[TR] Un’estate al Mare.


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Questo è il pasto che mi hanno servito in economy tra atyrau e Astana nel 2014...


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Buonasera a tutti,

chiedo scusa per il ritardo ma, per la gioia di I-POV, sono di nuovo in vacanza. A mia discolpa va il fatto che in Kazakhstan sono rimasto 5 giorni e 3 erano weekend + festa comandata, ma tanto so che nessuno mi crederà. Comunque, riprendo il filo da dove ero rimasto.

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Aralsk non è Angera, nel senso che non basta arrivarci, prendere un gelato e fare una passeggiata per arrivare al lago. Occorre una guida, una macchina, possibilmente una 4x4. E io, grazie ad Al Jazeera, ho tutto questo.

Intendiamoci, non è che sono riuscito a scucire soldi dai qatarioti, benaltro. Semplicemente, non troppo tempo fa Al Jazeera aveva pubblicato questo articolo in cui compariva, in foto, tale Serik Dyussenbayev, l’unica guida disponibile ad Aralsk. Siccome siamo nel mondo dei social, scovo Serik su FB e siamo a cavallo. Anzi, come vedremo, a cammello.

Serik viene a raccattarmi davanti all’Altair, dove non solo mi è stato concesso un early check-in, ma ho anche ricevuto una salubre colazione a base di uova, tè e fette fritte di quelle salsicce che si trovano in tutti i supermercati dell’Unione, quelle che hanno una lista di ingredienti con la E- lunga mezza pagina. Come dicono i giovani, l’Hilton può accompagnare solo.

L’idea di Serik è di portarmi a vedere l’unica buona notizia della zona, cioè il North Aral Sea. Grazie agli sforzi del governo kazako e della Banca Mondiale, infatti, il North Aral Sea ha recuperato il 70% del suo volume, crescendo di 6 metri di profondità media e ritornando ad ospitare pesci e altre forme di vita, un recupero sorprendente. Il successo è dovuto alla creazione di una diga, che ha eliminato il deflusso verso il sud, a una miglior gestione del flusso delle acque del Syr Darya e, fondamentalmente, a una politica di abbandono del cotone per altri prodotti che consumano meno acqua (ortaggi, grano). L’Uzbekistan, invece, ha sostanzialmente lasciato il mar d’Aral a sé stesso, e continua a coltivare cotone.

Ma tutto questo è in divenire. Usciamo dalla città, cosa che richiede un minuto, e c’infiliamo nella steppa. Le differenze col Pamir sono ovvie, non solo dal punto di vista geografico, ma anche e soprattutto dal punto di vista socio-economico. Le strade sono lisce, e trafficate. I villaggi saranno pur sperduti, ma sono ben tenuti e con case nuove, con doppi vetri, energia elettrica e acqua corrente. Il ritorno del lago, dice Serik, ha portato nuova prosperità: tra il pesce, i cavalli e i cammelli ce n’è a sufficienza per avere due auto e mandare i figli a scuola.

Parlando di cammelli… sono ovunque.


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Lasciamo la via principale – che, mi dice Serik, è parte della nuova ‘Via della Seta’, il network di strade e ferrovie che la Cina sta costruendo per collegarsi all’Europa – e iniziamo ad andare offroad. Costeggiamo qualche cimitero, che da queste parti sembrano più piccole cittadelle che non camposanti, e scendiamo impercettibilmente. Il terreno è piattissimo, uno dei problemi principali del lago, che anche da pieno era abbastanza poco profondo (al massimo una settantina di metri).


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Ed eccolo. Dietro a un piccolo declivio, in cima al quale sta un altro cimitero… ecco il Mar d’Aral. Non so se potete capire, ma è un momento che aspettavo da vent’anni almeno.


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Ci fermiamo di fianco a una sorgente d’acqua calda, che fino agli anni ’70 si trovava sott’acqua, e ora è a qualche decina di metri dalla spiaggia. Al momento la diga del North Aral Sea non permette di aumentare il livello del mare di più, ma quando sarà approvata la seconda fase del progetto della Banca Mondiale, la diga sarà alzata a sufficienza per riportare l’acqua ai suoi livelli originari, e la piccola spa creata da questa sorgente tornerà sott’acqua. Alla gente, però, non sembra importare molto.

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Serik mi porta ad Aqespe, probabilmente il posto meno felice nella storia di successo che è il North Aral Sea. Aqespe è un villaggio di pescatori ed allevatori che ha una sola sfortuna: quella di essere in un punto specifico del Mar d’Aral in cui vanno a convergere i venti che spazzano l’ex fondale.

Tradotto in italiano semplice, il paese sta venendo divorato dalla sabbia.

Incontriamo le dune lungo la spiaggia. Non sono spettacolari, ma sono comunque massicce, e non si possono fermare. Serik dice che, ogni anno, la gente usava bulldozer per spostare la sabbia, ma non serviva a nulla. Alla fine, un nuovo paese è stato costruito, più in là e lontano dalle dune, ma alcuni ancora resistono ad Aqespe vecchia.


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C’impantaniamo – si può dire? – nella sabbia, e Serik deve infilare le ridotte per superare il declivio. Ci fermiamo in cima alla discesa che conduce al villaggio, e scendo.

Fa un caldo tremendo, ed è una scena surreale. Aqespe è un villaggio come decine, centinaia, migliaia di altri tra Ucraina e Siberia, con le case col tetto grigio disposte lungo una linea, la via principale se non unica. Le case sono monofamiliari, quelle che nei libri sulla ritirata dalla Russia chiamano izba, coll’orto, l’albero sul retro, le api.

Se non fosse che qui non ci sono orti, alberi sul retro, o api. Qui c’è solo sabbia. Sabbia copre la via principale, sabbia copre i giardini, dune si stanno mangiando le case. Aqespe è l’unico villaggio che conosco in cui per entrare in casa bisogna andare in discesa.

Cammino lungo la via, e mi sento un vero e proprio intruso, partecipante non invitato ad un funerale, quello di una cittadina. Il peggio è che il paese non è deserto.

C’è un tizio appollaiato in cima ad una duna. Un uomo bada ad alcuni cavalli, in fondo alla via, e un altro esce dalla prima casa del paese con un secchio, e va verso quello sulla duna. Tutti mi guardano, e io guardo loro. M’immagino che si chiedano che voglio, cosa sono venuto a vedere nel loro villaggio, e io m’immagino come dev’essere vivere qui, vedere il lago sparire e la sabbia arrivare e prendersi tutto.


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Un gruppo di cammelli mi fissa solennemente dal loro recinto. Intorno sento bambini gridare, ed eccoli li. Un gruppetto, probabilmente fratelli, gioca intorno ai cammelli. Mi domando come debba sembrare, crescere qui, e lascio perdere. Torno alla macchina e, colpo finale, Serik sta ascoltando ”Despacito”. Ovunque sia andato in Asia Centrale devo dire che i gusti musicali fanno abbastanza cagare.

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Proseguiamo, e torniamo vicino all’acqua. Qui è verde, pieno di uccelli, di vita. Ci sono anatre in cielo, che volano in formazione a V; piccoli passerotti zompettano sul lago, e altre decine di volatili saltano, navigano, pigolano e in genere fanno casino. Cinque anni fa, tutto questo non c’era. Una visione stupenda.


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Serik mi fa: ”Ti porto a veder le navi”, cosa che per me è una sorpresa. Avevo letto in giro che tutte le navi rimaste spiaggiate in Kazakhstan, sostanzialmente quelle di Zhalanash, erano state demolite e vendute ai cinesi, per cui non me ne aspettavo… e, sinceramente, non mi spiaceva. Sono qui per vedere il mare, non barche spiaggiate nel deserto.

...continua!
 
Mi piace come racconti, bello davvero. Complimenti

Grazie mille!

Gran bel racconto, è un piacere leggerti. Mi sono riletto la storia del lago d'Aral. Ma il prossimo TR ce lo fai da Chernobyl, vero?

Mi è stato espressamente proibito di andare a Chernobyl, unico divieto datomi finora dalla consorte, per cui temo che dovrà farlo qualcun altro... Propongo Dancrane.

Azz. Fabri. Ma sei sempre in ferie?

:D 26gg da contratto!

Impressionante. Non c'è modo di invertire la tendenza? È ancora così rigoglioso il business del cotone?

A quanto ne ho letto, il cotone viene per lo più esportato e con la crescita di stracciv... ehm compagnie tipo H&M e Zara la richiesta è in aumento. Quindi si tratta di valuta "estera". Il Kazakhstan sta intelligentemente puntando su altro che richiede meno acqua, sia per consumi interni che per export, ma...

Ho letto una statistica impressionante. Prima del 1960 circa 55 km cubi entravano nel lago ogni anno. Ora come ora sono tra i 5 e i 10, interamente dal Syr Darya nel North Aral Sea; se si volesse ritornare a riempire il lago, si dovrebbe ritornare a riversare 55km cubi ogni anno per sessant'anni.

Che spettacolo!!!! :p
Complimenti, e grazie! :D

Prego!

Venerdì scorso, nella parte finale della mostra Their Mortal Remains (che consiglio fortemente a tutti gli appassionati di Pink Floyd!) ho rivisto il video di Louder Than Words. Guardando le immagini dei bambini che giocavano in mezzo alle barche arruginite ho pensato: wishlist dei viaggi da aggiornare... :p :p

Non vedo l'ora di continuare a leggere il tuo racconto!
:) :D :) :D

Beh, se vai e vedi Serik lui ti può portare dove ci sono ancora barche sul lato kazako, anche se per me la cosa più bella è stata, sinceramente, il lago in sé.

Ed io che pensavo fossi andato a prendere il sole in un resort all inclusive in qualche località frequentata dai tuoi conterranei :D

Formentera? Non mi vogliono più :(
Ma che palazzo è per avere quella scritta? :super::super::super: [/quote

Esci la traduzione. Era la piazza principale di Kyzylorda...

Overseas ;) (sono un rompiscatole, lo so :D)

Loro han detto Lukoil... che ne saccio io.

TR stupendo! Grazie per la condivisione..sono sempre stato affascinato dai paesaggi dell´ex URSS e dalla vita in quei posti!

Danke schön!

Bel TR... posti spettacolari!

grazie!

... e anche bello rivedere il T4 di LHR ! ;)

Masochista!

Spettacolo! Il lago d'Aral mi ha sempre affascinato sin da bambino: negli atlanti che amavo sfogliare veniva raffigurato nella sua conformazione originaria, che mi ricordava un teschio a rovescio. Triste presagio, visto il destino di questo specchio d'acqua.

Per quanto riguarda i voli, il livello del servizio di bordo di Air Astana mi ha veramente sorpreso.

Siamo in due, allora! Air Astana merita, tanto, tantissimo.

Interessante e mai banale, grazie per averlo condiviso!
Che poi, quando leggo un TR sull'ex URSS mi viene inevitabilmente voglia di andarci...peccato che sia l'unica donna al mondo che ha questo desiderio e nessuna delle mie amiche condivida!

Ciao Aletheia, grazie per leggere. Sinceramente, se non trovi nessuno con cui andare, vai da sola. Nel Pamir abbiamo conosciuto una ragazza che ha fatto la Pamir Highway da sola in bici, e un'altra che - a 18 anni - ha fatto tutta l'Asia centrale tolto il Turkmenistan, e il Caucaso - con tanto dell'epico traghetto trans-Caspio tra Baku e Aktau - da sola. Fallo.

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Questo è il pasto che mi hanno servito in economy tra atyrau e Astana nel 2014...
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Ecco, tolti gli M&Ms è rimasto cosí. sul nazionale avevano solo panini, ma più che sufficiente.

Spettacolo F. sempre un piacere leggere i tuoi TR. Curiosissimo del resto.

Grazie G!

Splendido come sempre, grazie!
P.S. La Efes da 500 da sola merita un volo con Air Astana.

E avevano pure la birra kazaka.
 
@13900

Siamo in tre. L'idea delle navi nella sabbia mi ha sempre afffascinato. Siccome ho un po' piu' anni di te e venexiano, ricordo i primi articoli che parlavano della 'riduzione' del 'Lago d'Aral' (nell'atlante italiano che avevo da bambino Aral era un lago, il Caspio e Azov erano mari. Mai capito perche'). Non ci sono ancora andato perche' alla mia tenera eta' voglio viaggiare comodo.
 
Non ci sono più le mezze stagioni: 13900 che viaggia in treno in prima classe proprio non si può vedere.

Domanda: come hai fatto a capire quando dovevi scendere?
Io anni fa in situazione analoga non dormii quasi nel terrore di saltare la fermata, pur avendo dialogato a gesti con il capotreno, che mi verrà a bussare 15 minuti prima dell'arrivo.
Ad ogni stazione stesse scene che descrivi lucidamente tu, con le più improbabili persone che armeggiano in ogni maniera per sbrigare i propri affari nell'ecosistema che ruota attorno ad un treno.

Gran bella storia quella del Mar d’Aral. Di quelle che vanno raccontate. Che andrebbero fatte studiare nelle scuole. Che andrebbero discusse per riflettere sugli errori che la specie umana non deve ripetere.

Gran bel TR!
 
@13900

Siamo in tre. L'idea delle navi nella sabbia mi ha sempre afffascinato. Siccome ho un po' piu' anni di te e venexiano, ricordo i primi articoli che parlavano della 'riduzione' del 'Lago d'Aral' (nell'atlante italiano che avevo da bambino Aral era un lago, il Caspio e Azov erano mari. Mai capito perche'). Non ci sono ancora andato perche' alla mia tenera eta' voglio viaggiare comodo.

Credo sia mare perché é salato!

Bellissimo

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Grazie :)

Non ci sono più le mezze stagioni: 13900 che viaggia in treno in prima classe proprio non si può vedere.

Non ti preoccupare, il servizio normale verrà ripristinato quanto prima...

Domanda: come hai fatto a capire quando dovevi scendere?
Io anni fa in situazione analoga non dormii quasi nel terrore di saltare la fermata, pur avendo dialogato a gesti con il capotreno, che mi verrà a bussare 15 minuti prima dell'arrivo.
Ad ogni stazione stesse scene che descrivi lucidamente tu, con le più improbabili persone che armeggiano in ogni maniera per sbrigare i propri affari nell'ecosistema che ruota attorno ad un treno.

Sui treni kazaki sono efficienti all'inverosimile; ogni carrozza ha un attendente che viene a svegliarti con un certo anticipo, in modo più o meno brusco.

Gran bella storia quella del Mar d’Aral. Di quelle che vanno raccontate. Che andrebbero fatte studiare nelle scuole. Che andrebbero discusse per riflettere sugli errori che la specie umana non deve ripetere.

Gran bel TR!

Amen. E grazie!
 
Racconto, foto, posti, esperienze... Sempre un piacere leggere i tuoi TR - grazie per l'appassionata condivisione.

C’è tutto un ecosistema di viaggiatori, guardiani, poliziotti, soldati, attendenti alle carrozze, bagarini, donnine che vendono cibo

Questa mi ha fatto particolarmente sorridere, ricordandomi un po' le [svariate] passate esperienze sui treni notturni qui in Polonia, le 10-più ore tra Wałbrzych e Varsavia tra procacciatori d'affari (vodka/birra a prezzi diciamo abbordabili ma di provenienza sconosciuta), denso fumo di sigaretta dai bagni e la sicurezza (le casacche giallo fosforescente della Straż Ochrony Kolei) a supervisione del tutto ?

Again, many thanks.

G
 
Eravamo rimasti alle navi. Io ero convinto, o almeno così giuravano e spergiuravano nei vari fora tipo Caravanistan, che non ci fossero più navi.

Invece, ecco la prima.

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Serik mi lascia farci un giro intorno, e l’occasione è ghiotta anche per andare sulla spiaggia, a vedere il lago in sé. E’ la fine della stagione secca, per cui la riva è scesa di qualche centimetro, lasciando una zona di fango incrostato di sale in cui, sostanzialmente, sprofondo. Tutt’intorno a me zampettano e pigolano decine di uccellini, che scappano in acqua al mio arrivo e continuano a lamentarsi finché non vado via. L’acqua è fredda al tocco.

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La mia esperienza nautica, anzi la mia esperienza di pescherecci, si limita a qualche puntata di Deadliest Catch su Discovery Channel, oppure l’immortale film con Clooney, La Tempesta Perfetta. Dall’alto di questo pinnacolo di conoscenza mi rendo conto che questa nave, o barca, o quel che è, non sembra proprio un peschereccio. Quelli sono alti e tozzi, questa è bassa e lunga. Lo dicevo che conveniva farmi studiare.

Mosso da questa convinzione, torno da Serik e declamo che, per me, quella lì non è una barca da pesca. ”Infatti” mi dice sornione l’uomo, ”Era una petroliera, riforniva di benzina e diesel Vozrozhdeniya”.

Voz, come diceva il buon Casa poc’anzi, era un’isoletta dove il governo sovietico creò una città, Kantubek, altrimenti conosciuta come Aralsk-7, dedicata alla sperimentazione e produzione di agenti patogeni per la guerra chimico-batteriologica. Insomma, un bel posticino. Negli anni tonnellate di peste, antrace, botulino, encefalite equina, vaiolo e brucellosi vennero sintetizzate e adattate ad usi bellici.

L’isola era stata scelta in virtù della sua lontananza da centri abitati ma, in un classico caso di “mano sinistra che non sa quello che fa la destra”, ecco che la deviazione delle acque dei fiumi fa sì che Vozrozhdeniya diventi sempre più grande, fino a connettersi con la terra ferma nei tardi anni ’80.

La penisola, o quello che è ora che l’Eastern Great Lake è sostanzialmente sparito, è ancora off-limits e l’accesso è proibito. Se contenga qualcosa non è dato sapere: una bonifica organizzata e gestita dagli Stati Uniti ha distrutto tonnellate di antrace, lasciate lì dai russi una volta evacuata l’intera baracca nel 1991, ma una troupe francese non troppo tempo fa aveva trovato laboratori abbandonati, distese di capsule di Petri e un sacco di apparecchiature.

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Abbandoniamo la petroliera ai suoi ricordi, e proseguiamo lungo la costa. Lo ripeto, una visione epica è quella della vita selvatica, meravigliosa. Poi, però, arriviamo a questo peschereccio.

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Cammino verso il relitto, calpestando fango e sale secchi, finché non sento un “crack” abbastanza forte. Sposto i piedi e mi rendo conto che ho appena schiacciato un cumulo di conchiglie. Mi guardo intorno, e ovunque, lungo la spiaggia, ci sono cumuli di conchiglie, a mucchi alti venti centimetri, fin dove l’occhio riesce a vedere. Se c’è bisogno di capire gli effetti del disastro di Aral, questo è un modo veramente efficace.

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Ritorno alla macchina, e dopo poco ecco un’altra barca.

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Lasciata quest’ultima, passiamo attraverso il paese di Zhalanash, quello dove una volta c’era un cimitero di navi, e ritorniamo attraverso la steppa verso Aralsk.

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Questa è un’immagine che vi propongo anche se, immagino, non vi dirà nulla. A sinistra si vede una piccola macchia grigia, che è Aralsk. A destra, le estreme propaggini del mare. Anche solo dieci anni fa, la sponda dell’acqua sarebbe stata a 75 km da Aralsk; ora è a venti, e quando la diga sarà alzata di sei metri, arriverà ad Aralsk vera e propria.

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Continua! Una città da Sergio Leone, dodici ore in terza classe, Aktobe e il ritorno.
 
Racconto, foto, posti, esperienze... Sempre un piacere leggere i tuoi TR - grazie per l'appassionata condivisione.



Questa mi ha fatto particolarmente sorridere, ricordandomi un po' le [svariate] passate esperienze sui treni notturni qui in Polonia, le 10-più ore tra Wałbrzych e Varsavia tra procacciatori d'affari (vodka/birra a prezzi diciamo abbordabili ma di provenienza sconosciuta), denso fumo di sigaretta dai bagni e la sicurezza (le casacche giallo fosforescente della Straż Ochrony Kolei) a supervisione del tutto

Again, many thanks.

G

Ciao G! Ecco, l'alcol - invece - brillava per la sua assenza in Kazakhstan, o almeno sui treni. E grazie per leggere.
 
Viaggio, foto e racconto fantastiche. Anche questo e' degno di DanielW (a parte la mancanza dei racconti dei percorsi di jogging la mattina quando ti alzi! :) )

E hai fatto tutto allungando di un po' August Bank Holiday weekend (intraducibile in Italiano). Alla faccia di quelli che sono andati a Ibiza o Agia Napa! Chapeau!
 
Serik mi scarica in città, consiglia un paio di ristoranti ”Quelli più puliti”[/i} (cucina non pervenuta) e sono di nuovo da solo. Intorno a me sembra la cittadina di un film di Sergio Leone, col vecchio che prepara le casse. Di nuovo fa un caldo incredibile, e sto iniziando a sentire la mancanza di sonno.

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M’infilo in un parchetto, dove rimangono alcune barche, conservate a mo’ di monumento, e da cui si ha una vista abbastanza buona dell’area del porto. Serik mi diceva che il porto in sé è stato chiuso con barriere di cemento dopo che qualche turista ha pensato bene di cadere dalle gru. Sempre così.

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Comunque, l’immagine sbalorditiva è questa. Mai visto un porto in secca, mai e poi mai. Questo è grosso, all’incirca, come il Porto vecchio di Genova.

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Torno in strada, e vado al primo ristorante consigliatomi. Di nuovo, scena da western. Apro la porta, in rigoroso metallo, e tutti gli avventori – tutti e sette – si girano a guardarmi e rimangono a fissarmi mentre ordino, mangio, bevo, pago, rutto e me ne vado.

Fatto ciò, esco e completo il giro della cittadina, sicuro di trovarmi in mezzo a un mexican standoff a ogni momento. Qui son tutti duri, e devono per forza esserlo, immagino.

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Ritorno in stazione, che è anche l’unico posto ventilato che mi riesce di trovare, e mi siedo a buttare giù un po’ di note per il mio bloggino; nel frattempo passano due uomini e una vacca, e fotografo il famoso mosaico di Lenin, con l’aiuto di un inserviente che mi suggerisce dove piazzarmi per beccarlo tutto.

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Fuori, torpedone dalla Francia (a quanto pare in Kazakhstan occidentale hanno una fissa per i bus usati transalpini, ho visto un paio di corriere con ancora i loghi della società di trasporti regionali dell’Aisne).

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La sera scende veloce, mangio all’altro locale consigliatomi, evidentemente punto di ritrovo dei pregiudicati locali, e poi torno all’Altair davanti al quale i ragazzini del posto stanno facendo festaccia, sotto forma di una Lada con sound system che manco a Croydon e la peggio hardbass. Alle 4 di notte, quando esco per prendere il treno, saranno ancora lì.
 
In stazione aspetto nuovamente il treno 33, stavolta per andare ad Aktobe. Rassicuro Flyboy: sono di nuovo in terza, dove è logico che io stia e, sinceramente, tutta ‘sta differenza tra prima e terza non l’ho vista; solo ci sono 6 letti invece che due.

Comunque sia, ho messo via le Salomon e sono in ciabatte, dato che ciabatte-brache-canotta è il dress code del treno. La stazione ha due binari con piattaforma, e una sfilza di altri binari per smistamento e affari vari. Passano due merci e altre cose e, alla fine, ecco che sento l’altoparlante dire una sfilza di parole tra cui “Aktobe”. Bene, ci siamo.

Arriva il treno, ululante nella notte, e… si ferma al quarto binario. Per capirci: binario 1 e 2 hanno una comoda piattaforma. Il 4° è in mezzo ai fasci di altri binari. E il treno s’è fermato lì. Tutti sciabattano nella notte, moccoli e bestemmie, per andare a trovare la carrozza giusta. Salto su e giù tra i binari finché non trovo la carrozza 15, rifilo il mio biglietto alla matrona in capo alla cabina, la quale mi fa un segno a V tipo Churchill o Arafat. Letto 2.

Bene, se non fosse che il letto è pieno. I due superiori sono pieni di mercanzie varie – ho imparato che l’excess baggage sui treni kazaki è da record – i due in mezzo ospitano una madre con bambino e un tizio, i due sotto una ragazzina e un uomo, tutti beatamente ronfanti. Ritrovo la matrona, le faccio capire il problema e lei, senza un problema al mondo, mi dà un pacco contenente asciugamano lenzuolo copricuscino e poi procede ad agguantare il piede dell’uomo in cuccetta 2 e lo scuote finché temo che non gli staccherà una gamba. Il buon uomo si alza, beve mezza bottiglia di Coca Zero, fa un rutto da tremare, saluta e scende alla stazione successiva.

Ecco la mia elegantissima cuccetta.

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Fuori, 12 ore cosí. Se devo essere sincero, il treno in terza m’è piaciuto, e l’arrivo – ancora una volta a un binario, diciamo, remoto – è più veloce di quanto non pensassi.

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Aktobe si rivela essere moderna, multietnica – il 30% è russo – e di sicuro più aspirante ad essere una mini-Astana di Kyzyl-Orda. Dopo 4 giorni di piccole cittadine, semideserto e arretratezza è bello essere in un posto un pochino più “normale”, e lo dico sapendo di sembrare il cugino cretino di Attenborough. Unico difetto, non trovo niente di quanto m’ero prefissato di trovare e dopo tre ore a camminare sotto 38C decido di mandare tutto in mona e tornare in hotel.

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Arriva lunedì, ritorno. Il volo è alle 10, ho chiesto un taxi alle 7.45. In tutte le città centroasiatiche che ho visitato mi sono premurato di controllare dov’era l’aeroporto – metti che puoi andarci a piedi – ma non ad Aktobe. Ovviamente, il taxi non c’è. Ovviamente, alla reception non c’è nessuno. Chiamo il numero delle emergenze, sento il telefono suonare al piano superiore, ma riattaccano ogni volta. Sono le 7.45, non mi va di litigare, esco. Nice Hotel, se siete ad Aktobe trovatene un altro.

Ovviamente, di taxi in giro non ce n’è. In quel momento mi ritorna in mente una visione di Almaty, e di persone che facevano cenni alle auto per farsi portare in giro. Mi sovviene pure che questi ‘taxi’ informali sono normali nell’ex URSS. Mi viene il dubbio che quelle donnine che facevano gesti alle auto, nelle nevose notti di Almaty, potessero in effetti essere bottanazze, ma il momento è critico. Inizio a gesticolare alle auto e la terza a cui faccio ciao-ciao si ferma. Dentro un donnone russo e un uomo con berretto alla Ian Brown degli Stone Roses e camicia hawaiiana. Eccolo.

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In un amen sono in aeroporto, e subito l’atmosfera rilassata dell’Aktobe International mi copre come un duvet Frette della Magnifica. Un salto in laaaaaung per una bottigliata di Borjomi:

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Ed è ora di andare airside.

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Ho un’oretta di connessione, poca roba, per cui chiedo e ottengo di piazzarmi in uscita di emergenza, che Air Astana sembra lasciare sempre libere. Il 757 ha i vecchi interni – ma come, non avevano riconfigurato tutta la flotta? – e il dubbio mi attanaglia mentre voliamo sopra la steppa. Mi sono guardato tutti i miei film e serie TV in treno, sicuro del fatto che avrei avuto l’IFE al ritorno… E se?

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Meglio non pensarci. Uno sguardo alla bisnis:

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E un altro panino caldo con birrazza da 0.5 di oscura marca kazaka, non buona come la Efes, ma comunque bevibile.

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Arriviamo, sono il terzo a scendere, mi fiondo fuori dal Terminal 1, dentro il Terminal 2, sorpasso la coda di gente al primo controllo, e all’immigrazione sono praticamente da solo. Connessione in venti minuti.

Ecco il nuovo T2 di Astana, bello ma secondo me già parecchio piccolo.

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Ed ecco il nostro ferro.

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A bordo, terremoto e tragggedia. Gli interni sono quelli vecchi. Tu quoque, Air Astana? Giorni passati a sperticarmi in lodi, a magnificarti, e ora questo?

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Ad attutire il colpo c’è il fatto che il volo è mezzo pieno, con una fila tutta per me, e ho ancora il libro di Michael Collins, Carrying the Fire, da leggere.

Push-back in orario, e partiamo da un’Astana abbastanza temporalesca. La cupola dorata è quella dei voli di Stato.

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Una volta in aria, mentre la campagna kazaka scorre lenta sotto di noi, inizia il servizio.

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Se l’aereo è un po’ un ‘letdown’, l’equipaggio è veramente meglio. Passano col primo giro di drinks, e notando il bottiglione di vodka “President”, ardisco un vodka e succo alla mela, accoppiata insegnatami da un plotone di Erasmus lituani. Attimo di panico tra le AAVV, e poi si risolve così, una dose alla Gérard Depardieu.

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Poco dopo è l’ora del rancio.

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Leggo per un bel po’, e solo l’arrivo di uno snack mi riporta alla realtà del volo. Sotto di noi scorrono le isole della Danimarca.

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Infine arriva il momento di atterrare, con un bel giro su Londra che vi propino qui.

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La City e il Barbican, brutto pure dall’alto.

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North London. Una zona della città la cui utilità mi sfugge, ma immagino abbia i suoi scopi.

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Il British Museum, Centre Point e la nuova sede di Google vicino a Seven Dials.

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Buckingham Palace e Green Park.

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Knightsbridge coi suoi musei, i suoi negozi di lusso e i suoi milionari kuwaitiani.

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Gasa Andonio Gonde qui sotto.

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Hammersmith e l’ospedale Charing Cross, che da tempo immemore il governo (ladro) vuol chiudere perché dopotutto se t’infarti a Fulham arrivare al Royal Free Hospital o al Middlesex è un attimo (sempre che ci sia un’ambulanza, o i vigili del fuoco dato che in centro a Londra han chiuso quasi tutte le centrali).

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Dal basso all’alto, Hammersmith, Shepherd’s Bush, Holland Park, Maida Vale e Notting Hill, più il centro commerciale Westfield. Il valore delle proprietà in questa zona sarà equivalente al PIL della Lombardia. Ciononostante 80 cristiani sono riusciti a morire bruciati a Greenfell, a destra di quel gruppo di 5 case popolari. Non so se si è sentito qualcosa in Italia, ma una storia del genere – e la risposta del governo – è dickensiana. Qui un breve sunto casomai vogliate rovinarvi la giornata.

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E infine, il mio “stomping ground”. Chiswick e Acton.

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That’s all bifolks! Grazie per leggere.
 
E hai fatto tutto allungando di un po' August Bank Holiday weekend (intraducibile in Italiano).
Ferragosto, tipo?

p.s. bellissimo report.
e io che me sento un eroe perché trascorro le ferie a Torvajanica... (i tempi di percorrenza della Pontina sono comunque simili.
Sempre 12/13ore ci vogliono)
 
Ferragosto, tipo?

p.s. bellissimo report.
e io che me sento un eroe perché trascorro le ferie a Torvajanica... (i tempi di percorrenza della Pontina sono comunque simili.
Sempre 12/13ore ci vogliono)

Nel Regno Unito e' festa l'ultimo Lunedi' d'Agosto. Praticamente ferragosto ma data variabile
 
Ogni volta che vedo in foto una città ex-sovietica, penso sempre: "caspita, loro sì che sanno cos'è l'austerità".

North London. Una zona della città la cui utilità mi sfugge, ma immagino abbia i suoi scopi.

Sono morto! :D

Ovviamente ho seguito il tuo racconto con bramosia, ottima scrittura! Comunque, anche a me il lago/mare d'Aral mi è rimasto molto impresso da quando lo studiai alle media (secondo me siamo della stessa generazione).
 
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