Salvataggio Alitalia, tutto da rifare
vendita scontata a Air France
o ritorno nelle mani dello Stato
Ha bruciato i due terzi del capitale, non regge la concorrenza
Su mercato interno è superata
dai treni veloci, sul medio
raggio è battuta da Easyjet e
Ryanair. Il 12 gennaio i soci
potranno vendere le quote
La compagnia perde 630 mila
euro al giorno. Nei 4 anni di
gestione privata “rosso” di 735
milioni. Rivalutazione Mille
Miglia per tamponare le falle
ETTORE LIVINI
MILANO
ICONTI, malgrado il lavoro della cordata dei patrioti,
non quadrano ancora: la compagnia perde 630mila
euro al giorno, i 735 milioni di rosso accumulati nei
quattro anni di gestione privata hanno bruciato quasi
tutto il capitale, la liquidità in cassa si è assottigliata a 300
milioni. E i soci – divisi tra di loro e a corto di quattrini – si
preparano a giocare il jolly della finanza creativa (lo spinoff
con maxi-rivalutazione delle Mille Miglia) per evitare
di dover metter mano al portafoglio e ricapitalizzare l’azienda.
Il redde rationem comunque è vicino. Il prossimo
12 gennaio scatterà la campanella del “liberi tutti”.
Gli azionisti, scaduto il vincolo del lock-up, potranno
vendere le loro partecipazioni. E nell’arco di pochissimi
mesi si deciderà per l’ennesima volta il futuro dell’aerolinea
tricolore, sospesa tra la tentazione di una rinazionalizzazione
strisciante (la politica, in allarme, ha già iniziato
a muovere le sue pedine) e una cessione a prezzi
d’affezione a quella stessa Air France che nel 2008 aveva
messo sul piatto 2,4 miliardi per farsi carico della società.
Senza lasciare, piccolo particolare, un euro di spesa a carico
dei contribuenti tricolori.
LA CHIMERA DELL’UTILE
Come si è arrivati (o per meglio dire tornati) a questo
punto? Il piano Fenice redatto da Banca Intesa e dagli imprenditori
guidati da Roberto Colaninno prevedeva di
arrivare all’utile operativo nel 2011. Ridimensionando il
network, ringiovanendo la flotta e spostando l’hub a Roma.
In un quadriennio sono stati fatti passi avanti (la flotta
Alitalia a gennaio sarà la più giovane d’Europa), la pax
sindacale è stata garantita e «la compagnia è viva e nuova
», come dice ottimista il nuovo ad Andrea Ragnetti.
Peccato che i numeri – l’unica cosa che conta davvero –
non tornino ancora. La chimera dell’utile operativo è stata
spostata al 2014 («nel 2013 lo scenario peggiorerà»,
mette le mani avanti l’ad). Da gennaio a settembre – complice
il boom del greggio, la crisi economica e la concorrenza
di treno e low cost – l’aerolinea tricolore ha perso
173 milioni, 150 in più del 2011. E da allora le cose sembrano
essere peggiorate, con la navetta Milano-Roma (ex
gallina dalle uova d’oro del gruppo) che viaggia con il 15%
di passeggeri in meno rispetto al 2011 e con i piloti, sussurrano
in camera caritatis alcuni di loro, costretti a zavorrare la parte anteriore degli aerei per bilanciarli, visto
che si vendono solo i posti in coda, quelli meno costosi.
IL NODO DELLA LIQUIDITA’
I 300 milioni in cassa a fine settembre dovrebbero consentire
di lavorare ancora senza troppi patemi almeno
per un po’ di tempo anche se da oggi fino (almeno) a marzo
Alitalia continuerà a mangiare cassa. Il vero problema
è a monte e si chiama ricapitalizzazione. Le perdite accumulate
in quattro anni – in tutto 735 milioni – hanno
bruciato due terzi del capitale. Degli 1,16 miliardi versati
dai soci a inizio 2009 (323 messi da Air France, 827 dai
20 “patrioti”) ne sono rimasti circa 400. Troppo pochi. A
norma di codice civile sarebbe necessaria una ricapitalizzazione.
Peccato che molti dei soci dell’aerolinea – basti
pensare a Gavio, Fonsai e Riva – abbiano altre gatte da
pelare e non vogliano buttare altri soldi in quello che rischia
di rimanere ancora per un po’ un pozzo senza fondo.
Risultato: l’unica in grado di metter mano al portafoglio
è Air France, portandosi via per poche centinaia di
milioni di euro il mercato aereo tricolore e la stessa società
per cui nel 2008 aveva messo sul piatto senza batter
ciglio dieci volte tanto. Il management, per evitare un finale
di questo tipo, ha dato fondo ai manuali di finanza
creativa cavando il coniglio dal cilindro: la “societarizzazione”
delle Mille Miglia. In sostanza lo spin-off di una
scatola vuota cui conferire il piano di fidelizzazione (l’ha
già fatto Air Canada) rivalutandone il valore. Un’operazione
di ingegneria contabile in grado di far emergere a
bilancio il valore dell’asset – i più ottimisti parlano di
un’iniezione virtuale di liquidtà di 200 milioni – allontanando
allontanando
lo spettro dell’aumento di capitale e cavando le
castagne dal fuoco a un azionariato con le tasche vuote.
TRA ROMA E PARIGI
Si tratta, come ovvio, di una soluzione tampone. In
grado al limite di posticipare di qualche mese le scelte radicali
necessarie per salvare di nuovo Alitalia. La strategia
dei soci privati – concentrarsi sul mercato domestico
e sul medio raggio, affidand—osi per l’intercontinentale
ai partner Air France e Klm – non ha pagato. Sul medio
raggio l’aerolinea tricolore non è in grado di competere
con Easyjet e Ryanair. E l’avvento dell’alta velocità ha ridimensionato
i margini sul mercato interno.
«Come uscire dall’impasse? La politica e la finanza tricolore
hanno già iniziato a mettersi in azione. Il governo
Monti (Corrado Passera 4 anni fa è stato il regista del salvataggio
made in Italy) ha sondato con discrezione la
Cassa depositi e prestiti. Obiettivo: cooptare il Fondo
strategico italiano come cavaliere bianco per scongiurare
terremoti occupazionali. Una sorta di ritorno tra le
braccia dello Stato. Il progetto però non è di facile realizzazione,
se non altro perché lo statuto del fondo prevede
investimenti solo in aziende in equilibrio finanziario.
Identikit in cui non rientra l’aerolinea. Lo stesso Giovanni
Gorno Tempini, ad del Fondo, ha ammesso ieri che
«Alitalia non ha le caratteristiche per un eventuale investimento
».
Air France sta studiando a distanza la situazione. Lazard
ha un mandato per studiare la fusione tra Parigi e
Alitalia. L’operazione, numeri alla mano, è praticabile visto
che il rally dei titoli del vettore transalpino (raddoppiati
in sei mesi) rende realistici i valori di un concambio.
Ma il matrimonio non è facile. Fonti della banca francese
confermano che al momento siamo ancora ai pour
parler. Air France sa di avere il coltello dalla parte del manico,
ha il tempo dalla sua e non vuole strapagare. Mentre
i soci italiani non sono pronti ad accettare offerte che
non consentano loro di rientrare del capitale investito.
Ipotesi, allo stato, quasi dell’irrealtà. Intanto la sabbia
continua a correre nella clessidra. E l’Alitalia salvata da
Silvio Berlusconi, pochi ne dubitano, sarà una delle prime
patate bollenti sul tavolo del nuovo governo.