[TR] Rotta per il Vietnam e altri pezzi. Trip racconto in 6 puntate, dedicato a M.


La livrea più bella del mondo mi aspettava per andare a Danang.


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Danang, una cittadina del Vietnam centrale, a poco più di un’ora di volo da Hanoi, era solo uno scalo intermedio per visitare due siti UNESCO.
Il terminal era quello dei voli interni, separato dal più grande terminal internazionale, di cui vidi solo gli arrivi atterrando da Mosca.


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Avevo fatto il check in online e perciò andai direttamente ai controlli di sicurezza, ma venni respinto. Mi fecero capire che dovevo andare ad un apposito banco dove mi avrebbero controllato il passaporto e dove misero un timbro di approvazione della carta di imbarco stampata sull’A4. Con questo passai i controlli.
La lounge era così.


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Mancava all’interno un tabellone con le partenze, ma almeno si sentivano gli annunci della vicina sala di attesa.
Mi imbarcai e trovai poltrone in configurazione 2+2, piuttosto comode.


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Lasciammo Hanoi sulla destra e proseguimmo lungo la costa in direzione sud.


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Il volo era breve e portarono quasi di corsa una prima colazione con tartine salate e caffè. Il mio vicino di posto, bengalese, andò in crisi mistica per via del prosciutto.


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A Danang l’aereo si fermò ai margini del piazzale. Un autobus si mosse con i soli passeggeri di business.


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Appena fuori dall’aeroporto mi aspettava una macchina. La prima tappa era My Son, un sito archeologico scoperto nella foresta nel corso degli anni ’50 e insensatamente bombardato dagli americani durante la guerra.


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Il secondo sito UNESCO della giornata era la vera ragione di quella escursione: Hoi An, un bellissimo villaggio sorto lungo un canale, a poca distanza dal mare, che fu un centro di commerci abitato da comunità provenienti da diversi paesi dell’Asia.


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Sai M., ero davvero contento. Quella giornata accrebbe la mia soddisfazione per come stava procedendo il viaggio, tanto più attraente quanto più mi portava in realtà lontane e diverse.

La macchina mi riportò nel pomeriggio all’aeroporto di Danang (l’autista mi aveva aspettato per ore e immagino cosa abbia fatto in tutto quel tempo). L’aeroporto sembrava una stazione di autobus, ma vidi in avanzata costruzione un terminal nuovo.


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Area partenze internazionali


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Lounge


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La futura aerostazione


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L’aereo di ritorno ad Hanoi era un 320 (peccato: originariamente era previsto un 332), gli interni solo un pochino più vecchi di quelli trovati la mattina. Servirono le stesse tartine della colazione, con una banana formato mignon. Vista l’ora (erano ormai passate le 7) mi sarei potuto aspettare la cena, ma probabilmente il volo era troppo breve per questo servizio.

L’indomani partii per Saigon.
 
Bel TR e bel racconto, ma mi par di averlo gia detto.

Ce chi dice che Vietnam e bello, meraviglioso etc. Mi invece gho visto un Vietnam superpopolato e unto. Un Hanoi incazinatissimo e senza nienta da vedere.

A i tunel di Chu chin o come si chiamano persi l'apetito, AZ1774 i capelli, Giovanni79 la morosa e Explo la panza.

Saigon posso dir che axe un altra storia.

P>S Ndemo vanti desso.
 
Non mi piacque Saigon, troppo presa a trasformarsi, ad abbigliarsi per piacere, per sembrare una città à la page. I peccati di Saigon erano cominciati già durante la dominazione francese, quando decise di voler essere una città europea, mentre Hanoi non si preoccupava di tradire la propria natura di città asiatica. Ed oggi, terminata la responsabilità dei francesi, sono gli stessi vietnamiti che vogliono fare di Saigon l’emblema di un paese in trasformazione, ma al prezzo della rinuncia a buona parte di ciò che resta del passato. Hanoi continua invece ad essere se stessa.


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Per trovare un atmosfere diverse bisognava andare a Cholon, il quartiere cinese.



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A Saigon mi ci avevano portato gli australiani. Il volo della Jestar Pacific era partito la mattina da Hanoi. In aeroporto, la oramai consueta procedura di conferma del web check in, ai banchi curiosamente situati nell’area arrivi, al piano inferiore del terminal domestico.
Mentre aspettavo l’imbarco, ripartiva il volo per Mosca. Con il 767.


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Il 737 mi diede un’immediata impressione di vecchio e di sporco. Il volo, peraltro, fu molto tranquillo ed io dormii per gran parte del tempo.



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Bangkok fu il primo dei pezzi che il programma aveva attaccato al Vietnam, che da solo, quando avevo pensato al viaggio, mi sembrava poco. In realtà non ho molto da raccontarti per questa e le restanti parti del viaggio: sono destinazioni fin troppo note ed io stesso avevo uno spirito ed obiettivi diversi da quelli che mi avevano guidato nel corso del soggiorno in Vietnam.
A Shanghai nemmeno ho scattato foto, ma sarebbe stato come farlo nella propria città, ché tale è diventata dopo due anni di vita trascorsi laggiù: inusuale, innaturale.
Ma credo di star facendo un po’ di confusione con gli spostamenti da una città all’altra. Eravamo arrivati a Saigon, della quale ti ho detto, e dalla quale ripartii per Bangkok alcuni giorni più tardi.
L’aeroporto di Saigon non mi apparve né bello, né brutto. Mi colpì, invece, il numero di persone all’esterno dell’aeroporto e la polizia a presidio degli ingressi. Dal momento che una scena simile l’avevo vista il giorno prima a Danang, ne dedussi che in Vietnam probabilmente impediscono l’ingresso al terminal a coloro che non abbiano effettiva necessità di entrarvi.
Valevano, però, altre due considerazioni: un simile assembramento avrebbe avuto più senso agli arrivi, che non alle partenze, e comunque io entrai senza subire alcun controllo. Tuttora non mi spiego il vero motivo di quell’assembramento, che mai ho visto in alcun altro aeroporto prima di allora.


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Come sempre, le file ai banchi di Air Asia erano nutrite. Io ebbi l’oramai solito timbro di conferma del check in online ai banchi che chiudevano comunque 40 minuti prima dell’orario di partenza. Per questa ragione, è necessario non solo fare una fila, ma anche arrivare in aeroporto con un certo anticipo, vanificando una parte del vantaggio che il check in online darebbe sui tempi.
Superati i controlli, arrivai all’area commerciale, che si trovava in posizione sopraelevata rispetto ai cancelli di imbarco. Il basso soffitto di questi corridoi dava allo spazio un’idea di angustia.


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Rispetto all’ultima volta che ci avevo volato – oramai tre anni prima – Air Asia mi dava l’idea di aver migliorato il proprio servizio a bordo, se non altro stavolta assegnavano i posti. Unico fra i passeggeri, o almeno fra quelli che vedevo seduti intorno a me (ero nella fila 1), ebbi diritto ad una specie di colazione.

A Bangkok rimasi quattro giorni.


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Ultima puntata.

Per andare a Shanghai, da Bangkok, cambiai ancora compagnia, la sesta in questo viaggio: stavolta toccava a Shanghai Airlines.
Lounge di Thai e aerei spezzati dalle vetrate.


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Il 738 aveva 8 poltrone comode e larghe e spazio per le gambe di sorprendente ampiezza. Bagno pulitissimo, ma mancavano i tovaglioli o qualsiasi altra cosa per asciugarsi le mani. Deciso a riferirlo agli assistenti di volo, non ebbi il tempo nemmeno di aprire bocca: appena aprii la porta del bagno trovai una hostess ad attendermi con tovagliolini e salviette umidificate.
La cena fu servita che per me erano le 15.30, vassoio unico e ciotole di plastica avvolte nel cellophane. Riso con gamberi di aspetto e consistenza secchi, dentro cresceva una piantagione di pepe. Salmone e, forse, pollo, affumicati, con un pomodoro tagliato a forma di fiore, a ingentilire un vassoio dal contenuto non memorabile. Tiramisù, oramai scontato in Cina, che mai vide mascarpone né savoiardi.


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Il breve soggiorno a Shanghai non ebbe nulla di meriti di essere raccontato, al di fuori degli aspetti più intimi e personali, visto che qualche affetto laggiù lo avevo lasciato.
Il volo di ritorno verso l’Europa partiva in piena notte. L’orario originale era le 2.35, ma fu prima annunciata un’ora di ritardo, poi partimmo alle 4.
A quell’ora ebbi la possibilità di vedere aspetti diversi dell’aeroporto e sconosciuti di giorno: spazi vuoti, silenzio, povere addette alla lounge cercare di dormire alla meno peggio.


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A quell’ora non potevo pretendere ricchezza al buffet. Mi accontentai di qualche tramezzino e di uno spumante spagnolo piuttosto grossolano, ma che almeno, a differenza del Bordeaux pure disponibile, aveva il tappo in sughero.
Ben pochi aerei, ovviamente, a parte quelli che dormivano, ma uno notevole: il 747 di EVA Air a Pudong costituiva un piccolo avvenimento.


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Stavolta mi toccava il 767.


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C’è di buono che, con una partenza in piena notte, appena metti piede sull’aereo, cadi addormentato come una pera. O così dovrebbe essere.
Ottimisticamente, rifiutai la cena, che stava per assumere in realtà le sembianze di una prima colazione. L’aereo si mosse ed io aspettavo il decollo per poter allungare la poltrona. Lo show della deficiente cominciò.
Non mi era mai capitato prima, né spero mi capiti più, vedere qualcuno alzarsi ad aereo in movimento (nemmeno push back, proprio taxiing inoltrato), rispondere a telefono, chiudersi in bagno e parlare come se nulla fosse. Quello che mi dispiacque, però, fu soprattutto vedere che nessuno degli assistenti di volo, che pure avevano mostrato segni di nervosismo (non ti dico io) per ciò che si era notato molto chiaramente, aveva pensato di intervenire, strappare il cellulare di mano alla deficiente e lanciare i medesimi – cellulare e deficiente – fuori dall’aereo.
Se è per questo, nemmeno ci fu alcun intervento quando all’andata, in finale sul Malpensa-Mosca, una imbecille (variazione lessicale, ma identico concetto) aveva risposto ad una chiamata. Ora, posso finanche ammettere che qualcuno si dimentichi il cellulare acceso (ma già questo meriterebbe l’epiteto di imbecille o deficiente), ma se ti capita di sentirlo squillare ancora in volo, fermalo!, spegnilo!, smontalo! fai qualcosa, ma non rispondere!!
La stanchezza prese il sopravvento sulla deficiente, su una poltrona piuttosto stretta, con la seduta per me troppo profilata, e su una inclinazione abbastanza pronunciata, per cui nemmeno il trucco dei cuscini avrebbe funzionato. Non mi accorsi dei movimenti successivi, quando vennero a chiudere le tendine o quando mi portarono la bottiglia d’acqua, che era invece mancata sul volo di andata.
Mi svegliai a qualche ora dall’atterraggio a Mosca. Un pensiero mi girava per la testa e, di passaggio, altrove: sarò ancora perquisito dalla bionda cosacca?
Te lo dico subito: no, proprio per niente. Ti risparmio le foto delle gentili lanciatrici del peso in servizio al quel varco di sicurezza.
Arrivò la colazione, di impostazione russo cinese: due tartine con arrosto freddo di maiale (buono, un po’ di qualche salsa lo avrebbe tuttavia migliorato), granchio (anche questo non male, benché troppo salato), riso con gamberi e uovo strapazzato, una tartelletta di pasta frolla con frutta, panna e cioccolato, un grappolino d’uva, caffè e succo d’’arancia. Mangiai tutto, o quasi: il riso proprio non mi andava.
La deficiente non smentì se stessa e si alzò non appena liberata la pista di Sheremetevo, ancora in taxiing.

Ancora due tratte. La prima fu su un 321 diretto in brughiera.


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Il menu del pranzo era lo stesso dell’andata. Ritrovai l’insalata di salmone, finocchi e arance e scelsi poi un agnello, molto speziato, profumi d’Asia, tutt’altro che disprezzabile nel suo fondo bruno, abbinato ad un grazioso Malbec argentino, dai sentori già evoluti di confettura e di spezie (chiodi di garofano), con un buon equilibrio fra alcol, morbidezza, acidità e tannini, e una discreta lunghezza. Luigi Bosca, Malbec Finca La Linda. Bel vino.
L’ultimo balzo, da Malpensa a Napoli, ancora con Lufthansa. Qualche ora di attesa, mentre strane creature percorrevano ai bordi il piazzale.


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Ecco, è tutto. È stato un viaggio lungo e bello, con tanti aerei. Dedicato a te, M., che hai sempre avuto paura di volare, e sei volata via, in un giorno di luglio.
 
Molto bello. Tutto. UN po strambo ma bello

Quanto lungo e perche la scelta caduta su Aeroflot?

Spero non ti gha mai magha da Paolo ad Hanoi.

Bravo Planner o BGW? Son confuso che sie andai tutti in Vietnam ultimamente
 
Bel TR, sono un po' in disaccordo con te sulla belleza di Hanoi, specie quando un tassisita ti deruba di 30 usd per 15 min di tragitto.