Addio Alitalia


kenyaprince

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20 Giugno 2008
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LA STORIA: ALITALIA SIMBOLO E PARADIGMA DEL PAESE

Quella di Alitalia è una storia che si intreccia, a doppio filo, con quella di un Paese, fino a diventarne, nel bene e nel male, anche un simbolo e paradigma. Insomma, una storia tutta italiana, che ha conosciuto anni d’oro e grandi fasti poi oscurati dall’ombra lunga degli ultimi 30 anni, segnati da un inesorabile declino, ascrivibile non solo a errori di strategie industriali e a congiunture avverse ma anche a responsabilità della politica che ha visto in Alitalia un terreno da lottizzare. Decenni segnati anche da vertenze endemiche e da conflitti sindacali, sfociati anche in clamorosi scioperi e proteste.

E i diversi acronimi, da Lai a Ita, scrivono ognuno un capitolo di questa storia. Alitalia viene fondata a Roma il 16 settembre 1946 con il nome di Alitalia-Aerolinee Italiane Internazionali e opera il primo volo il 5 maggio 1947 sulla rotta Torino-Roma-Catania. Due mesi dopo decolla il primo volo internazionale, da Roma a Oslo. A marzo 1948 viene inaugurato il primo volo intercontinentale: un volo di una durata complessiva di 36 ore, che collegava Milano a Buenos Aires con scali intermedi a Roma, Dakar, Natal, Rio de Janeiro e San Paolo. A cavallo tra il 1949 e il 1950, cresce la flotta, entrano in servizio le prime assistenti di volo della compagnia e vengono introdotti i pasti caldi a bordo dei velivoli. Ormai di proprietà dell'Iri e quindi già compagnia aerea di bandiera, nel 1957 viene fusa anche con l'altra compagnia aerea di bandiera italiana, Linee Aeree Italiane, anch'essa di proprietà Iri, dando vita ad Alitalia-Linee Aree Italiane.

Nel 1960, Alitalia diventa sponsor ufficiale delle Olimpiadi di Roma. Nello stesso anno, vengono introdotti i primi aerei a reazione mentre l'anno successivo segna l'apertura dell'Aeroporto di Roma - Fiumicino, nel quale la compagnia posizionerà il suo hub principale. Dieci anni dopo la compagnia diventa la prima europea ad avere in flotta solo aerei a reazione e, con la consegna del primo Boeing 747-100 la compagnia adotta un nuovo logo, la classica 'A' tricolore che verrà riportata su tutte le code degli aerei in quanto parte della nuova livrea.

Anche gli anni ‘70 e ‘80 sono anni di sviluppo con l’espansione della flotta e del network: arrivano Douglas DC-10, dei McDonnell Douglas MD-80 e degli Airbus A300 con l'apertura di rotte da Roma verso l'estremo oriente, come Tokyo. Eppure, già si annidano i primi problemi, nati dall’evoluzione dello scenario dove il regime di monopolio comincia a scricchiolare e dove cambiano profondamente anche le relazioni sindacali. La fine degli anni ‘70 è contrassegnata dagli scioperi di Aquila Selvaggia con i piloti che salgono sulle barricate contro la proposta di un nuovo contratto unico di tutti i lavoratori del trasporto aereo, voluto dal Cgil, Cisl e Uil, con il presidente Umberto Nordio.

Tensioni mai risolte negli anni successivi, segnati da pesanti conflitti, con la compagnia che non sembra più saper essere all’altezza delle sfide imposte dal mercato. Alla fine degli anni ‘80, nel giugno dell’88, si consuma la rottura tra Nordio e l’allora presidente dell’Iri, Romano Prodi. Un carteggio (‘caro Prodi, caro Nordio’) che mette, nero su bianco, le divergenze strategiche tra l’azionista e il top management. Lo scontro vede l'uscita del vecchio boiardo di Stato, con l'arrivo dalla Svezia di Carlo Verri (Electrolux). È una ventata rivoluzionaria quella che porta il top manager, già sostenitore de 'La Piramide Rovesciata' di Jan Carlzon, la nuova bibbia del manager nell'era dei servizi. Verri muore prematuramente in un incidente stradale e a guidare Alitalia l'Iri di Franco Nobili nomina Giovanni Bisignani e Michele Principe.

A cavallo del decennio, tra anni ‘80 e anni ‘90, Alitalia perde sempre più quota e imbocca il tunnel dal quale non riesce più ad uscire. A testimoniarlo è l’allarme lanciato, nel 1994, dal nuovo amministratore delegato, Roberto Schisano, detto il texano dagli occhi di ghiaccio, che, senza mezzi termini, avverte che Alitalia ha 500 giorni di vita. Schisano ingaggia con i piloti un durissimo scontro, che diventa dirompente quando decide di prendere in wet leasing dall’australiana Ansett aerei Boeing 767 con relativi equipaggi.

Si scatena la rivolta di Aquila Selvaggia con il presidente dell'Anpac Giovanni Erba e i piloti che occupano le piste (febbraio 1995) e (giugno 1995) cadono 'improvvisamente' malati. E la 'guarigione' arriva con un accordo segreto (considerato 'scellerato' dall'Iri) che Schisano firma con i piloti e che, una volta uscito dalla cassaforte del notaio dove era stato depositato e reso pubblico, costerà la poltrona a Schisano insieme a quella del presidente Renato Riverso. Un’altra testa che cade in Alitalia. Già perché la storia di Alitalia è anche questo: una macchina che 'tritura' amministratori delegati e presidenti.

Il timone viene affidato, nel marzo del ‘96, a Domenico Cempella, manager che comincia la sua carriera dal basso, dal front line dell’aeroporto di Fiumicino. Sta a lui tracciare la nuova rotta di Alitalia con un nuovo piano industriale, supportato da un aumento di capitale e dal positivo sentiment dei lavoratori che lo avevano conosciuto ed apprezzato negli anni della sua gavetta; Cempella ridisegna l’assetto societario della compagnia con nuove hcc, high competitive carrier, strutture più snelle e dai costi competitivi, e prevede l’azionariato dei dipendenti. Ma soprattutto Cempella esplora il terreno di nuove alleanze e trova in Klm il partner ideale. Le due compagnie danno vita a una fusione operativa con una joint venture integrale.

Una formula vincente che consente ad Alitalia di realizzare l’ultimo vero utile d’esercizio della sua storia con la distribuzione di un congruo dividendo. Ne registrerà un altro a inizio 2000 ma derivante da partite straordinarie dovute alla plusvalenza per la vendita di azioni di Klm. Gli olandesi volanti, infatti, il 28 aprile del 2000 annunciarono il divorzio da Alitalia e furono costretti a pagare una penale da 250 milioni di euro.

Arriva l’11 settembre del 2001. L’attacco terroristico alle Twin Towers provoca uno tsunami sul trasporto aereo mondiale. Alitalia, già debole di suo, perde colpi e chiude importanti destinazioni intercontinentali. Una ciambella di salvataggio, la compagnia, l’aveva in serbo grazie all’ingresso a luglio 2001 nell’alleanza Skyteam, sottoscritta dall’ad Francesco Mengozzi, con presidente Fausto Cereti, con un incrocio azionario con Air France. Ma da quel colpo Alitalia non riesce a risollevarsi: dopo una breve parentesi con Giuseppe Bonomi presidente e ad Marco Zanichelli, arriva un altro cambio al vertice: nel maggio del 2004 approda Giancarlo Cimoli, con nuovi piani e nel 2007 si apre il fronte della privatizzazione.

A inizio 2008 si stringe la trattativa con Air France ma a far saltare il banco sono le elezioni politiche e Alitalia si prende la scena della campagna elettorale. Silvio Berlusconi annuncia la cordata di patrioti italiani per bloccare l’avanzata francese. Il 2 aprile del 2008, Jean Cyril Spinetta, abbandona il tavolo negoziale al bunker della Magliana. "Per Alitalia ci vuole un esorcista", dirà in quella fredda sera di aprile il presidente della compagnia Maurizio Prato. Vinte le elezioni, parte l’operazione Fenice, che, sotto la regia di Intesa SanPaolo, mette insieme una cordata aggregando Air One e una ventina di imprenditori italiani, a cominciare da Roberto Colaninno. L’ investimento in campo è di 1,1 miliardi. Si chiude qui la storia di Lai, finita in amministrazione straordinaria, e comincia quella di Alitalia Cai, Compagnia aere italiana, senza debiti, che rimangono in capo alla vecchia Alitalia, e con un netto taglio ai dipendenti.

Sarà una stagione molto breve quella di Cai. La neonata Alitalia, che vede anche l’ingresso di Air France nell’azionariato con il 25%, punta a consolidarsi sul mercato domestico ma è stretta tra la concorrenza sempre più agguerrita delle compagnie low cost e dall’arrivo dell’alta velocità ferroviaria, che chiude l’epoca d’oro della ricca tratta Roma-Milano. Cai procede a un rinnovo della flotta, con l’arrivo di aerei Airbus in “leasing onerosi” di una finanziaria irlandese in capo alla famiglia Toto di Air One. Ma i conti non decollano. L’obiettivo di turn around si allontana e i bilanci chiudono in perdita.

Nel giro di cinque anni, la compagnia cambia tre amministratori delegati: Rocco Sabelli, Andrea Ragnetti e Gabriele Del Torchio. Alitalia brucia cassa e si rende necessaria una nuova ricapitalizzazione alla quale non partecipa Air France, che diluisce così la sua quota. Intanto, sta per aprirsi un nuovo capitolo che sarà ancora più breve, quello di Alitalia Sai. Mentre affondano i conti di Cai, a fine 2013 si pone il problema di una nuova iniezione di capitale. Il dossier è sul tavolo del Governo Letta per poi arrivare su quello del Governo Renzi. Per questo nuovo salvataggio interviene anche Poste Italiane. Parte la ricerca di un nuovo partner e, questa volta, il cavaliere bianco sembra arrivare dalla Penisola Arabica e, per la precisione da Abu Dhabi. È qui che ha il suo hub Etihad, compagnia più piccola rispetto a Emirates e a Qatar Airways, che, però, negli ultimi anni ha fatto registrare una forte crescita con massicci investimenti in flotta. Comincia una serrata trattativa e, alla fine, nell’agosto del 2014 si firma l’accordo che sancisce l’ingresso degli arabi con la quota massima consentita a un vettore extra Ue, il 49%.

Alitalia, targata Etihad, diventa Sai, Società aerea italiana. Decolla il 1 primo gennaio del 2015. Parte con Luca Cordero di Montezemolo presidente e con Silvano Cassano amministratore delegato, co-designato da soci arabi e italiani e manager gradito a James Hogan, il numero uno di Etihad. La prima linea di manager parla molto inglese schierando molti dirigenti anglosassoni. La gestione Cassano dura solo pochi mesi, fino a settembre del 2015. Per i successivi sei mesi Montezemolo dirige la compagnia anche con i poteri da amministratore delegato, finché il 7 marzo 2016 arriva dall’India Cramer Ball, il manager australiano scelto da Hogan. Invece del pareggio operativo, Alitalia continua a registrare perdite: un buco nero nei conti, provocato da una emorragia da due milioni al giorno, che crea forti tensioni tra le banche azioniste ed Etihad. E non convince il nuovo piano industriale di Ball, considerato troppo ottimista sulla voce ricavi.

È il 2017 e arriva una nuova impasse. Si tenta il tutto per tutto con una nuova operazione di salvataggio, che prevede una ricapitalizzazione e un accordo con i sindacati. Accordo che viene clamorosamente bocciato da un referendum ad aprile. Il 2 maggio Alitalia Sai viene messa in amministrazione straordinaria. A guidarla arrivano tre commissari Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari. Si parla di una fase transitoria di pochi mesi mentre si avvia la vendita della compagnia. Si affaccia Lufthansa ma fa paura il suo piano di tagli. Nel 2018 prende corpo un’operazione di sistema con la regia delle Fs, con la partecipazione di Atlantia e un partner internazionale, Delta, che però non intende andare oltre il 10%. Arriva anche un nuovo commissario Giuseppe Leogrande.

L’eterno dossier è sempre in stallo mentre la pandemia a partire dal marzo del 2020 mette a terra il trasporto aereo globale. Un altro colpo di grazia per la malandata Alitalia. Ma poi il governo giallorosso imprime una sterzata. Con il decreto Cura Italia, viene costituita una nuova compagnia sotto l’ala pubblica, Ita. A guidare la nuova squadra vengono chiamati Fabio Lazzerini ad e Francesco Caio presidente. Comincia una complessa fase di preparazione con la predisposizione del nuovo piano industriale in vista del decollo previsto per la primavera del 2021.

Ma per partire Ita deve avere disco verde da Bruxelles. E la Ue chiede discontinuità. Con queste premesse, il cammino del negoziato tra la Commissione europea e il governo italiano (nel frattempo a Palazzo Chigi è arrivato Mario Draghi) si presenta impervio. Ad aprile la compagnia non parte, il decollo viene ancora rinviato. A giugno l’azionista Mef nomina presidente esecutivo Alfredo Altavilla al posto di Francesco Caio e a luglio arriva il via libera di Bruxelles. Il decollo viene finalmente fissato per il 15 ottobre. L’ultimo miglio è quello più difficile e, soprattutto, più doloroso per quelle migliaia di lavoratori che non sono saliti a bordo di Ita. Chiude la vecchia Alitalia con molte ferite che rimangono aperte.

fonte : https://www.adnkronos.com/alitalia-addio-oggi-lultimo-volo_4hVzZHguIl0mwUZ4rxkF7T?refresh_ce
 

kenyaprince

Amministratore AC
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20 Giugno 2008
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Il primo volo il 5 maggio 1947. La lunga stagione sotto la regia dell'Iri. Dagli anni '90 l'inizio della crisi e la ricerca di partner stranieri. Il doppio flop dei capitani coraggiosi e dell'ingresso di Etihad

MILANO - Settantacinque anni di storia, quattro cambi di denominazione, e un fiume di denaro pubblico ad assicurarne l'operatività. Giovedì 14 settembre si chiude ufficialmente l'era di Alitalia. Un addio soltanto nella forma, in attesa di capire se e in che modo Ita deciderà di acquistare o prendere in affitto il marchio dalla compagnia che si prepara ad andare in pensione. Procedure che se dovessero andare a buon fine porterebbero i velivoli della nuova società a volare con la storica livrea Alitalia, assicurando quindi comunque la continuazione del brand.
Dall'avvio nel Dopoguerra ad Alitalia - Lai
Una storia, quella di Alitalia, partita ufficialmente il 16 settembre 1946 con la nascita della società Alitalia-Aerolinee Italiane Internazionali. Otto mesi più tardi il, 5 maggio 1947, il primo volo sulla rotta Torino- Roma- Catania e ancora due mesi dopo il primo volo internazionale da Roma a Oslo con un aereo Savoia Marchetti SM95 e 38 passeggeri a bordo, mentre nel marzo 1948 parte il primo volo intercontinentale, destinazione Buenos Aires. Fin dalla sua fondazione la compagnia vede lo Stato come azionista di maggioranza. A detenere il 60% della società è infatti l'Iri, l'istituto per la ricostruzione industraiale, che faceva da collettore delle partecipazioni pubbliche. In minoranza c'era Biritish European Airways, vettore che diversi anni dopo sarebbe diventato l'attuale British Airways dopo la fusione con British Overseas Airways Corporation.

(ansa)


Nel 1957 arriva il primo importante riassetto. La società si fonde con la sua principale concorrente sul territorio italiano, Linee Aree Italiane (LAI), allora controllata dalla statunitense Twa. Nasce così Alitalia - Linee Aeree Italia, nuova compagnia con lo Stato Italiano socio forte all'88,77% e una serie di partecipazioni di minoranza tra cui British European Airways, British Overseas Airways Corporation e le italiane Fiat e Breda. Nel 1970, con la consegna del primo Boeing 747 - 100 la compagna adotta l'iconica A del marchio attuale per la prima volta e negli anni successivi prosegue l'espansione della flotta e delle rotte.


L'inizio della crisi e la ricerca di un partner
Con l'inizio degli anni '90 e l'avvio della stagione delle privatizzazioni la compagnia, entra in crisi. Nel 1993 si prova il primo tenativo di nozze con Air France: un'unione sfumata però a causa delle forti proteste sindacali in Francia legate a un massiccio piano di tagli che portano alle dimissioni dell'allora presidente del vettore Bernard Attali. Nel 1996, con al governo Romano Prodi, ex presidente dell'iri, la compagnia tenta la strada della quotazione. Sul mercato finisce il 36% ma l'operazione si rivela un insuccesso e il titolo della compagnia si svaluta rapidamente. Intanto il governo si muove nuovamente in cerca di un partner industriale: la scelta questa volta sembra ricadere sugli olandesi di Klm. Nell'aprile del 2000 l'intesa però naufraga e il vettore olandese si fa da parte. Ne nasce una aspra controversia legale tre le aziende, con Alitalia che rivendica il pagamento da parte di Klm di una penale da 250 milioni di euro in relazione alla rottura del sodalizio. Soltanto due anni più tardi, nel 2002, la vicenda si concluderà al termine di un arbitrato con il pagamento da parte della compagnia olandese di 150 milioni di euro.
La rottura con Air France e l'arrivo dei "capitani coraggiosi"
Intanto però sul trasporto aereo si è abbattuta la pesantissima crisi seguita all'11 settembre. Nel 2006, con al governo ancora Romano Prodi, il governo tenta una nuova intesa con Air France. Questa volta la trattativa procede positivamente, e il cda dell'azienda, controllata dal Tesoro, a fine dicembre accetta l'offerta del valore complessivi da 1,7 miliardi, a cui sono accompagnati anche investimenti per 6,5 miliardi nel lungo termine. L'operazione però si scontra con l'opposizione dei sindacati e soprattutto si incrocia con la campagna elettorale del 2008, in cui l'allora sfidante per Palazzo Chigi Silvio Berlusconi si oppone nettamamente all'opzione Air France, caldeggiando invece la formazione di una cordata tricolore per difendere l'italianità della compagna. All'inizio di aprile del 2008 la compagna francese lascia il tavolo dopo la mancata intesa con i sindacati e rinuncia ad andare avanti con l'offerta, il presdiente e ad di Alitalia Maurizio Prato dà le dimissioni.

(afp)

Con il cambio di governo, alla fine del 2008, si materializza la cordata di imprenditori italiani che si candida a rilevare Alitalia, i cosiddetti "capitani coraggiosi" A guidare l'operazione è l'ex ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, allora amministratore delegato di Intesa Sanpaolo. Più che un salvataggio è un punto e a capo. L'ex compagnia pubblica viene posta in amministrazione straordinaria con la prospettiva della liquidazione, i suoi asset operativi vengono rilevati da una nuova società Alitalia - Cai, i cuoi azionisti sono ora interamente privati, a cui si aggiunge Air France -Klm con una partecipazione di minoranza.
Il flop di Alitalia - Cai e l'ingresso di Etihad
La nuova società però non riesce ad invertire la rotta imboccata dalla compagnia a regia pubblica e fin da subito colleziona soltanto pesanti rossi di bilancio, anno dopo anno. In cinque anni Alitalia-Cai totalizza perdite cumulate per 1,52 miliardi di euro, arrivando a perdere al mese più di quanto fatto dalla Alitalia pubblica. Per proseguire la compagnia avrebbe bisogno di un aumento di capitale ma gli azionisti si tirano indietro. Il governo è costretto ad intervenire ancora: questa volta a Palazzo Chigi c'è Enrico Letta e dopo un primo sostegno pubblico attraverso Poste Italiane la soluzione arriva con l'ingresso di Etihad con una partecipazione al 49% in una newco che ancora una volta rileva gli asset della compagna scaricando i vecchi debiti capo al pubblico.


L'amministrazione straordinaria e le trattative con Atlantia e Fs
Alitalia cambia ancora nome e dopo Lai e Cai arriva Sai. Anche in questo caso la compagnia ha vita breve. Nel 2017 la società ha urgente bisogno di essere ricapitalizzata ma l'operazione è subordinata all'approvazione di una accordo via referendum da parte dei sindacati. I lavoratori bocciano l'intesa e la compagnia scivola verso l'amministrazione straordinaria con la nomina di tre commissari: Luigi Gubitosi, Stefano Paleari ed Enrico Laghi. Una soluzione nata come transitoria in cerca di nuovi partner industriali. Per mesi si susseguono trattative con una possibile cordata composta da Fs, Atlantia e Delta ma nonostante mesi di sfiancanti negoziati l'intesa non viene raggunta.
La nascita di Ita
Con il marzo 2020 e l'esplosione della crisi Covid cambiano nuovamente le carte in tavola. La pandemia mette a terra il settore in tutto il mondo e i governi sono costretti a massicci interventi di sostegno in soccorso delle proprie compagnie. E' in questa cornice che il governo giallorosso guidato da Giuseppe Conte riporta il pubblico in cabina di comando della compagnia e costituisce una nuova società interamente a capitale pubblico, Ita. Come aministratore delegato viene scelto Fabio Lazzerini a cui viene affiancato l'anno successivo, nominato dal governo Draghi, Alfredo Altavilla come presidente esecutivo. Per partire la compagnia riceve in dote una prima iniezione di fondi pubblici da 700 milioni di euro.
Si arriva alle battute recenti della vicenda. La Commissione europea, attenta supervisora dell'operazione, per autorizzare il sostegno pubblico ad Ita chiede una vera discontinuità con le compagnie precedenti. Quindi nessun travaso automatico dei dipendenti e una vara gara per il marchio Alitalia, a cui Ita può partecipare alla pari di altri vettori. Le condizioni poste da Alitalia però per la cessione del marchio non incontrano il favore di Ita, che giudica eccessivi i 290 milioni fissati dai commissari per l'acquisto del brand. Il risultato è che al decollo, venerdì, ci sarà una nuova compagnia, con un nuovo nome (per ora), un equipaggio nuovo soltanto in parte e un marchio con 75 anni di storia che, almeno per il momento, potrebbe restare solo negli hangar.

fonte : https://www.repubblica.it/economia/2021/10/14/news/alitalia_storia-322046034/
 

antser

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Questo paese è pieno di simboli del declino e Alitalia non è nemmeno il più grande; sarebbe bello che si incominciasse a pensare seriamente a qualche iniziativa che abbia una minima possibilità di divenire simbolo di rinascita. Non mi riferisco in particolare ad ITA, ma "il meglio che fallisca, anzi ben gli sta a quei balordi" è un refrain tanto facile quanto sterile: si vabbè, è fallita, e poi? E' come il vaffa di grillo che, messo alla prova, fa molto peggio di chi era stato mandato affa.
Voi ne sapete di sicuro più di me ma io, visto anche che c'è il signor Altavilla che non è il boiardo quadratico medio, la presunzione di innocenza a ITA la do. Magari Altavilla non conta una mazza come tutti i suoi predecessori, magari sarò smentito il 16 ottobre ma di qualunquismi si muore e poi - che ci vuoi fare - voglio vedere per credere anche perché stare qua ad inveire ha lo stesso effetto del nulla.
Se poi l'obiettivo era quello di veder scorrere il sangue beh, mi pare che ne sia scorso parecchio anche se, magari, non della giusta "qualità"; insomma, qualche cattivo ha pagato. E poi, ad essere sinceri, io mi ricordo sempre quanto siano stati gentili, a volte ben oltre quello che la professione gli imponeva, alcuni assistenti di volo quando, pre-pandemic, facevo il pendolare con gli USA. Che ne so, sarò stato il più fortunato del mondo, ma a mia personalissima esperienza, Alitalia è stata la faccia di quelle persone. Certo, poi ci sono stati i soldi prelevati forzosamente per tenerla a galla, e questo cancella ogni romanticismo. Che devo dire, auguro il meglio a ITA (che ragionevolmente significa essere assorbita da una major), per lei e per le mie tasse
 

romaneeconti

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@antser: in Italia e' impossibile avere una Compagnia in grado di stare sul mercato. Manca tutto, mancano le fondamenta per fare impresa nel mondo dell'aviazione. Purtroppo le capacita' professionali degli operatori del settore vengono vanificate dalle manchevolezze di cui sopra. ITA non cambiera' l'andazzo.
 
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antser

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Non so per quale motivo le fondamenta per fare aviazione non possano essere create, non penso sia venuto Dio in persona a stabilirlo. La fine che farà ITA non la so, ma che in Etiopia e in Bangladesh si possa avere una compagnia aerea e in Italia, per una qualche misteriosa legge, no, rimane un mistero. E poi pure questo è un ritornello:
In Italia non si possono fabbricare automobili
In Italia non si possono fare le navi
In Italia non si può fare l'hi tech
In Italia non si possono fare le biciclette
In Italia non si possono fare le moto
In Italia non si posso fare gli elettrodomestici
In Italia non si possono fare arredamento e tecnologie per l'edilizia
In Italia non si può fare ricerca
In Italia non si può fare turismo come si dovrebbe
In Italia non si può fare la musica rock (solo le canzonette di Sanremo)
......

Visti tutti questi divieti, vorrei sapere io di che campo
 
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romaneeconti

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Non so per quale motivo le fondamenta per fare aviazione non possano essere create, non penso sia venuto Dio in persona a stabilirlo. La fine che farà ITA non la so, ma che in Etiopia e in Bangladesh si possa avere una compagnia aerea e in Italia, per una qualche misteriosa legge, no, rimane un mistero. E poi pure questo è un ritornello:
In Italia non si possono fabbricare automobili
In Italia non si possono fare le navi
In Italia non si può fare l'hi tech
In Italia non si possono fare le biciclette
In Italia non si possono fare le moto
In Italia non si posso fare gli elettrodomestici
In Italia non si possono fare arredamento e tecnologie per l'edilizia
In Italia non si può fare ricerca
In Italia non si può fare turismo come si dovrebbe
In Italia non si può fare la musica rock (solo Sanremo)
......

Visti tutti questi divieti, vorrei sapere io di che campo
te lo ha spiegato la storia dell'aviazione italica.
 

13900

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Non so per quale motivo le fondamenta per fare aviazione non possano essere create, non penso sia venuto Dio in persona a stabilirlo. La fine che farà ITA non la so, ma che in Etiopia e in Bangladesh si possa avere una compagnia aerea e in Italia, per una qualche misteriosa legge, no, rimane un mistero. E poi pure questo è un ritornello:
In Italia non si possono fabbricare automobili
In Italia non si possono fare le navi
In Italia non si può fare l'hi tech
In Italia non si possono fare le biciclette
In Italia non si possono fare le moto
In Italia non si posso fare gli elettrodomestici
In Italia non si possono fare arredamento e tecnologie per l'edilizia
In Italia non si può fare ricerca
In Italia non si può fare turismo come si dovrebbe
In Italia non si può fare la musica rock (solo le canzonette di Sanremo)
......

Visti tutti questi divieti, vorrei sapere io di che campo
Secondo me dire "l'aviazione in Italia non si puo' fare" e' riduttivo.

E' vero che creare una compagnia aerea di successo e' difficile. Il motivo principale (e secondo me la vera "root cause", cose come management incapace, sottocapitalizzazione i sindacati o i politici sono o falsi problemi o problemi comunque risolvibili) e' uno: il mercato dove c'e' il "core" della popolazione, la maggior parte della forza produttiva e del reddito e' la pianura padana. Ma la pianura padana e' forzosamente multicentrica. Da Udine a Torino ci sono, cosa, 500 km? E quanti diversi distretti produttivi, quante citta' di medie/grandi dimensioni, quante fabbriche/aziende/multinazionali?

A questo fattore geografico aggiungiamoci che c'e' un aeroporto ogni 50 km in media, e che il "punto focale" della Padania da sola ne ha tre (piu' Montichiari) ed ecco il problema. Dove c'e' la domanda c'e' troppa frammentazione.

Cio' non toglie che una compagnia con hub a Roma potrebbe e dovrebbe funzionare. Pero' si entra negli altri sub-problemi...
 

londonfog

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Londra
Vorrei fare una pausa su recriminazioni, commenti, prevision, etc. Per me AZ (quella con il tricolore in coda e il pentagramma ai finestrini) voleva dire andare dai nonni a Venezia o tornare a casa in Kenya (a seconda della direzione). E' stata una dele culle della mia passione per il volo. Sono combattuto dalla tristezza infinita che mi viene quando leggo i necrologi e la sensazione di essere preso in giro quando penso che il nome e il marchio 'risorgeranno un''altra volta'. ITA volera' come AZ fra breve perche' creare una realta' ex-novo pare brutto. Un'araba fenice che parte senza piani.
In questo momento pero' penso solo ai voli FCO-ATH-NBO con i DC.8 di piu' di cinquantanni fa, volo che proseguiva per il Sud Africa. O il volo che mio padre chiamava "L' accelerato per Roma" (traduzione in termini contemporanei credo che sia il regionale per Roma), il volo con DC6B che faceva scalo in Somalia, Aden e in altri due posti operato con DC.6B, volo che piaceva a me quando ero bambino perche' aveva piu' decolli e atterraggi e l'aereo aveva le eliche (cosa importante quando avevo sei anni). o ai Viscount fra Roma e Venezia quando non ci fermavamo qualche giorno dai miei zii. AZ e' stata una grande protagonista della mia infanzia, leggerne i necrologi mi riempie di tanta tristezza.
 

romaneeconti

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Quindi

Allora ce lo hanno spiegato pure:
La storia dell'autombile italica
La storia della cantieristica italica
ecc ecc

Qual è, quindi, la tua ricetta per il futuro?
Non direi proprio "la storia dell'autombile" e altre cui fai menzione...forse potresti intuirle tu le motivazioni di quanto chiedi... Prova a farti la domanda e darti una risposta (in Marzullo's style...) Qui sopra 13900 ha iniziato...in sintesi in Italia non esiste la consapevolezza di saper far sistema in questo settore...scusa se non e' buon motivo per fallire..
 
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Paolì

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Comunque oggi andando a lavoro mi è quasi scesa la lacrimuccia passando davanti al gate di uno degli ultimi voli az, tra l'altro molto pieno e con tanti staff AZ in posizionamento verso fco riconosciuti dal tesserino al collo, senza divisa (immagino perché da domani non ci saranno più voli e la loro sosta a Palermo diventa inutile). Inoltre per la prima volta ho notato che i banchetti dell'American express sono deserti... Chissà da domaniIMG_20211014_100751.jpg
 
U

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Guest
Addio Alitalia per modo di dire… molto probabilmente stesso brand, divise, sistemi, callsign, piastrina IATA…

Diciamo piuttosto “addio all’Alitalia delle dimensioni che conoscevamo prima”.
Se i managers e la politica che affianca Altavilla sono i medesimi di ieri fra non molto Altavilla salta e andra a godersi la buona uscita altrove; potra sempre dire di averci provato. Certo che iniziare dichiarando guerra a easyjet e ryanair puntando alla clientela di affari da Linate, a meno di una battuta goliardica, non pare l'inizio di qualcuno che ci ha capito in aviazione moderna.
 

Paolo_61

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Secondo me dire "l'aviazione in Italia non si puo' fare" e' riduttivo.

E' vero che creare una compagnia aerea di successo e' difficile. Il motivo principale (e secondo me la vera "root cause", cose come management incapace, sottocapitalizzazione i sindacati o i politici sono o falsi problemi o problemi comunque risolvibili) e' uno: il mercato dove c'e' il "core" della popolazione, la maggior parte della forza produttiva e del reddito e' la pianura padana. Ma la pianura padana e' forzosamente multicentrica. Da Udine a Torino ci sono, cosa, 500 km? E quanti diversi distretti produttivi, quante citta' di medie/grandi dimensioni, quante fabbriche/aziende/multinazionali?

A questo fattore geografico aggiungiamoci che c'e' un aeroporto ogni 50 km in media, e che il "punto focale" della Padania da sola ne ha tre (piu' Montichiari) ed ecco il problema. Dove c'e' la domanda c'e' troppa frammentazione.

Cio' non toglie che una compagnia con hub a Roma potrebbe e dovrebbe funzionare. Pero' si entra negli altri sub-problemi...
La Germania è ancora più multicentrica; Francoforte, hub storico di LH, compete da sempre con almeno altre 3 "capitali economiche". Eppure non mi sembra che LH ne abbia sofferto più di tanto.