«Io, sopravvissuto alla tragedia del Bari-Djerba»
BARI - Luca Squicciarini, 35 anni, barese, era a bordo dell’Atr 72 della Tuninter, partito quattro anni fa dall’aero - porto di Palese, diretto a Djerba (Tunisia) e precipitato al largo delle coste palermitane. Furono 16 i morti, 23 i superstiti (grazie all’ammaraggio). I piloti, tunisini, sono stati condannati a dieci anni di reclusione da un giudice di Palermo per disastro colposo. Per la prima volta, parla uno dei sopravvissuti.
Signor Luca Squicciarini, a distanza di tanto tempo, come vive quella storia? È una bella domanda. Cerco di condurre una vita più normale possibile, anche se il ricordo di quella vicenda è sempre impresso nella mia mente. È difficile, per un uomo, dimenticare certe tragedie. Io prima che accadesse l’incidente pensavo che certe cose si potessero vedere solo al cinema. Ed è difficile spiegare. Quando ci siamo ritrovati in mare ho visto terribili scene intorno a me. Vedevo galleggiare pezzi di aereo e, purtroppo, tanti cadaveri, di persone che fino a qualche minuto prima erano con me su quell'aereo.
Che cosa successe quel pomeriggio di quattro anni fa? Quando avete avuto la percezione che stavate precipitando? Cosa vi fu comunicato? Intanto non ci fu comunicato assolutamente nulla. Io ricordo che ero seduto sulla parte destra dell'aereo in corrispondenza dell'ala quando abbiamo notato che s’era improvvisamente spento il motore di destra. Li per li un po' tutti abbiamo pensato che si trattasse di un attentato ma subito dopo si è spento anche il motore di sinistra e allora all'interno dell'aereo è successo davvero il caos, il panico ha preso il sopravvento. Ricordo che la hostess che doveva seguirci non ha fatto nulla per aiutarci, si è seduta al suo posto ed ha iniziato a piangere, mentre l'altro steward cercava di dare informazioni utili ad altri passeggeri.
E dopo? A quel punto io che viaggiavo con Paola, la mia ragazza, ho pensato bene, insieme a lei, di slacciare le cinture di sicurezza per evitare di rimanere incastrati nell'impatto. Poi autonomamente, senza che nessuno ci avesse detto nulla abbiamo deciso di indossare e gonfiare i giubbini di salvataggio. Ricordo quegli ultimi maledetti attimi quando l'aereo era a pochissimi metri dal mare e poi l'impatto. L’attimo più tragico. L’impatto mi fece perdere conoscenza. Ricordo di essermi svegliato sott'acqua, di essere riuscito a riemergere e di essermi aggrappato ad un borsone che galleggiava nell'attesa che qualcuno potesse giungere a salvarmi.
Cosa ricorda di quei momenti in acqua? Sono stato in acqua più quaranta minuti, prima di essere salvato. Pensavo di non riuscire a farcela. Che la mia vita ormai fosse finita. Invece, grazie a Dio, ce l'ho fatta. E questi ricordi sono sempre vivi nella mia mente e pur sempre dolorosi. A un certo punto arrivò un elicottero che mi lanciò un salvagente. Cercai di indossarlo ma non ci riuscii e poco dopo arrivò una motovedetta, credo della capitaneria di porto che mi portò in salvo. Ricordo di aver detto al medico di non riuscire a respirare e poi mi sono risvegliato non so quanto tempo dopo nella sala di rianimazione dell'ospedale di Palermo. Nessuno mi disse niente io non sapevo dell'entità del disastro che mi fu chiara solo quando ritornai giorni dopo a Bari.
E Paola, la sua ragazza? No, Paola io non l'ho vista più. L'ho cercata tra i relitti dell'aereo, ho guardato tra i corpi senza vita che mi galleggiavano accanto ma Paola non c'era.
Il personale a bordo non parlava italiano come è emerso anche dal processo: in che modo vi avrebbe potuto aiutare? Parlava almeno in inglese? È certo che il personale a bordo non parlava italiano, non so se parlavano in inglese: io so solo che a me e a Paola nessuno ha fornito aiuto a bordo dell'aereo mentre precipitavamo.
Questo ha alimentato la percezione che tutto fosse perduto? Sì. Ho avuto la chiara percezione che stavo per morire.
Si sente un miracolato? Ritengo di essere stato fortunato, rispetto ai miei compagni di viaggio, anche se non posso nascondere che la qualità della mia vita da quel giorno è totalmente cambiata. Io stavo per fare una vacanza e per affrontare un matrimonio, vivo la mia vita con grandi sensi di rimorso.. Ogni giorno mi chiedo se avrei potuto fare qualcosa in più per salvare Paola. Molte volte ho pensato che forse sarebbe stato più giusto che anch'io come Paola e come tantissima gente di quell'aereo non mi fossi salvato.
L'anniversario di quella sciagura arriva a pochi mesi dalla sentenza emessa dal tribunale di Palermo secondo la quale quel disastro si sarebbe potuto evitare. La sentenza rappresenta per me, sicuramente, l'inizio di una battaglia. Penso che la sentenza sia stata abbastanza soddisfacente ed equa.
E adesso? Si è costituita un'associazione che ha come obiettivo quello di evitare che episodi come questo possano ripetersi. Una sorta di battaglia per la vita.
(Nicola Mangialardi)
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