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Un anno per dirsi addio
Prodi vuole avvicendare Cimoli la prossima primavera. In Alitalia le grandi manovre non si fermano mai.
A Palazzo Chigi hanno squadernato il dossier Alitalia. L’esecutivo lavora per l’ennesimo rilancio di quella che, in tempi di monopolio, si definiva compagnia di bandiera. I conti vanno ancora male. Nel piano industriale presentato da Giancarlo Cimoli agli investitori in occasione dell’ultima ricapitalizzazione il 2006 doveva rappresentare l’inversione di tendenza dell’azienda con il ritorno all’utile. Il primo trimestre si è chiuso invece con un peggioramento rispetto al 2005 e ad aprile i proventi si sono discostati dal budget del 6 per cento.
Con questi numeri non sono pochi all’interno del governo Prodi ad invocare il licenziamento del presidente e amministratore delegato. Uno scenario che dovrebbe concretizzarsi nella prossima primavera, alla scadenza del mandato, per non incorrere in una onerosa penale. I risultati negativi non concedono alibi, Cimoli è alla guida dell’Alitalia dal 2004 con un potere assoluto ed inedito. Al vertice della compagnia dopo le passate diarchie (Riverso-Schisano, Cempella-Sebastiani, Bonomi-Mengozzi), con un gioco di poteri, contropoteri e padrinaggi politici, da due anni c’è un solo capoazienda che accorpa le cariche di presidente e amministratore delegato, senza nemmeno un direttore generale come contraltare. A favore del ricambio del management giocano le pessime relazioni industriali. Oltre a Cgil, Cisl e Uil, che spinge apertamente per un regime change, anche i piloti dell’Anpac si mostrano per la prima volta tiepidi verso Cimoli. I comandanti rappresentano un indicatore ideale per le evoluzioni aziendali. Dopo aver intessuto un solido rapporto di collaborazione - culminato con il licenziamento del cimoliano Antonio Migliardi, ex Fs, inviso ai comandanti - i piloti si mostrano distanti dal presidente e guardano con favore all’ipotesi di un affiancamento con un direttore generale.
Per il dimissionamento di Cimoli lavora Egidio Pedrini, braccio destro del ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro. Pedrini conosce molto bene l’Alitalia, essendone stato il capo delle relazioni esterne negli anni Ottanta e componente del consiglio di amministrazione nei Novanta. Periodicamente spara sul vertice. “L’unico esubero da fare è quello di Cimoli, che con un taglio ragionieristico dei dipendenti fa soffrire tutte le strutture. Temo effetti analoghi alle Fs", l’ultima sua dichiarazione.
Se Pedrini bombarda, a ricostruire ci pensa Daniele Di Giovanni, economista legato a Prodi, nei primi anni Novanta direttore strategie della compagnia aerea. Di Giovanni sta studiando i profili dei pretendenti. L’idea è quella di tornare ad una diarchia con un presidente con deleghe sul corporate (finanza, personale, legale, acquisti, relazioni esterne) ed un amministratore delegato, con conoscenze tecniche sul trasporto aereo, a capo dell’area operativa e strategica. Per la prima poltrona i nomi che circolano sono quelli di Vito Gamberale, uscito da Autostrade, e Tommaso Pompei (ex capo dei servizi informatici Alitalia), che secondo alcune indiscrezioni sarebbe prossimo a lasciare Tiscali. Qualcuno ha fatto circolare anche il nome dell’amministratore delegato di Banca Intesa, Corrado Passera, anche a causa delle sue buone relazioni unioniste (ma alcuni osservatori notano che nel 2001 rifiutò di sostituire Cempella e non c’è ragione per cui dovrebbe dire sì adesso). Più difficile la scelta del manager in grado di far ruotare equipaggi, aeroplani e manutenzione. Per il momento De Giovanni sfoltisce la rosa. Depenna l’ipotesi di una promozione interna dell’attuale responsabile produzione Giancarlo Schisano (fratello di Roberto, ex ad di Alitalia nel ‘95), in quanto troppo legato a Cimoli con cui collabora dai tempi delle Fs.
No rentrées
Bocciate anche le ipotesi di grandes rentrées. Domenico Cempella, l’ultimo manager ad aver conseguiti utili con un business plan ambizioso (il matrimonio con Klm), avrebbe qualche titolo. Purtroppo per lui però De Giovanni non dimentica di essere stato messo alla porta proprio da Cempella. Si è parlato con insistenza di Gianni Sebastiani, già direttore generale dell’Alitalia, vicino ai Ds. I risultati ottenuti in quattro anni a Meridiana però non facilitano la scalata: ha accumulato perdite per 52 milioni di euro, optato per scelte discutibili come la sfida ad Alitalia nella Roma-Milano (deficit di 15 milioni di euro in un biennio) e rinnovato il contratto al personale navigante con un’impennata del costo del lavoro del 45 per cento. Altra candidatura debole è quella di Francesco Mengozzi, attuale condirettore generale delle Poste. I suoi tre anni alla guida di Alitalia sono stati all’insegna del profondo rosso. Dopo lo choc dell’11 settembre ha cancellato destinazioni, venduto aerei portando ad un ruolo sempre più marginale la compagnia. Le sue prove di forza sono terminate con rese ingloriose, come il tentativo di eliminare una hostess sui voli nazionali o la riduzione delle commissioni alle agenzie di viaggio mascherata da sovraprezzi fatti pagare ai clienti. Nell’organizzazione interna Mengozzi ha avuto un comportamento ondivago, istituendo divisioni poi smantellate, cambiando sette amministratori delegati nelle controllate Alitalia Team e Alitalia Airport, fino all’epilogo con la superconsulenza dei texani della TurnWorks, già manager della Continental Airlines. A causa dei suggerimenti texani (taglio di destinazioni nazionali, aumento delle tariffe) i primi mesi del 2004, con Mengozzi prima e l’incolpevole Marco Zanichelli poi, sono stati tra i peggiori della storia della compagnia. Tanto da falsare il giudizio dell’operato di Cimoli, che ha avuto buon gioco a far emergere l’anno seguente un’apparente inversione di rotta.