La mia è probabilmente un’opinione azzardata e forse anche qui e là infondata, sicuramente rozza nell’analisi che dovrebbe portarmi alla sua formulazione, ma mi sono fatto l’idea che la difesa dei posti di lavoro c’entri oramai veramente poco nell’azione dei sindacati. Corollario conseguente è che, se fallisce l’azienda, pazienza...
Cerco di proporre una chiave di lettura di una vicenda, quella di Meridiana, altrimenti difficilmente comprensibile, per poter dare una risposta alla legittima domanda “Ma perché i sindacati si ostinano a mantenere certe posizioni se l’alternativa è il fallimento?”.
Quella che secondo me è la vera posta in gioco – non solo in questa vertenza – è il ruolo stesso del sindacato. Più precisamente il mantenimento delle sue posizioni di potere.
Basti vedere quante vertenze sono state aperte non sui contenuti specifici, ma perché modifiche all’organizzazione introdotte non erano state concordate con i sindacati stessi. Le cronache sono piene di esempi di questo tipo.
Ma forse c’è di più; il potere sindacale si è trasformato nel tempo: da mero potere di interdizione (il suo ruolo forse naturale) si è via via evoluto, prima nella contrattazione, fino a degenerare nella costruzione di un vero e proprio sistema di potere economico e politico.
Quello che è uscito recentemente sui giornali sulla gestione della mensa dell’ATAC a Roma è un esempio valido.
Certo, non tutti i sindacati possono aspirare a costruire o a far parte di sistemi di potere così articolati, lo possono fare i più grandi, meno un piccolo sindacato di base. Ma la matrice non è diversa: troppe volte i sindacati lottano per il mantenimento di una fetta di potere.
E quanto più i sistemi sono rigidi, tanto più facilmente si creano spazi per esercitare forme di potere.
Sarebbe auspicabile, invece, che si passasse da una strategia di difesa del posto del lavoro ad una che avesse come obiettivo la difesa del lavoro, approcci molto diversi fra loro, perché solo il secondo presuppone flessibilità nel mercato. Ma a questo punto sappiamo perché i sindacati non seguono questa strada.
La difesa dei posti di lavoro, l’obiettivo, chiamiamolo così, “apparente”, è però solo strumentale alla difesa di altro. E in questo senso mi sento di dire che i sindacati “usano” i lavoratori per altri scopi.
Non riuscirei altrimenti a spiegarmi molte posizioni anacronistiche, in difesa di strutture rese obsolete dalla storia, ma anche dalla geografia (le nazioni industriali non sono più, da anni, quelle occidentali, e i rapporti di lavoro sono irrimediabilmente e profondamente cambiati).
Ci tengo a dire che non soffro di pregiudizi antisindacali (benché in generale non li stimi). Questo perché 1) ho rispetto per la storia e per il ruolo che i sindacati hanno svolto in passato in molte circostanze, e perché 2) ancora oggi alcuni sindacalisti restano in prima linea a difendere i più deboli, per esempio contro i “caporali”, e questo resta un merito.
Ma in un mondo dove l’innovazione e il cambiamento sono la benzina dello sviluppo, o si trova un altro ruolo, oppure si finisce con l’essere marginali.