Vorrei segnalare questo articolo di Cristiano Gatti su Il Giornale. Non ha tutti i torti..
Consegno il racconto di un’esperienza unica e indimenticabile. Così dicono. È il primo Milano-Roma della nuova era. Non voglio dire che sia leggendario come una trasvolata dell’Atlantico in mongolfiera, ma indubbiamente si porta dietro tutto un suo significato.
Allora: sono a Linate quando rintoccano le cinque, quando ancora la bruma nasconde i profili del mondo e il gelo notturno ghiaccia le giunture. L’aeroporto - dal mio punto di vista l’aeroporto più comodo del mondo: non a caso vogliono segarlo - questo glorioso aeroporto cittadino è popolato da pochi fantasmi assonnati. Sono - siamo - quasi tutti nella zona del vecchio check-in AirOne, che però anche adesso è ancora tale e quale. Mentre qualcuno si chiede come mai non siano comparse nuove insegne, o comunque qualche visibile traccia della neonata compagnia, ecco un inserviente arrivare con un cartonato sotto le ascelle. È un cartello che sta in piedi da solo, tipo teatrino delle marionette. Non è molto, ma è l’unica effigie reale del cambiamento. Vi si legge: «Nasce per voi un’Alitalia nuova: dal 13 gennaio è operativo il nuovo programma di voli Alitalia ed AirOne».
Praticamente, almeno per il momento, è un colosso a due teste. Ancora distinte. Io, per praticità e per capirci, comincerei col chiamarlo AliCai. O CaiOne. O AliOne. Facciamo AliCai e non se ne parli più. Volo AP 2941 delle 6,30: te lo scrivo, così che resti per sempre stampato nella nostra memoria. È questo il battesimo della gloriosa tratta, che unisce le capitali d’Italia. Due assistenti di volo si spartiscono i due punti del check-in. Il terzo, riservato «Bagagli a mano», è desolatamente vuoto. Come prima, come sempre. Difatti, io ho solo bagaglio a mano, ma anche per la nuova compagnia devo fare la coda. Cosa vuoi che sia: oggi è il vernissage, come la prima della Scala, non tutto fila alla perfezione, per oliare gli ingranaggi servirà del tempo...
Sfiliamo verso l’imbarco. Uscita A3: per un attimo, puntando sulla novità, spero sia l’accesso diretto all’aereo. Niente: è il «gate» di sempre, sempre con insegne AirOne. Bisogna salire sul pullman. L’ho detto: ci vorrà un po’ di tempo per andare a regime. L’importante è che si parta col piede giusto almeno sulla puntualità. Diamine, è il primo volo, deve spaccare l’orologio. Orario ufficiale di partenza, 6,30. Orario d’imbarco: 6,40. Qualcosa mi dice già che non spaccheremo niente. Nemmeno stavolta, data del decollo storico.
Quando il pullman ci porta ai piedi dell’aereo, in un ambiente da grande glaciazione, sono già quasi le 7. Guardo il cosiddetto velivolo: un Airbus 320. Evidentemente non hanno avuto il tempo materiale di passare in carrozzeria per dare una riverniciata e piazzare nuovi adesivi: in tutto e per tutto, è ancora e sempre un Airbus AirOne. Con un dettaglio che però suona vagamente ironico: sul fianco, reca scritto «Partner of Lufthansa». E come no: s’è appena detto Air France, tra immani macerazioni nazionali, e noi voliamo ancora con logo Lufthansa.
Nel frattempo, sono le 7,10. A Dio piacendo, si parte: sono 40’ di ritardo, su una tratta di 50’. Mi pare di poter dire che quanto meno la nuova compagnia cominci nel segno della continuità. Caro diario, quel che avviene a bordo non è niente di storico. I sedili sono per metà vuoti. Mi aspetto un brindisino di circostanza, qualcosa che celebri l’avvenimento e crei un’atmosfera, ma le prime parole che vengono diffuse dal microfono affondano ancora il dito nella piaga: «Benvenuti a bordo del volo Milano-Roma AirOne, in collaborazione con Lufthansa...». C’è poco da fare: scaduti gli obblighi contrattuali pregressi con i tedeschi, bisognerà passare velocemente dal carrozziere, bisognerà cambiare prestissimo anche il testo di presentazione. Al momento, se una cosa risulta veramente chiara, è che siamo graditi ospiti di Lufthansa.
E comunque niente brindisi. Nessun segnale del grande cambiamento. La solita salviettina detergente, il solito caffè americano, la solita bustina di biscotti. Durante il servizio, sopra gli Appennini, si comincia pure a ballare. Dopo una dozzina di robusti scrolloni, la signorina è costretta a sospendere il servizio-ristoro. È in questo preciso momento che pronuncia sommesse parole nel segno del memorabile cambiamento: «Mi sembra eccessivo: inaugurare la Cai così...». Allora è confermato: siamo su un aereo Cai. Chi l’avrebbe detto mai.
Eccolo là sotto, Fiumicino. L’aereo atterra docilmente, e peccato che neppure questa volta sia concesso il gusto di dire «in perfetto orario». Riguardo l’orologio: più di mezz’ora il ritardo. Non c’è verso: si ricomincia da dov’eravamo rimasti. Ma caro diario, te lo ripeto: serve un poco di pazienza. Ci vorrà del tempo, prima che da due compagnie si riesca a tirarne fuori una. Buona. E caso mai qualcuno avesse dei dubbi, basta aspettare ancora qualche minuto. Dopo un caffè, vado al check-in per il ritorno. Orario fissato, 9,20. Orario di partenza effettivo, 12,20.
In questo tempo assurdo e interminabile, tre ore esatte, rubate un quarto d’ora per volta, sempre con la seria minaccia della cancellazione, va in scena il solito teatrino all’italiana. Gli addetti che si arrampicano sugli specchi con irritante rumore di unghie, «a Linate c’è ghiaccio sulla pista», «anzi no, hanno cominciato le assemblee», «partiamo, forse, chissà». E la gente, la spettabile utenza, che maledice l’universo, «perché voi vi meritavate un bel fallimento, non i nostri tre miliardi per coprire i debiti», eccetera, eccetera, eccetera. Caro diario, lascia che mi fermi qui. Te lo dico sinceramente: mi sarebbe piaciuto scrivere con orgoglio «io c’ero», quello che ho visto e sopportato mi induce a scrivere «io c’ero, ma avrei preferito non esserci». L’ho detto: serve tempo. L’importante è averne. Dovendo stilare un bilancio, in attesa dei grandi cambiamenti, direi che per il momento bisogna accontentarsi del risultato minimo. La nuova compagnia non è né meglio né peggio della vecchia: semplicemente, è.