Alitalia, Marzano: come far volare la compagnia | Tempi.it
Parla il padre della legge nata nel 2004 per salvare la Parmalat. L’amministrazione straordinaria funziona solo se l’azienda può stare sul mercato. Ai commissari: fate come Bondi
Per Alitalia si è aperta la strada dell’amministrazione straordinaria nella versione concepita dalla Legge Marzano emanata nel 2004 per salvare la Parmalat. Fu un’esperienza di successo che valse al suo autore, l’economista ed ex ministro Antonio Marzano (ha diretto il dicastero delle Attività produttive per cinque anni sotto il governo Berlusconi), lo status di cittadino onorario di Collecchio, dove ha tutt’oggi sede il produttore di latte. In quest’intervista a tempi.it, Marzano ripercorre l’evoluzione negli anni della legge ricordando che ha consentito di rimettere in piedi almeno a un centinaio di imprese facendo leva sui loro punti di forza. «Da economista liberista sono convinto che l’amministrazione straordinaria possa funzionare quando un’azienda ha le potenzialità per stare sul mercato. Alitalia, secondo me, è tra queste, ma occorre agire in fretta e nel rispetto del metodo previsto dalla normativa».
Professore Marzano, tre commissari nominati e un prestito ponte del governo. Lei crede possibile un ritorno in bonis della compagnia di bandiera?
È possibile, perché Alitalia non è un’azienda fuori mercato. Quando ero al ministero e si presentavano aziende che erano senza speranze ero il primo a oppormi alla procedura di amministrazione straordinaria. Ma il servizio aereo può essere un settore remunerativo. Attenzione, però: lo spirito della legge Marzano è quello di una procedura in cui nell’azienda devono essere ridotte al minimo le diseconomie e valorizzati il più possibile i punti di forza. Il che è esattamente ciò che fece Enrico Bondi quando fu nominato commissario della Parmalat nella drammatica fase che segui il crac. Peraltro, ricordo che Bondi veniva spesso al ministero per confrontarsi sugli indirizzi di politica industriale ma non ascoltava molto i politici e andava avanti per la sua strada…
Quali sono le diseconomie di Alitalia, secondo lei?
Una cosa che valuterei senz’altro è se conviene o meno mantenere tre scali, Fiumicino Malpensa e Linate. Si potrebbe, ad esempio, ipotizzare un ridimensionamento. Un’altra cosa che dovrebbe essere presa in considerazione è la cessione di asset non strategici. Sono certo esistano spazi di manovra in questo senso in Alitalia. So che in sede governativa questo scenario non è visto con favore. Ma per un ritorno all’efficienza è, a mio parere, indispensabile interrogarsi su questi punti. Non vorrei ripetermi, ma il caso Parmalat è storico ormai e dovrebbe fare scuola.
Cos’altro suggerirebbe per far tornare i conti?
Individuare con esattezza le rotte di volo deficitari ed eliminarle. Inoltre, si potrebbero studiare ipotesi di accordi o di partnership con gli operatori del settore low cost e con le compagnie ferroviarie dell’alta velocità. Questi due segmenti sono concorrenti, ma non per forza nemici. Si può provare a ragionare su un rapporto meno conflittuale.
Sono in molti a ritenere che sia stato un errore ridurre il numero dei voli internazionali…
Non entro nel merito, ma se una rotta non è remunerativa diventa una linea di business in perdita che contribuisce ad ampliare il deficit. Più si vola, più si perde. Un’altra diseconomia collegata a questo tema è quella del carburante che incide tanto sui costi. Andrebbe acquistato su mercati in cui costa meno.
Veniamo al nodo dolente. 12.500 dipendenti sono troppi?
Prima dei tagli bisogna pensare ad un uso migliore dei lavoratori. Ricordo quando ero al ministero e facevo gli incontri con i sindacati proprio sulle questioni del personale. Nei loro occhi vedevo apprensione ma anche spirito di collaborazione. Se le trattative vengono impostate nel modo giusto, si possono trovare accordi interessanti.
Che cosa pensa del referendum sul piano di taglio dei costi sottoposto e bocciato dai dipendenti?
È stato un errore promuoverlo. Anche se fosse passato, il piano avrebbe avuto un difetto di legittimità costituzionale, a mio avviso, a causa delle conseguenze di carattere fiscale che avrebbe avuto.
Veniamo agli aspetti finanziari. Che cosa pensa dell’ingresso di nuovi partner nel capitale della compagnia?
È un’ipotesi percorribile. Ma io comincerei dagli accordi con i creditori. Ricordiamoci che per avviare la procedura di amministrazione straordinaria occorre che venga dichiarato lo stato d’insolvenza, cosa che per Alitalia non è ancora avvenuto. Si parte da qui per predisporre un piano con le banche e con altri eventuali creditori. Per quanto riguarda nuovi soci, ho sentito diverse ipotesi ma io valuterei una strada che non mi pare sia stata presa in considerazione.
Quale?
L’apertura a investitori di tipo finanziario, come private equity e venture capitalist cercando di allettarli con la possibilità di vantaggi fiscali.
L’arrivo di nuovi soci ricorda l’operazione dei capitani coraggiosi avvenuta nel 2008 sotto il governo Berlusconi. Con il senno di poi, pensa che in quel momento sia stata persa l’occasione di un partner estero efficace?
In quel momento un aumento di capitale dedicato a un gruppo di operatori italiani apparve l’unico modo per tenere l’Alitalia entro i confini nazionali. Il fatto è che questa società porta nel suo brand il nome del nostro paese. Si è cercato di mantenerla in Italia, è comprensibile. Ma visto come sono andate le cose, oggi sarebbe tutto diverso e penso che esistano sul mercato soggetti interessati, ma prima occorre lavorare molto sul modello di business e sull’efficienza della gestione.
Si parlava di efficienza anche con l’arrivo degli arabi appena due anni fa. È deluso?
Anche loro hanno commesso errori, da questo punto di vista.
Torniamo ai commissari. Laghi, Gubitosi e Paleari dovranno redigere un piano industriale 180 giorni e intanto far andare avanti la compagnia. Rispetto a 12 anni fa, quando Bondi era commissario Parmalat, il contesto è cambiato, ci sono più vincoli anche a livello di Unione europea.
È corretto. Ma anche l’atteggiamento dell’Europa può essere influenzato dalla capacità di impegnare risorse finanziarie per nuovi investimenti e per lo sviluppo della compagnia. Diverso è se l’indebitamento aumenta senza la prospettiva di poterlo ripagare. In questo senso i commissari, attraverso il governo, dovranno cercare un confronto con i commissari Ue persuadendoli con un piano efficace.
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