chiama altro debito. Genera costi elevati, è insostenibile. Se si mantiene lo status quo, crescerà ancora. L'unico modo per fermarlo è generare ricavi». È la spirale dei tassi d'interesse. Difatti il piano industriale di Del Torchio prevede («Inevitabile», dice Caselli) altri debiti: 300 milioni dalle banche entro fine anno, oltre alla chiamata dei 55 milioni di prestito dai soci che finora non hanno aderito all'invito, come Salvatore Mancuso e Carlo Toto. Più l'ipotesi di ristrutturazione del debito esistente. Il tutto, però, nell'ottica di aumentare (si spera) i ricavi.
Come? Tornando a far rotta sull'intercontinentale; rinominando la controllata Air One che verrà «smarcata», tolta dalla Milano-Roma e confinata su Catania, Palermo, Venezia e Pisa; collaborando con le Ferrovie; recuperando i Paesi dove ci sono comunità italiane, come Brasile e Usa.
La seconda zavorra sono i costi del personale. «I dipendenti sono stabili sopra i 14 mila anche dopo la ristrutturazione, sorprendente», dice Caselli.
Incognita Abu Dhabi
Veniamo ai valori inespressi. Uno è la flotta (e sono altri sei i nuovi aerei attesi entro il 2016, in affitto), l'altro è l'italianità. «Alitalia è una delle compagnie con la flotta più moderna d'Europa - commenta il professore -. È un asset che va sfruttato con accordi di code sharing, di alleanza con altre compagnie, più aggressivi. Nel patto Sky Team, negli accordi strategici con Air France, Delta e Klm, Alitalia finora sembra essere stata passiva, con scarsa visibilità sulle rotte. Speriamo non accada con Etihad». Il pericolo non c'è, dice l'azienda. Il piano Del Torchio conta infatti sulla compagnia degli Emirati per espandersi in India, Australia, Thailandia, perdendo sì il marchio, ma a metà: perché Alitalia porta da Roma ad Abu Dhabi, e da lì in code sharing con Etihad verso le altre mete, «passeggeri che altrimenti viaggerebbero con altre compagnie» (e accordi simili sono attesi con la brasiliana Gol o la Korean Airlines). Si vedrà.
Quanto all'italianità, una strada per renderla redditizia è aumentare il traffico degli stranieri verso il nostro Paese, proponendo però pacchetti completi, in accordo con i tour operator e con voli sugli aeroporti minori: «Venezia, Palermo, Catania, Napoli - elenca Caselli -. È qui che bisogna portare i turisti disposti a spendere dai Paesi del Golfo e dalla Cina». Nel piano di Del Torchio il punto c'è. Dipende da quanti azionisti lo seguiranno, dopo il «liberi tutti» che scatta a ottobre. In attesa del cavaliere bianco, che sarebbe la soluzione migliore ma cavalca altrove.