Ita Airways, il ceo Eberhart: «Più voli di lungo raggio, sinergie e produttività, così possiamo fare utili»
«C’è un bel po’ di lavoro da fare, ma i fondamentali della compagnia sono buoni e con lo sforzo di tutti si possono fare utili e si può crescere ulteriormente». Joerg Eberhart, amministratore delegato e direttore generale italo-tedesco di Ita Airways dal 17 gennaio scorso, non ha dubbi: il vettore — al 59% del ministero dell’Economia e al 41% di Lufthansa — può fare quello che il predecessore, Alitalia, non ha mai fatto in decenni: chiudere i bilanci in nero. Ma perché questo succeda gli ingranaggi della «macchina» devono girare al meglio. Nel 2024 Ita — a gestione tutta Mef — ha registrato 3,1 miliardi di euro di ricavi, un Ebit positivo per 3 milioni e una perdita netta di 227 milioni. «Ma il profitto è possibile», dice Eberhart al Corriere nella sua prima intervista da ceo nel suo ufficio al quartier generale del vettore tricolore, a due passi dall’aeroporto di Fiumicino.
E il primo trimestre a gestione Mef-Lufthansa com’è andato?
«Il fatturato totale del periodo gennaio-marzo è stato di 637 milioni, di questi 558 milioni di ricavi passeggeri, compresi gli extra come la scelta del posto, il bagaglio in stiva e l’upgrade di classe».
E l’Ebit?
«È negativo. Non c’è ancora un numero finale perché mancano delle voci da includere nei costi».
Lei prima è stato manager di Lufthansa e ha seguito il vettore italiano dal lato tedesco. Quante volte avete provato a investire?
«Tre. Il primo con Alitalia, gestita dai commissari Luigi Gubitosi, Stefano Paleari, Enrico Laghi. Ma non abbiamo trovato un punto d’incontro».
E il secondo tentativo?
«Sempre con Alitalia, abbiamo lavorato su una possibile cordata con Ferrovie di Stato e Atlantia. Ma anche lì non abbiamo trovato un piano business comune».
Poi Alitalia chiude e nasce Ita.
«E lì ci siamo fatti avanti assieme a Msc».
L’offerta con il colosso marittimo secondo gli esperti era la migliore.
«Lo pensavo anche io. Ma non è stato così. Gli allora vertici del Mef hanno scelto l’altra proposta (quella del fondo Certares, ndr)».
Deluso?
«Sì. Avevamo fatto tutto il possibile. Ma è in quel momento che Carsten (Spohr, il ceo del gruppo Lufthansa, ndr) mi ha detto: vedrai che verrà il nostro momento perché siamo il partner naturale di Ita».
A un certo punto, autunno 2022 — nuovo governo, nuovo ministro dell’Economia —, qualcuno da Roma vi contatta dopo il fallimento delle trattative con Certares.
«Ci chiamano dal Mef. Andiamo con Spohr a Roma, il ministro Giancarlo Giorgetti ci chiede se siamo ancora interessati. E così riapriamo il dossier».
E si arriva, dopo lunghi travagli, al via libera Ue, alle nozze e all’insediamento del nuovo cda con lei come ceo e Sandro Pappalardo come presidente. La stabilità governativa ha aiutato?
«È stata fondamentale. Non abbiamo dovuto ricominciare da zero. Abbiamo avuto interlocuzioni con quattro esecutivi: Conte I, Conte II, Draghi e Meloni. Tutti governi più o meno coinvolti, ma la continuità di quello attuale è stata molto importante, altrimenti non so come sarebbe andata a finire».
Però con il Mef qualche frizione non è mancata.
«È normale. Avevamo a che fare con un governo che vendeva un’azienda, non era una trattativa tra privati. Le necessità del governo sono altre. Ma ogni volta abbiamo trovato le soluzioni, grazie all’aiuto di Antonino Turicchi (l’ex presidente di Ita, ndr) che ha creato tanti ponti tra il Mef e Lufthansa».
Qual è stato un momento in cui ha pensato «salta tutto»?
«In realtà ci sono stati più momenti. Una volta, primavera 2024, dopo le ennesime interlocuzioni con l’Ue ci chiamano da Bruxelles per dirci che se non cambiano le cose “si va verso lo stop alle nozze”».
E un’altra volta?
«Lo scorso novembre, quando non abbiamo mandato il pacchetto dei rimedi alla Commissione per alcuni disaccordi su alcuni punti. A notte fonda sono andato a casa e ho pensato è finita».
Avevate un «piano B»?
«Sì. In caso di bocciatura Ue avevamo pensato a un investimento del 20% e non del 41%, come hanno fatto Iag con Air Europa e Air France-Klm con Sas».
E quando ha pensato ok ce l’abbiamo fatta?
«Quando la Commissione ha dato l’ok. Anche se non pensavo sarebbe stato ancora difficile, con l’obbligo a trovare i cosiddetti “remedy taker”».
Prima di Ita lei era capo delle strategie in Lufthansa. Chi ve lo fa fare di investire in una compagnia italiana? Cosa ci vedete di così, di valore?
«Il mercato italiano ha un valore molto alto, è un mix tra business e turismo in ingresso, ha potere d’acquisto e Roma Fiumicino ha un vantaggio geografico verso il Sud America e l’Africa. Inoltre l’hub funziona molto bene, è proprio un’altra cosa rispetto ad altri del gruppo Lufthansa dove non si può più crescere. A Francoforte e Monaco, poi, ci sono stati vari problemi operativi negli ultimi tre anni. L’Italia insomma è stata per noi l’ambito ideale per investire. E abbiamo già avuto l’esperienza con Air Dolomiti e prima ancora con Lufthansa Technik».
Che azienda ha trovato al suo insediamento?
«Una realtà con una squadra molto professionale e motivata, che sa esattamente quello che fa. Anche se con processi non tutti già strutturati come in un’impresa matura. C’è un potenziale che si può sviluppare».
Oggi Ita ha una rete di collegamenti che somiglia molto a quella che aveva Alitalia. Su cosa si baserà il prossimo piano industriale?
«Ci stiamo lavorando con il Mef, ne discuteremo anche con i sindacati. A livello di network stiamo pensando a un mix di nuovi mercati e potenziamento di rotte già esistenti».
Quante nuove rotte?
«Abbiamo individuato cinque nuovi collegamenti intercontinentali interessanti e faremo una valutazione su quelli».
Verso dove?
«Sul Sud America abbiamo già abbastanza. C’è qualche tratta sul Nord America che ci manca. Poi molto dipende dalla situazione della Russia: nel caso dovessimo tornare a sorvolare il Paese ci sarebbero delle destinazioni interessanti in Asia».
E più lontano? Penso all’Oceania...
«Non abbiamo gli aerei che facciano collegamenti così lunghi. E diciamo che quel tipo di traffico è stato preso dai vettori mediorientali: adesso va tutto attraverso Istanbul, Dubai, Doha, Abu Dhabi. Nel futuro ci saranno le aviolinee dell’Arabia Saudita e dell’India».
L’Europa ha perso la gestione del traffico diretto con l’Oceania?
«Temo di sì».
A regime quanto peserà sul fatturato di Ita il contributo di Lufthansa e della joint venture transatlantica con United Airlines e Air Canada?
«In gran parte non è misurabile. Forse solo un terzo dei ricavi che abbiamo previsto sono davvero quantificabili. Dovrebbe comunque essere un contributo di oltre cento milioni di euro all’anno».
Nell’ambito del pacchetto di «rimedi» chiesti dalla Ue — come condizione per il via libera alle nozze — avete dovuto cedere un numero significativo di slot a Milano Linate. Quanto vi è costato?
«Non tutti gli slot che Ita aveva prima erano di utile».
Quindi vi hanno fatto un favore?
«Non proprio. Chi ha preso gli slot ci sta facendo concorrenza diretta su alcune rotte».
Per esempio?
«È il caso di Klm. Ha ottenuto qualche slot e ha spostato a Linate i voli per Amsterdam che operava a Malpensa. Così abbiamo perso tutto il beneficio, volandoci anche noi tra le due città. Tutti i rimedi penso che ci costino qualcosa sia sul corto che sul lungo raggio».
Ita rinuncia per sempre a Malpensa?
«I voli intercontinentali di Alitalia da Malpensa non hanno mai funzionato bene. Oggi, poi, c’è già tanta competizione. C’è pure Emirates che vola a New York, la principale destinazione. Se si avviano i voli intercontinentali su Malpensa bisognerebbe affiancare una rete di “alimentazione” con collegamenti medi e brevi. Non è una cosa fattibile per un vettore come il nostro che ha solo un centinaio di aerei».
Meglio un solo hub?
«Dobbiamo concentrarci su Roma, dobbiamo creare la massa critica a Fiumicino, dobbiamo aumentare le vendite, avere più destinazioni di lungo raggio anziché investire in un nuovo hub».
Come si deve posizionare Ita?
«La compagnia deve toccare sempre più alti livelli di soddisfazione del cliente in ogni parte dell’esperienza di viaggio».
E a che punto siete?
«C’è un’evoluzione positiva, ma non siamo ancora sui livelli dei vettori migliori del gruppo Lufthansa. Dobbiamo vedere cosa possiamo cambiare sul lato operativo e come migliorare la connettività a bordo».
Le statunitensi forniscono gratis la messaggistica istantanea per esempio.
«Lo fanno sempre più compagnie. Se diventa un trend anche noi dobbiamo muoverci su questo fronte».
Lei è stato paracadutista, assistente di volo, comandante di Airbus A320 (lo è ancora), manager. Che cosa sta servendo di più in questo periodo di gestione di Ita?
«L’esperienza nell’operativo di sicuro. E poi i quattro anni che ho fatto come imprenditore. Entrare qua mi è sembrato come farlo in una startup».
I vettori si concentrano sempre di più sulla gestione dei costi.
«La disciplina sui costi è assolutamente necessaria, è la base, ma serve anche maggiore attenzione a come si combinano i fattori di produzione».
In che senso?
«Bisogna guardare alla produttività di un aeromobile, quante ore fa al giorno. Poi c’è la questione dei contratti collettivi. Tutti aspetti sulle spese operativo che bisogna avere sempre sotto controllo».
È contento dell’attuale produttività degli aerei?
«Si può fare un po’ di più. Siamo soddisfatti della produttività dei jet di lungo raggio. Un po’ meno di quella dei velivoli dei voli brevi e medi. Ma qui c’è anche il tema dei problemi ai motori. Siamo un po’ limitati anche dalle poche “onde” che abbiamo sull’hub di Fiumicino».
Le «onde» sono i picchi orari nei quali fate confluire i voli brevi verso l’hub con a bordo i passeggeri che poi salgono sugli aerei dei voli intercontinentali.
«Ne abbiamo tre. Una vera e propria di mattina, e due piccole durante la giornata: ma in queste sono pochi i voli di lungo raggio che partono».
E come si può cambiare?
«Con più voli verso Oriente o Sudafrica avremmo anche più forza nella seconda e terza onda. Anche per questo dobbiamo crescere, dobbiamo far crescere la flotta di lungo raggio così si creano delle onde più solide durante la giornata. E con onde più solide anche la rete di alimentazione dei voli, il cosiddetto “feederaggio”, funziona molto meglio. Si ha maggiore produttività».
Però restereste sempre sulle tre onde?
«Adesso sì».
In autunno entrerete nel vivo delle trattative con i sindacati sul rinnovo contrattuale. Lei ha detto che questo è un anno di consolidamento, che è anche un modo per dire non aspettatevi più di tanto.
«Dobbiamo raggiungere il pareggio di bilancio in un modo sostenibile. Deve essere un break even vero, non solo grazie al prezzo basso del carburante. E mi riferisco al “Cask ex fuel”, cioè al costo operativo al netto dell’impatto del cherosene».
Quindi la crescita dell’azienda porta alla crescita dei posti di lavoro?
«Sì. Dei posti di lavoro e anche delle carriere. Il copilota che siede a destra, dopo un certo numero di anni deve avere la possibilità di diventare comandante. E questo avviene solo quando c’è una certa crescita».
Chiaramente i sindacati vorranno aumenti degli stipendi.
«È giusto che loro abbiano delle idee. Dobbiamo vedere cosa ci possiamo permettere di fare. Ci sono temi in cui possiamo insieme generare dei vantaggi reciproci, da ripartire anche tra i dipendenti».
Qual è l’Ebit che auspica quest’anno?
«Vorrei andare almeno a +50 milioni, sarebbe un bel risultato. Ma dipende molto cosa succede nella seconda metà dell’anno».
A quando l’utile vero?
«Se tutto va come previsto, nel 2027 un utile sostenibile dovrebbe essere possibile. Ma voglio un miglioramento anche su altri aspetti. Voglio che salgano, tra le altre cose, il “Net promoter score” (che misura la soddisfazione del cliente) e l’indice di innovazione digitale, parametri che portano strategicamente avanti l’azienda».
Che criticità vede per questo 2025?
«C’è il tema dei controllori del traffico aereo a livello europeo. C’è il tema anche degli aeroporti. Fiumicino è cresciuta di più e prima del previsto e Aeroporti di Roma (la società di gestione dello scalo, ndr) deve anticipare gli investimenti».
Quindi la quarta pista a Fiumicino è urgente?
«Gli esperti dicono che è necessaria. Stiamo parlando con il management di AdR su come Ita può contribuire alla crescita prevista».
La politica italiana ha sempre ficcato il naso nelle affari correnti dalla gestione di Alitalia e Ita. Ha iniziato a farsi sentire anche con lei?
(ride) «No, no. Del resto questa è un’operazione di mercato».
La prima intervista dell’amministratore delegato della compagnia tricolore co-gestita da Mef e Lufthansa. I lavori sul nuovo piano industriale. «Primo profitto previsto nel 2027»
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