[TR] - We are all the same: Syria - Attenzione: non è un TR aeronautico!


1) Il racconto di tua nonna, mi ricorda il racconto dei miei genitori (piu' vecchi di tua nonna, ho 70 anni) e dei miei nonni. Purtroppo la memoria si sta perdendo. Un mondo che oramai considera la settimana scorsa passato remoto non ha tempo ne voglia di ricordare, questo e' un peccato perche' purtroppo la mancanza della memoria [Edit] fa ripetere gli errori. (Mi sono accorto con ore di ritardo che non avevo completato la frase)
2) Le foto di Aleppo stringono il cuore. Aveva la fama di essere una bellissima citta'.
3) Paganini non ripete, londonfog si. Un libro ci sta e come, se vuoi ti do una mano.
 
Ultima modifica:
Tanta roba, non dico che leggere e vedere queste immagini sia come essere li con te, ma danno comunque sensazioni forti.
Io comunque ancora non ho capito dove avvolgi quel metro di pelo sullo stomaco che serve per fare viaggi simili, in senso positivo ovviamente. Calcola che per me il massimo di avvicinamento concepibile con la Siria di oggi si limita ad andare un paio di volte l'anno al ristorante siriano a qualche km da casa mia.
 
Purtroppo, scrivere si sta rivelando complicato. Dall’inizio dell’anno sono stato a casa pochi giorni, il poco tempo libero lo dedico a sport e famiglia. Però non mi dimentico di quei pochi a cui questo racconto sta piacendo ed allora eccomi qui.

Ripartiamo da Aleppo. Le prossime tappe ci riporteranno verso sud e poi verso il mare. Troveremo una Siria piena di check point, di militari, di cittadine ancora distrutte. Qui la Siria appare meno religiosa, ci sono le basi russe, i porti, il mare agitato, il vento. Sembra un altro paese. L’unica costante è la distruzione.

Da Aleppo imbocchiamo la strada che porta verso Homs, lasciamo la vivace mattina di sole e in breve ci ritroviamo a pochi chilometri da Idlib. La strada è ancora una volta esposta all’enclave terroristica e per alcuni chilometri siamo veramente esposti. Nasuh con la sua auto vola, letteralmente quando prendiamo un dosso che per poco ci manda al creato.

La prima tappa è Ebla e la sua cittadella, o almeno questo era il piano. La cittadella è stata occupata dai militari e quando ci avviciniamo vediamo almeno una ventina di cecchini, tutti con i loro fucili puntati in direzione Idlib. Alcuni miltari si avvicinano, scambiano qualche parola con Nasuh, chiedono i documenti, ci dicono di allontanarci. Forse avremmo dovuto capirlo guardando il dito di Bashar al-Assad.

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Ripartiamo verso sud. Tra le decine di cittadine ormai ridotte ad una indefinita e massiccia quantità di pietre, Nasuh ci porta a Ma’Arrat An Nu’Man. Sarà uno dei momenti più toccanti del viaggio. Questa città non è accessibile, è chiusa e circondata dai militari. Liberata dall’ISIS solo nel 2020 ha ancora zone minate, ci sono ordigni inesplosi e cadaveri sotto le macerie. Da quel momento non ci è più entrato nessuno. Qui Nasuh ci portava i turisti a vedere gli stupendi mosaici delle città morte della Siria del Nord conservati un museo, la stupenda moschea con annessa la madrasah risalente al 1200 circa e la statua del poeta Abū l-ʿAlāʾ al-Maʿarrī. Oggi di tutto quello rimane poco.

Ci fermiamo qui, bloccati da una serie di barili di acciaio.

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Non passano nemmeno 20 secondi e siamo circondati da militari. Ci chiedono cosa facciamo. Nasuh gli parla, si scambiano qualche parola e poi il militare ci chiede se vogliamo fare un giro accompagnati. Ovvio che vogliamo.

Purtroppo, c’è poco da vedere. Le immagini della città parlano da sole. La cosa più interessante quello che rimane del museo ed i militari con i quali ci intratteniamo a scambiare due chiacchiere. I racconti della guerra sono lucidi, vivi, ci mostrano dove hanno sparato, cosa hanno fatto per riprendersi la città.

Quello che ci impressiona di più è il confronto delle foto, del prima e del dopo, da una parte i bambini, la folla, i negozi, dall’altra il silenzio, il vuoto, le case sventrate.

Queste foto sono due foto di come era la città prima della guerra.

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E questo quello che rimane oggi. Non metto troppe foto e non credo di dove aggiungere altro

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Tra le macerie spunta anche questo.

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Ci dicono “It works, it works.”

Ritorniamo all’ingresso della città sempre scortati, selfie di rito e ripartiamo. Il selfie l’ha voluto lui e lui ha combattuto, è stato ferito ed orgoglioso ci ha mostrato la sua città.

Le storie si susseguono tra ricordi di un passato non troppo lontano che puzza ancora di morte e terrore. Essere stati i primi a tornare qui dopo l’ISIS mi fa sperare che possa esserci un futuro.

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Prima di rimetterci in auto sentiamo degli spari. Ci dicono di stare tranquilli, da queste parti è normale. Ogni tanto si scambiano mitragliate con i ribelli ancora presenti a pochi chilometri. Noi siamo al sicuro ma la paura è tanta.

Ci allontaniamo scortati fino al check point e ripartiamo dopo averci scambiato qualche stretta di mano. Direzione Apamea.

Giusto per avere una idea geografica, questa è la zona della Siria dove ci stiamo muovendo. Quella evidenziata in rosso è ancora in mano a bande criminali legate all’ISIS e tenute controllate, sotto tiro dall’esercito fedele al governo centrale.

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Ci avviciniamo alle rovine dall’unica strada percorribile e già da lontano si percepisce l’immensità.

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Non so se queste colonne abbiano visto turisti negli ultimi dieci anni, fatto sta che questo posto è incredibilmente bello e non sembra aver subito grossi danni dalla guerra. Le foto parlano da sole

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Tra le rovine della città ci sono anche pecore e pastori

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Gli occhi di questo bambino non sembrano reali da quanto sono belli.

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Andiamo via. Ho mille pensieri nella testa, la bellezza delle rovine, gli occhi di questo bambino che chiedeva cibo, le macerie, il soldato orgoglioso della sua città in macerie, gli spari dei cecchini a pochi chilometri, la paura. Viaggiare in posti del genere è al limite ma rigenera la mente. Pulisce via ogni percezione, speculazione, talvolta convinzione che ci creiamo stando seduti sul divano di casa a guardare la tv.

Ci rimettiamo in auto. La strada all’inizio è piena di carri armati, mortai, razzi.

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Fino a quando svoltiamo in direzione di Latakia e superiamo l’ultimo check point

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Latakia, in italiano Laodicea capoluogo di un territorio in prevalenza abitato dagli alawiti, musulmani non molto praticanti e molto meno religiosi. Non mi dilungo molto sull’aspetto teologico ma la differenza con i territori più interni della Siria è evidente. In tutto. Una sola premessa, importante per capire la situazione attuale di questa zona della Siria è che gli alawiti oggi dominano all'interno dei vertici militari e dei servizi segreti e questo è stato sicuramente uno dei motivi per cui questa zona della Siria, che va da Latakia a Tartus è sopravvissuta indenne alla guerra civile.

La strada passa tra le colline prima di arrivare al mare.

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Il mare ed un resort. La Siria nel 2023 è anche questo. E l’estate porta anche turisti locali. Incredibile ma vero. Qui da maggio ad ottobre non c’è una camera libera e la spiaggia è piena di ombrelloni.

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Passiamo il resto della serata a guardare il tramonto, ceniamo e finalmente ci buttiamo sotto una doccia calda.

Dopo cena facciamo due passi ma il buio ed il vento ci spingono a tornare in camera. Il mare è mosso.

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Il rumore delle onde e l’odore del mare mi portano lontano da qui. Non riesco a credere che in questo resort fra qualche mese ci possa essere una folla di villeggianti. Un paese in guerra, martoriato dalle bombe, profughi ovunque e qui, nella terra degli alawiti, i mussulmani meno credenti, gente che fa le vacanze al mare come una normale estate riminese.

Con questo pensiero mi giro e rigiro nelle coperte fino a quando mi addormento.
 
Questo racconto credo stia piacendo ai più... solo aspettavo la fine per ringraziarti.
quindi grazie adesso e poi ti ringrazierò ancora alla fine ;)
 
Grazie davvero e complimenti. Ho qualche domanda:
1) sai se l'incredibile sito archeologico di Ebla (scavato da italiani) esiste ancora?
2) Apamea la visitai nel 2010 e confrontando le mie foto con le tue non sembra avere avuto danni, per fortuna, data la sua bellezza ed importanza archeologica.
3) qualche anno fa vidi un documentario francese sulla Siria durante il periodo più duro della guerra. Una parte fu girata a Latakia (per altro il paese di origine di Hassad che visitai nel 1997 rimanendone deluso), e rimasi colpito dai turisti tranquilli sotto l'ombrellone e divertirsi con le moto d'acqua.
Grazie ancora
 
Grazie davvero e complimenti. Ho qualche domanda:
1) sai se l'incredibile sito archeologico di Ebla (scavato da italiani) esiste ancora?
2) Apamea la visitai nel 2010 e confrontando le mie foto con le tue non sembra avere avuto danni, per fortuna, data la sua bellezza ed importanza archeologica.
3) qualche anno fa vidi un documentario francese sulla Siria durante il periodo più duro della guerra. Una parte fu girata a Latakia (per altro il paese di origine di Hassad che visitai nel 1997 rimanendone deluso), e rimasi colpito dai turisti tranquilli sotto l'ombrellone e divertirsi con le moto d'acqua.
Grazie ancora


Ciao! Si, il sito di Ebla esiste ma come detto rimane inaccessibile. Paolo Matthiae rimane a tutti gli effetti il direttore degli scavi ancora oggi.
 
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Ci avviamo verso l’ultima parte ma peccato per voi, dovete sopportarmi ancora per un poco. A questo ritmo vi libererete di questo TR per le vacanze estive.

Latakia stamattina si è svegliata sotto la pioggia, fa freddo e tira vento. L’albergo dove alloggiamo è riscaldato e ha l’acqua calda. Lusso nella maggior parte della Siria, paradossalmente normale in questa zona a cavallo tra le due cittadine costiere di Latakia e Tartus.

Il vento è forte e fastidioso, si fa fatica a camminare, non riesco nemmeno a scattare foto decenti. Il programma prevede colazione e giro in città. La prima tappa, l’arco trionfale di Settimio Severo. Le condizioni sono quelle che sono ed è avvolto in una selva di condomini orrendi. Quello che mi colpisce è che dell’antica città romana questo è tutto quello che rimane. Da qui partiva la strada colonnata che arrivava al mare.

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Ci rimettiamo in auto, la pioggia è insopportabile, decidiamo di andare via e avviarci verso Tartus. Prima però ci fermiamo all’ufficio turistico. Incredibile ma vero è aperto e funzionante.

Recupero qualche piccola guida e cartolina.

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Roba stampata anni fa ma che ancora orgogliosamente rimane a far mostra di sé sugli scaffali di un ufficio decadente. Ufficio aperto per pochi fortunati locali che possono permettersi le vacanze o per qualche raro straniero che decide di vedere questi posti oggi.

Faccio due passi dall’altra parte e, signore e signori vedo questo

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Un ufficio malandato di Syrianair. È veramente messo male, l’unica cosa nuova di pacca la foto di Bashar al-Assad. Certo che se i loro aerei sono messi così non so come facciano a volare sulle poche tratte che fanno.

Qui bisogna entrare. Avrei voluto prenotare un giro sul loro A340 ma niente…mi accontento di qualche cimelio che non credo sia disponibile in nessun altro angolo del pianeta.

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Ritorniamo in auto, direzione Tartus, dove arriviamo ancora in compagnia del cattivo tempo. La città è un importante porto per la Siria ed è sede di una delle maggiori basi navali militari russe. Il mare è agitato, mosso, schiumoso. Così tanto che l’odore delle onde lo sento forte nel naso per tutta la durata del viaggio. Un centinaio di chilometri lungo la costa, tutta puntellata da checkpoint russi. Qui le foto di Bashar diventano gigantografie prendi 2 paghi 1.

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A Tartus finalmente un poco di sole. Quando parcheggiamo e muovo i primi passi, mi rendo conto che la tensione della guerra qui quasi non esiste. Tutto sembra normale, l’apparenza è quella di una normale città che vive, lavora.

Tartus è forse una delle città più interessanti del paese. Ha legami con l’Italia, era parte dei possedimenti della repubblica di Genova, ha legami con i cavalieri templari, ci sono stati mussulmani, arabi, cristiani, prima ancora i Romani, insomma il mix perfetto per essere a tutti gli effetti uno scrigno pieno di archeologia, storia e cultura.

Noi iniziamo la visita da qui, la cattedrale di Notre Dame, cattedrale templare, trasformata poi in Moschea ed oggi museo.

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L’interno con qualche statua e poco altro.

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Usciamo e ci incamminiamo tra le strade del centro più antico

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Fino ad arrivare ad uno dei portoni di ingresso della fortezza eretta dai templari

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Oggi della struttura originaria restano i segni. Purtroppo, l’ignoranza, la scarsa attenzione, la necessità, ha trasformato la fortezza in alloggi privati e tra modifiche, abbattimenti, ricostruzioni, quella che era la bellezza di questo posto si può solo immaginare.

Il cortile è diventato un parcheggio

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Alcune case conservano l’architettura originaria ma sono state chiaramente manomesse e risistemate senza criterio

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La nostra presenza non passa inosservata, un signore ci viene incontro e ci invita a vedere quella che secondo lui è una scoperta importante. Ci fa entrare nella cantina e ci mostra che mentre risistemava tutto e faceva degli scavi ha trovato degli archi

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Ed una scala che chissà dove porta. Incredibile ma vero.

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Riemergiamo dalla cantina e dopo la pausa pranzo a base di pesce

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Ci lanciamo prima in una accanita partita backgammon e poi continuiamo la camminata.

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Anche durante il pranzo ci accorgiamo di quanto questa parte della Siria sia diversa. Siamo in pieno ramadan, nei giorni precedenti eravamo spesso soli a mangiare qualcosa. Qui invece tutti mangiano, giocano e bevono tè. La religione qui è interpretata diversamente.

La passeggiata continua tra le mura della fortezza, il lungomare e le botteghe spesso chiuse. Chiediamo a Nasuh se sono abbandonate. Lui ci spiega che oggi con 7000 USD puoi entrare a Cipro o in Turchia con documenti regolari e che i commercianti di Tartus sono quelli che negli ultimi anni hanno avuto le maggiori possibilità economiche proprio perché non ammazzati dalle bombe. Non chiediamo altro, le indagini si fermano qui ma la risposta ci fa pensare. Tanto.

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Anche a Tartus, una palla ed un portone fanno sognare un gruppo di ragazzini. La loro merenda per oggi, cioccolata made in Switzerland. Li salutiamo e procediamo.

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La solita fila per il pane, l’unico segno di oggi che ci riporta alla guerra e alla sua brutalità. La ressa non è quella di sempre ma il pane dello stato è razionato anche qui.

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Si, quello che lo stato siriano distribuisce gratuitamente o quasi, le panetterie a pagamento invece, dove si trovano anche i dolci sono spesso vuote o con pochissimi clienti. Ancora una volta, le contraddizioni.

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Il pomeriggio passa tranquillo tra tentativi di foto artistiche e passeggiate sulla spiaggia. Provo qualche bianco e nero. Non credo ci siano colori migliori per fotografare la Siria.

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Avremmo voluto prendere una barca ed andare sull’isola di Arward ma le condizioni del mare non lo hanno permesso

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Questa una foto dall’alto (non mia)

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L’isola sarebbe stata interessantissima ma non c’è modo di arrivarci. Il vento è troppo forte, le barche non possono raggiungere l’isola ed anche se qualche pazzo accettasse di portarci sarebbe troppo pericoloso. Decidiamo di ripiegare su un sito archeologico poco distante, Amrit, un antico porto fenicio. Oggi sono visibili pochi resti del tempio, dello stadio e della necropoli. Il tempio è quello più particolare trovandosi ad un livello inferiore rispetto al suo stesso ingresso.

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Finiamo la nostra visita, ritorniamo verso Tartus passando lungo la costa. Una decina di km tra resort, spiagge, campi di beach volley, club. Parole che diamo per scontato essere scomparse dai dizionari siriani e che invece sono ancora li.

Facciamo in tempo a goderci il tramonto

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Il sole tramonta, inizia velocemente a far buio e le nuvole sembrano scomparire mentre il mare si calma. Mi giro verso il bar alle mie spalle, ha acceso le luci.

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Ho una strana sensazione. A qualche centinaio di km ci sono ancora i morti sotto le macerie, qui c’è una piscina illuminata che probabilmente tra qualche settimana inizierà a vedere i primi bagnanti, a lato dei ragazzi fumano e bevono, c’è anche della musica.

Cos’è la normalità? È l’abitudine. Per noi la Siria è guerra, profughi, fame, povertà. Ci hanno abituato a quello e quello i nostri occhi vogliono vedere. E invece questa faccia viva, forte e che resiste mi fa strano ma mi apre la mente, mi fa pensare. La bellezza è ovunque, c’è un mondo, tanto mondo, forse troppo che non vediamo e che spesso pensiamo non esista. Smettere di vivere nelle proprie convinzioni è il regalo più bello che ognuno possa fare a sé stesso.

Buonanotte Tartus.
 
Mai avrei pensato che questo racconto iniziasse ai tempi del panettone e finisse con le colombe a tavola. Eppure, eccoci ancora qui. L’ultima parte, prima del ritorno a Damasco è quella del Krak dei Cavalieri e di Palmira, prima della guerra le due attrazioni più visitate della Siria. Oggi, scalfite e profanate dall’ignoranza di chi ha cercato di cancellare secoli di storia e bellezza.

Visitare questi posti è difficile, per me un’esperienza molto toccante. Avrei voluto fermarmi a riflettere sulla storia e ad osservare la bellezza che mi circonda come in un museo o in un castello in qualsiasi altra parte del mondo. Invece qui si fa solo il confronto tra il prima ed il dopo, tra quello che era e tra quello che oggi è. Mi sento un poco come se stessi facendo visita ad un amico in ospedale, pieno di ferite, malato, triste. È complicato da comprendere ma questa è la sensazione.

Poi c’è altro, non solo il Krak e Palmira ma i dintorni. Ristoranti, alberghi, negozi di souvenirs, palazzi. Una volta affollati, vivi, pieni di gente, oggi sono ruderi abbandonati. Anche questo è pesante. Immaginate luoghi come Pompei, Venezia, la Torre di Pisa, il Duomo di Milano, luoghi che incarnano la storia e la bellezza del nostro paese, feriti e dimenticati. Palmira e il Krak sono simboli tangibili di questa triste realtà oggi.

Partiamo dal Krak dei Cavalieri. Situato tra Tartus ed Homs, è una maestosa fortezza risalente al periodo delle Crociate, è stato un simbolo di potere e difesa durante il Medioevo e oggi quello che rimane è nonostante tutto un'icona storica di straordinaria importanza. Eccolo in tutta la sua imponenza.
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Ovviamente proprio la sua imponenza ha attratto nel periodo cruento della guerra milizie, terroristi, soldati che se lo sono conteso e che lo hanno usato come base per attaccare e difendere con evidenti danni alla struttura

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Le foto si commentano da sole, imponenza, bellezza, storia resistono, ma i danni sono evidenti. C’è un progetto di recupero supportato anche da Università occidentali ma tra guerra, embargo e sanzioni tutto va molto, molto lentamente.

Come dicevo prima, nei dintorni ci sono solo alberghi distrutti, e pochi coraggiosi che stanno rientrando nelle loro vecchie case. Uno degli alberghi offre una vista incredibile sulla valle. Mi infilo dentro, scatto qualche foto. Mi viene una strana sensazione di ansia, nel silenzio totale di queste rovine immagino i rumori ed il frastuono di comitive organizzate che qui mangiavano e dormivano. Ora siamo soli, sono rimasti solo gli adesivi delle agenzie che portavano i turisti.

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Tra le verdi colline di queste zone, c’è un eroe. Un amico di Nasuh, scappato in Germania nel 2014 che dal 2020 è tornato qui ed ha aperto una sorta di agriturismo. Non ci possiamo credere. Non c’è un turista, non c’è un’anima eppure qui quest’uomo ha risistemato la sua vecchia casa, l’ha allargata, ha recuperato letti, coperte, tavoli, una griglia enorme e ha messo su un albergo ed un ristorante.

Nasuh ci chiede se vogliamo fermarci per pranzo, ovvio che vogliamo. Il ramadan è sempre più uno sbiadito ricordo.

Aleb, apparecchia la tavola, metta la legna nella stufa e dopo una mezz’ora ci invita a sederci.

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Il gruppo a tavola

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E vicino alla stufa, dove passiamo il pomeriggio a parlare di cosa significhi vivere in Siria oggi. Tante storie che prima o poi metterò in un libro.

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Nota 1: Nasuh, i 4 pazzi, una donna e l’amico di Nasuh che ha aperto questo albergo, ristorante. Facce oscurate per privacy

Nota 2: c’è una donna, nella foto si vede una maglietta rosa. All’improvviso è arrivata dalla sua camera dicendo che era da un mese ospite nell’albergo e stava ritrovando sé stessa. (in Siria??? ndr)

Prima di andare via, facciamo anche un giro nelle camere dell’albergo, Aleb ci tiene a farcele vedere. Dalla foto potete capire che i pezzi per costruire il tutto sono stati “recuperati” nel vero senso della parola.

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È davvero un peccato dover andare via. La familiarità e l'ospitalità di questo luogo, insieme alla convivialità e alla gentilezza dimostrate da questa persona, sono veramente straordinarie. Tuttavia, con il sole che tramonta e l’inesistente illuminazione delle strade in Siria, è più sicuro mettersi in marcia vero la città di Al-Mishtaya dove trascorreremo la notte.

Il giorno seguente inizia con un'abbondante colazione e con una passeggiata a piedi per esplorare il suggestivo monastero di San Giorgio. Situata nella valle dei Cristiani, questa regione della Siria racconta storie di fede e resilienza. Durante il periodo del conflitto, molti abitanti hanno abbandonato queste terre, temendo per la propria sicurezza. Anche i monaci del monastero non sono stati risparmiati dalla fuga: oggi, solamente sei di loro rimangono. Gestiscono tutto, orto, chiesa, cucina, i pochi visitatori. Nonostante il passare del tempo, il timore della violenza passata non è svanito, è visibile come vivano con la paura palpabile del pericolo imminente. Per questo motivo, ci chiedono rispettosamente di non scattare fotografie durante la visita. La loro richiesta è un promemoria della fragilità della pace in questa regione tormentata, ma anche un segno della loro resilienza e determinazione nel proteggere ciò che resta del loro patrimonio spirituale e culturale.

Riesco a fare solo una foto. L’interno della chiesa.

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Ripartiamo in auto direzione Palmira. La spia della riserva della nostra auto si accende. È ora di fare benzina. No, in Siria non si va alla Esso o alla Tamoil, ci si ferma ai bordi della strada alla prima bancarella e si contratta per un paio di taniche di contrabbando. La scena può sembrare surreale, ma è la realtà del 2023 siriano.

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La strada verso Palmira non è tra le più sicure della Siria. Sebbene la zona sia sotto il controllo delle forze governative, nel deserto persistono sacche di terroristi e delinquenti. La strada è lunga, dritta e ritmata da continui checkpoints. Ai lati, cimiteri di carrarmati si alternano a basi logistiche militari. Poco prima di arrivare a Palmira ci imbattiamo anche in un campo di Hezbollah. Ci fermano, ci controllano, ci offrono del tè e ci spiegano dove andare. Ovviamente si tratta di installazioni gestite in collaborazione con il governo, quindi siamo tranquilli e sicuri. A me comunque sembra tutto surreale, quasi assurdo.

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Ci avviciniamo a Palmira, mi colpisce vedere i pick up Toyota dell’ISIS che hanno ancora le mitragliette attaccate sopra. Molti sono stati distrutti, molti altri continuano ad essere usati.

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La cittadina di Tadmor che custodice le rovine di Palmira è un ammasso di case pericolanti, macerie, distruzione. C’è gente ma poca che si sta riappropriando di quello che gli è stato strappato con la violenza. Gli sguardi di questa gente non mi mettono tranquillità, molti ragazzi che ora sono buttati per strada a non fare nulla forse qualche anno fa combattevano come miliziani. La sicurezza però è garantita. L’esercito è ovunque e ci controlla. Purtroppo, non ho tante foto, l’atmosfera tesa non ha permesso di filmare o scattare tanto.

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A Palmira c’era anche un museo, il direttore, giustiziato dai terroristi ha cercato di difenderlo fino alla fine ma purtroppo oggi è in condizioni pietose. Un patrimonio perso.

Questo è quello che troviamo

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Non credo di dove aggiungere tanto. Vi metto solo questa foto, qualcuno si ricorderà di questo scempio. Io ci sono stato male.

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Il sito di Palmira si apre davanti ai nostri occhi c’è poco da aggiungere alle foto. La bellezza è struggente, la sua maestosità infinita. Anche qui, i danni sono notevoli.

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Un esempio su tutti il tempio di Bel. Come era prima…

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Quello che resta ora…

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Passiamo un bel po’ di tempo a girare a piedi, il sito è grande e per vederlo tutto ci vorrebbe un giorno intero. Il momento più toccante è la visita dell’anfiteatro, diventato tristemente famoso per essere stato luogo dell’esecuzione di molti civili, anche questo parzialmente distrutto dalla furia dei terroristi.

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Andiamo via impressionati per tutto. Faccio anche fatica a descrivere il misto di sensazioni forti provate. Ci rimettiamo in auto e ci avviamo verso la città, Anche qui, come al Krak dei Cavalieri, la quantità di alberghi e ristoranti abbandonati è scioccante. C’è un signore che sembra preparare un barbecue. Ci fermiamo. Per pochi dollari ci prepara il nostro pranzo.

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A pochi passi riusciamo anche a bere un caffè

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Finiamo il nostro spuntino e sperando di non doverci fermare subito alla ricerca di un bagno nel deserto, ci infiliamo in macchina alla volta di Damasco. Il viaggio sarà lungo e la strada monotona. Nel silenzio, con il sole che cala e la stanchezza che sale, ci avviamo lentamente verso l’ultima serata siriana.

Arriviamo a Damasco che è buio. Ci laviamo e sistemiamo alla meglio. Per l’ultima sera abbiamo prenotato il migliore ristorante della città. Dopo aver visto l’estrema povertà, ritorniamo nell’opulenza di quei pochi fortunati che con la guerra si sono addirittura arricchiti. Nasuh stasera ha preferito ritornare dalla moglie, noi siamo soli. Prendiamo un paio di piatti a testa ma quando iniziano a servirci, ci rendiamo conto di aver esagerato.

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Il tutto accompagnato da musica dal vivo e da uno spettacolo di dervishi. Ancora una volta, contrasti surreali. Poche ore fa eravamo nel deserto dei disperati, ora siamo nell’elitè siriana con Rolex, tacchi alti, borse firmate e portafogli gonfi, molto gonfi.

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Concludiamo la cena con una abbuffata di calorie e zuccheri

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Paghiamo, ovviamente in contanti. 428000 lire siriane. All’epoca del pagamento, un anno fa, 80 USD, ora mentre scrivo 32 USD. L’inflazione, quella seria.

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Andiamo via, facciamo un giro nel centro di Damasco e poi rientriamo in hotel. Giornata lunga, intensa ed emozionante. Domani è la volta di Damasco e finalmente l’ultima tappa di questo racconto.
 
Mi domandavo appunto del Krak dei cavalieri, di cui avevo letto in un libro da bambino e che tanto mi aveva appassionato, e di Palmira.

Da un lato mi fa piacere che del Krak è rimasto qualcosa, e per Palmira provo solo una rabbia incredibile. Soprattutto per quei mentecatti di cui hai postato un fermo immagine, e per chi li ha convinti che l'Islam voglia dire quello che hanno messo in piedi in Siria e Iraq.
 
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