Emirates a Malpensa e la clausola di designazione comunitaria
Scritto da Opinioni e contributi Il 16 Aprile 2013 @ 20:28 Nella sezione Analisi
di Antonio Bordoni
Secondo la Corte di giustizia dell’Unione Europea le disposizioni che limitano i benefici negli accordi di servizi aerei alle sole compagnie aeree nazionali dello Stato membro interessato sono in violazione delle norme europee (IP/02/1609). Da ciò l’UE fa discendere l’obbligo di apporre la "clausola di designazione comunitaria". Chiariamo il concetto con un esempio. Lo Stato "A" membro della Unione Europea firma un accordo con lo Stato extracomunitario "B" ; in base alle norme UE i diritti di traffico contenuti in questo accordo non possono essere limitati ai soli vettori aerei appartenenti allo Stato "A" bensì si devono estendere a tutti i vettori degli altri Paesi UE.
La richiesta sottintende il concetto che nel momento in cui uno Stato comunitario stipula un accordo lo fa in pratica anche a nome di tutti gli altri e, come è facile immaginare, la cosa ha sollevato non poche perplessità: lo stato extra-UE avrebbe di fatto dovuto accettare di aprirsi ai collegamenti delle aerolinee non di un solo Paese, ma di ogni altra nazione appartenente all’Unione. Precisa a tal proposito il Regolamento 847/2004: «le relazioni aeronautiche internazionali tra gli Stati membri e i paesi terzi sono state tradizionalmente disciplinate da accordi bilaterali sui servizi aerei conclusi dagli Stati membri con paesi terzi … a seguito delle sentenze pronunciate dalla Corte di giustizia delle Comunità europee … la Comunità ha competenza esclusiva per quanto riguarda vari aspetti di tali accordi».
A dimostrazione dell’inutilità pratica di questo regolamento - varato, paradossalmente, dalla stessa Europa che si vantava di aver "deregolamentato" l’aviazione civile - va ricordato che ad oggi risulta che una sola compagnia aerea abbia deciso di avvalersi di una tale opportunità. Si tratta, per la cronaca, della controllata British Airways "OpenSkies", che opera voli da Orly verso gli aeroporti newyorchesi di JFK e Newark, per la verità dettati più dalla necessità di decongestionare Heathrow che non da genuine esigenze di marketing.
L’argomento della clausola comunitaria si presta egregiamente a venir commentato nell’ambito della recente notizia secondo la quale l’Italia permetterà a Emirates, vettore di Dubai, di operare voli da Malpensa su New York in regime di "quinta libertà", un privilegio di non facile concessione. Quale introduzione al problema bisogna prendere atto che in questi ultimi anni il principale vettore italiano ha molto ridotto la propria rete di servizi intercontinentali. Di fronte a questo fatto indiscutibile, in teoria sarebbe logico pensare che altri vettori europei si avvalgano della clausola comunitaria per inserirsi su quelle direttrici abbandonate. Malgrado la clausola europea sia ormai in vigore da un decennio, fino a oggi ciò non è mai avvenuto.
Crediamo che il particolare meriti un approfondimento. Per quale motivo in un continente nel quale i membri UE godono di questa allettante possibilità nessuno pensa di sfruttarla a proprio vantaggio? La risposta all’intrigante questione viene dalla geografia dei collegamenti che i tre maggiori poli aeronautici europei (Francoforte, Parigi e Londra) hanno costruito nell’Europa deregolamentata. La rete di alleanze intessuta dai vettori capofila, in particolare da Lufthansa e Air France, è tale che essi non hanno affatto bisogno di aprire un Malpensa-New York. I collegamenti in pool attuati con i loro partner "controllati" (Air France/Alitalia o Lufthansa/Air Dolomiti) già portano il traffico originante dal nord Italia sui loro hub e ogni collegamento intercontinentale attuato da altri scali italiani non farebbe altro che sottrarre traffico diretto ai propri punti di smistamento (Parigi o Francoforte/Monaco).
Un tale tipo di collegamento avrebbe forse potuto essere attuato da un vettore di medie dimensioni, ma in tale ipotesi bisogna considerare che il costo per impiantare su una base straniera un collegamento intercontinentale di quinta è tanto alto da sconsigliare l’operazione. Sotto questa la luce la scarsa praticità della clausola in esame, che pure ha sollevato non pochi malumori, è più che mai evidente. A completamento va inoltre detto che nel caso degli accordi con gli Stati Uniti la clausola è stata materia di scambio per la possibilità data ai vettori a stelle e strisce di aprire collegamenti intra-europei; ma anche in questo caso non è esagerato parlare di fiasco dal momento che collegamenti di tale genere sono decisamente passati di attualità, preferendo i vettori operare su settori punto-a-punto.
Preso atto che nessun vettore UE era intenzionato ad avvalersi della clausola in oggetto per attuare voli intercontinentali su Malpensa, non rimaneva che allentare i cordoni dei bilaterali esistenti e permettere a vettori extracomunitari di avvalersene. Pur prendendo atto della decisione del nostro maggior vettore di limitare i collegamenti intercontinentali, non si può ignorare che nel momento in cui un vettore nazionale decide di impiantare i propri collegamenti intercontinentali su un solo scalo (perché ovviamente non è praticabile usarne due), bisogna anche ritenere che tenterà di incanalare il traffico proveniente da altre città sul proprio hub. Da questo punto di vista permettere a vettori extra-UE di attivare collegamenti diretti intercontinentali non può che danneggiare l’interesse del vettore nazionale. Protezionismo? Lo si può chiamare come si vuole, ma è anche per scelte come quelle da noi ricordate che per i nostri vettori è difficile riprendersi dalla crisi cui sono caduti.
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