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Da Roma a Parigi, viaggio obbligato
di Gianni Dragoni
16 Marzo 2008
Settantacinque euro a testa in media per ogni italiano, fino ai neonati. È la tassa occulta dell'Alitalia, con il suo corredo di disservizi e di perdite senza fine, per le ricapitalizzazioni fatte negli ultimi 15 anni dallo Stato, che ha versato 4,3 miliardi di euro per tenere in piedi questa fucina di debiti. L'obolo dovrebbe cessare con l'arrivo di Air France-Klm, anche se l'offerta finale di Parigi è dura da digerire. Un'offerta finora poco trasparente e decisamente meno friendly di quella preliminare del 6 dicembre, quando c'era ancora la concorrenza di Air One con Intesa Sanpaolo.
Eppure, l'offerta di Jean-Cyril Spinetta è l'unica concreta che è stata presentata per la Cenerentola dei cieli. Pochi avrebbero immaginato che la prima aviolinea mondiale per fatturato (23 miliardi di euro nell'ultimo bilancio, con 890 milioni di utile netto) si sarebbe impegnata quando, il primo dicembre 2006, il Governo Prodi ha annunciato la privatizzazione.
La proposta «italiana» di Carlo Toto, sulla quale molti si sono appassionati, si è auto-eliminata il 17 luglio 2007, quando il coraggioso imprenditore abruzzese, rimasto solo in gara, si è ritirato poche ore prima di fare l'offerta vincolante. Toto ha incolpato il ministero dell'Economia di non avergli concesso tempo sufficiente «per la sottoscrizione dei necessari accordi sindacali». Chiedeva 90 giorni, gliene davano 45.
Spinetta ha indicato in tutto 15 giorni – entro il 31 marzo o l'offerta scade – per avere tutte le risposte al suo piano, da quelle del Governo all'intesa con i sindacati, condizioni sospensive dell'offerta. Come mai allora per Toto erano pochi 45 giorni? Il ritiro va probabilmente spiegato con altre ragioni. Un'ipotesi è che non avesse la copertura finanziaria dalle banche al suo fianco, come ha poi fatto notare il ministro Tommaso Padoa-Schioppa. Un'alternativa credibile sarebbe stata Lufthansa, più gradita al "fronte del Nord" per l'interesse dichiarato su Malpensa. Ma all'alba del 6 dicembre i tedeschi hanno ripiegato: «Ci saremmo rovinati il rating». Forse avevano capito che la partita ormai era dei francesi. Pochi giorni dopo, Lufthansa ha comprato il 19% di una low cost negli Stati Uniti, Jet Blue, per 305 milioni di dollari. Una morale per i politici e altri stakeholder che da anni si curano dell'Alitalia, probabilmente più per ottenere favori o il privilegio della «Freccia alata» che non per risanarne i conti e il servizio: nessuna compagnia o investitore al mondo era tenuto a preoccuparsi dell'Alitalia. «È un miracolo», ha detto il presidente Maurizio Prato, se c'è un gruppo affidabile che ha presentato un'offerta vera.
Chi non preferirebbe avere un'aviolinea di bandiera con cervello in Italia, tanti voli intercontinentali diretti (anziché via Parigi) e un piano di assunzioni, anziché 2mila esuberi e 5mila lavoratori nel limbo di Fintecna?
Ma questa prospettiva nessuno l'ha garantita. Nessun imprenditore o banca italiani hanno messo i fondi necessari. E se non spunterà qualcuno – ipotesi improbabile – prima che Air France lanci l'Ops, allora meglio lasciare quel che resta di Alitalia nelle mani sicure di Air France, che può dare una prospettiva a 12mila posti di lavoro italiani più dei tanti appelli all'«italianità».
Con mestizia, un'altra azienda italiana va a un padrone francese, dopo Fiat Telettra (venduta ad Alcatel) e Fiat Ferroviaria (Alstom), Alenia Spazio (Alcatel, poi Thales), Bnl (Bnp Paribas).