Mai avrei pensato che questo racconto iniziasse ai tempi del panettone e finisse con le colombe a tavola. Eppure, eccoci ancora qui. L’ultima parte, prima del ritorno a Damasco è quella del Krak dei Cavalieri e di Palmira, prima della guerra le due attrazioni più visitate della Siria. Oggi, scalfite e profanate dall’ignoranza di chi ha cercato di cancellare secoli di storia e bellezza.
Visitare questi posti è difficile, per me un’esperienza molto toccante. Avrei voluto fermarmi a riflettere sulla storia e ad osservare la bellezza che mi circonda come in un museo o in un castello in qualsiasi altra parte del mondo. Invece qui si fa solo il confronto tra il prima ed il dopo, tra quello che era e tra quello che oggi è. Mi sento un poco come se stessi facendo visita ad un amico in ospedale, pieno di ferite, malato, triste. È complicato da comprendere ma questa è la sensazione.
Poi c’è altro, non solo il Krak e Palmira ma i dintorni. Ristoranti, alberghi, negozi di souvenirs, palazzi. Una volta affollati, vivi, pieni di gente, oggi sono ruderi abbandonati. Anche questo è pesante. Immaginate luoghi come Pompei, Venezia, la Torre di Pisa, il Duomo di Milano, luoghi che incarnano la storia e la bellezza del nostro paese, feriti e dimenticati. Palmira e il Krak sono simboli tangibili di questa triste realtà oggi.
Partiamo dal Krak dei Cavalieri. Situato tra Tartus ed Homs, è una maestosa fortezza risalente al periodo delle Crociate, è stato un simbolo di potere e difesa durante il Medioevo e oggi quello che rimane è nonostante tutto un'icona storica di straordinaria importanza. Eccolo in tutta la sua imponenza.
Ovviamente proprio la sua imponenza ha attratto nel periodo cruento della guerra milizie, terroristi, soldati che se lo sono conteso e che lo hanno usato come base per attaccare e difendere con evidenti danni alla struttura

Le foto si commentano da sole, imponenza, bellezza, storia resistono, ma i danni sono evidenti. C’è un progetto di recupero supportato anche da Università occidentali ma tra guerra, embargo e sanzioni tutto va molto, molto lentamente.
Come dicevo prima, nei dintorni ci sono solo alberghi distrutti, e pochi coraggiosi che stanno rientrando nelle loro vecchie case. Uno degli alberghi offre una vista incredibile sulla valle. Mi infilo dentro, scatto qualche foto. Mi viene una strana sensazione di ansia, nel silenzio totale di queste rovine immagino i rumori ed il frastuono di comitive organizzate che qui mangiavano e dormivano. Ora siamo soli, sono rimasti solo gli adesivi delle agenzie che portavano i turisti.
Tra le verdi colline di queste zone, c’è un eroe. Un amico di Nasuh, scappato in Germania nel 2014 che dal 2020 è tornato qui ed ha aperto una sorta di agriturismo. Non ci possiamo credere. Non c’è un turista, non c’è un’anima eppure qui quest’uomo ha risistemato la sua vecchia casa, l’ha allargata, ha recuperato letti, coperte, tavoli, una griglia enorme e ha messo su un albergo ed un ristorante.
Nasuh ci chiede se vogliamo fermarci per pranzo, ovvio che vogliamo. Il ramadan è sempre più uno sbiadito ricordo.
Aleb, apparecchia la tavola, metta la legna nella stufa e dopo una mezz’ora ci invita a sederci.
Il gruppo a tavola
E vicino alla stufa, dove passiamo il pomeriggio a parlare di cosa significhi vivere in Siria oggi. Tante storie che prima o poi metterò in un libro.
Nota 1: Nasuh, i 4 pazzi, una donna e l’amico di Nasuh che ha aperto questo albergo, ristorante. Facce oscurate per privacy
Nota 2: c’è una donna, nella foto si vede una maglietta rosa. All’improvviso è arrivata dalla sua camera dicendo che era da un mese ospite nell’albergo e stava ritrovando sé stessa. (in Siria??? ndr)
Prima di andare via, facciamo anche un giro nelle camere dell’albergo, Aleb ci tiene a farcele vedere. Dalla foto potete capire che i pezzi per costruire il tutto sono stati “recuperati” nel vero senso della parola.
È davvero un peccato dover andare via. La familiarità e l'ospitalità di questo luogo, insieme alla convivialità e alla gentilezza dimostrate da questa persona, sono veramente straordinarie. Tuttavia, con il sole che tramonta e l’inesistente illuminazione delle strade in Siria, è più sicuro mettersi in marcia vero la città di Al-Mishtaya dove trascorreremo la notte.
Il giorno seguente inizia con un'abbondante colazione e con una passeggiata a piedi per esplorare il suggestivo monastero di San Giorgio. Situata nella valle dei Cristiani, questa regione della Siria racconta storie di fede e resilienza. Durante il periodo del conflitto, molti abitanti hanno abbandonato queste terre, temendo per la propria sicurezza. Anche i monaci del monastero non sono stati risparmiati dalla fuga: oggi, solamente sei di loro rimangono. Gestiscono tutto, orto, chiesa, cucina, i pochi visitatori. Nonostante il passare del tempo, il timore della violenza passata non è svanito, è visibile come vivano con la paura palpabile del pericolo imminente. Per questo motivo, ci chiedono rispettosamente di non scattare fotografie durante la visita. La loro richiesta è un promemoria della fragilità della pace in questa regione tormentata, ma anche un segno della loro resilienza e determinazione nel proteggere ciò che resta del loro patrimonio spirituale e culturale.
Riesco a fare solo una foto. L’interno della chiesa.
Ripartiamo in auto direzione Palmira. La spia della riserva della nostra auto si accende. È ora di fare benzina. No, in Siria non si va alla Esso o alla Tamoil, ci si ferma ai bordi della strada alla prima bancarella e si contratta per un paio di taniche di contrabbando. La scena può sembrare surreale, ma è la realtà del 2023 siriano.
La strada verso Palmira non è tra le più sicure della Siria. Sebbene la zona sia sotto il controllo delle forze governative, nel deserto persistono sacche di terroristi e delinquenti. La strada è lunga, dritta e ritmata da continui checkpoints. Ai lati, cimiteri di carrarmati si alternano a basi logistiche militari. Poco prima di arrivare a Palmira ci imbattiamo anche in un campo di Hezbollah. Ci fermano, ci controllano, ci offrono del tè e ci spiegano dove andare. Ovviamente si tratta di installazioni gestite in collaborazione con il governo, quindi siamo tranquilli e sicuri. A me comunque sembra tutto surreale, quasi assurdo.
Ci avviciniamo a Palmira, mi colpisce vedere i pick up Toyota dell’ISIS che hanno ancora le mitragliette attaccate sopra. Molti sono stati distrutti, molti altri continuano ad essere usati.
La cittadina di Tadmor che custodice le rovine di Palmira è un ammasso di case pericolanti, macerie, distruzione. C’è gente ma poca che si sta riappropriando di quello che gli è stato strappato con la violenza. Gli sguardi di questa gente non mi mettono tranquillità, molti ragazzi che ora sono buttati per strada a non fare nulla forse qualche anno fa combattevano come miliziani. La sicurezza però è garantita. L’esercito è ovunque e ci controlla. Purtroppo, non ho tante foto, l’atmosfera tesa non ha permesso di filmare o scattare tanto.
A Palmira c’era anche un museo, il direttore, giustiziato dai terroristi ha cercato di difenderlo fino alla fine ma purtroppo oggi è in condizioni pietose. Un patrimonio perso.
Questo è quello che troviamo
Non credo di dove aggiungere tanto. Vi metto solo questa foto, qualcuno si ricorderà di questo scempio. Io ci sono stato male.
Il sito di Palmira si apre davanti ai nostri occhi c’è poco da aggiungere alle foto. La bellezza è struggente, la sua maestosità infinita. Anche qui, i danni sono notevoli.
Un esempio su tutti il tempio di Bel. Come era prima…
Quello che resta ora…
Passiamo un bel po’ di tempo a girare a piedi, il sito è grande e per vederlo tutto ci vorrebbe un giorno intero. Il momento più toccante è la visita dell’anfiteatro, diventato tristemente famoso per essere stato luogo dell’esecuzione di molti civili, anche questo parzialmente distrutto dalla furia dei terroristi.
Andiamo via impressionati per tutto. Faccio anche fatica a descrivere il misto di sensazioni forti provate. Ci rimettiamo in auto e ci avviamo verso la città, Anche qui, come al Krak dei Cavalieri, la quantità di alberghi e ristoranti abbandonati è scioccante. C’è un signore che sembra preparare un barbecue. Ci fermiamo. Per pochi dollari ci prepara il nostro pranzo.
A pochi passi riusciamo anche a bere un caffè
Finiamo il nostro spuntino e sperando di non doverci fermare subito alla ricerca di un bagno nel deserto, ci infiliamo in macchina alla volta di Damasco. Il viaggio sarà lungo e la strada monotona. Nel silenzio, con il sole che cala e la stanchezza che sale, ci avviamo lentamente verso l’ultima serata siriana.
Arriviamo a Damasco che è buio. Ci laviamo e sistemiamo alla meglio. Per l’ultima sera abbiamo prenotato il migliore ristorante della città. Dopo aver visto l’estrema povertà, ritorniamo nell’opulenza di quei pochi fortunati che con la guerra si sono addirittura arricchiti. Nasuh stasera ha preferito ritornare dalla moglie, noi siamo soli. Prendiamo un paio di piatti a testa ma quando iniziano a servirci, ci rendiamo conto di aver esagerato.
Il tutto accompagnato da musica dal vivo e da uno spettacolo di dervishi. Ancora una volta, contrasti surreali. Poche ore fa eravamo nel deserto dei disperati, ora siamo nell’elitè siriana con Rolex, tacchi alti, borse firmate e portafogli gonfi, molto gonfi.
Concludiamo la cena con una abbuffata di calorie e zuccheri
Paghiamo, ovviamente in contanti. 428000 lire siriane. All’epoca del pagamento, un anno fa, 80 USD, ora mentre scrivo 32 USD. L’inflazione, quella seria.
Andiamo via, facciamo un giro nel centro di Damasco e poi rientriamo in hotel. Giornata lunga, intensa ed emozionante. Domani è la volta di Damasco e finalmente l’ultima tappa di questo racconto.