«Alitalia, vendita o liquidazione»
Parla Padoa-Schioppa: «Non ricapitalizzeremo, esploriamo altre ipotesi»
ROMA — Nessuno, adesso, è autorizzato a pensare che il governo possa fare marcia indietro. I partiti, che sotto sotto la decisione di vendere ai privati l'Alitalia non l'hanno mai digerita, sono avvertiti. E sono avvertiti anche i sindacati, che qualche bastone, e nemmeno troppo piccolo, fra le ruote della gara l'hanno messo eccome. «Oltre la vendita, c'è soltanto la liquidazione», chiarisce Tommaso Padoa-Schioppa. «Liquidazione », una parola che pesa come un macigno, e che il ministro dell'Economia per la prima volta pronuncia pubblicamente, parlando solo ora, a gara chiusa, dopo aver osservato sull'argomento un'assoluta riservatezza. «Liquidazione», finora uno spauracchio che nessuno aveva preso seriamente in considerazione. Forse neppure chi, come l'ex ministro Roberto Maroni, aveva proclamato, non più tardi di un anno e mezzo fa: «Il governo non può e non deve dare più un centesimo all'Alitalia. Se non ha la forza per competere porti i libri in tribunale». Padoa-Schioppa sottolinea l'evidenza dei fatti: «È una società in perdita, nella quale lo Stato non può più mettere capitali », anche perché l'Unione Europea non lo consentirebbe. Ma il ministro afferma di non credere «che la notizia di ieri (il ritiro dell'AirOne dalla gara, ndr) significhi che l'opzione della vendita sia stata esplorata fino in fondo». Il Tesoro, insomma, non ha ancora gettato la spugna: «In queste ore stiamo esplorando le alternative, per capire quali altre modalità ci siano per procedere alla cessione del controllo della compagnia, dopo che quella scelta ha dato l'esito che ha dato». Cioè, è miseramente fallita. Come nessuno, a via XX settembre, si poteva aspettare. Eppure Padoa-Schioppa dice di non essersi mai pentito di aver preso la decisione di indire la gara: «Se pure fossi stato consapevole del rischio che potesse andare a finire così, l'avrei fatto lo stesso. L'Alitalia era come la nazionale di calcio, che ha 58 milioni di commissari tecnici. Ognuno aveva la sua formazione e il suo compratore preferito: chi voleva puntare sull'hub di Malpensa, chi rafforzare Fiumicino, chi venderla ai cinesi, chi agli arabi, chi ancora ad AirOne». Per questo sostiene che una gara era necessaria. «Dovevamo porre condizioni precise e trasparenti. E non escludere alcun potenziale acquirente. Il fatto è che il privato può scegliere a chi vendere, ma lo Stato, se vuole essere un buon venditore, deve seguire le procedure. In più c'erano molte condizioni da rispettare. Ecco, la gara è stata il modo per esplorare questa via». Nonostante alla fine, di compratori, ne sia rimasto soltanto uno. «E fortemente interessato», aggiunge il ministro dell'Economia. Precisando che la procedura di per sé non fissava particolari paletti né sull'occupazione, né sul prezzo e che «le uniche due condizioni poste dall'interlocutore come dirimenti, e cioè che l'eventuale giudizio negativo dell'Antitrust o il cattivo esito dei negoziati sindacali fossero causa di sospensione dell'operazione, le avevamo accettate». Ragion per cui, confessa il ministro dell'Economia, «la decisione di ieri è stata per noi una sorpresa. Ma dai contatti con gli advisor abbiamo anche dedotto che era una conclusione non maturata in modo visibile neppure dall'altra parte». Cosa è successo, allora? «Evidentemente il complesso delle caratteristiche nelle quali opera questa società ha fatto ritenere che il rischio non andava corso», ipotizza Padoa-Schioppa. Che, comunque, insiste: «Per noi sarebbe stato meglio se l'operazione fosse andata in porto. Ma in ogni caso l'opzione della vendita non ha esaurito tutte le sue possibilità. E ora abbiamo le mani completamente libere nei confronti di chiunque».
Anche, perché no, di Carlo Toto: che è sempre parso il candidato preferito di parte della maggioranza. «È vero, ho avuto anch'io questa impressione», dice il ministro. «Ma tenga presente», aggiunge, «che se una preferenza del genere ci fosse stata, il fatto che l'operazione con AirOne avrebbe prodotto un soggetto nazionale di dimensioni più robuste era argomento non di natura politica che poteva indurre un giudizio più favorevole rispetto alle altre opzioni». Come per esempio la cessione ad Aeroflot o ai fondi americani. Continua Padoa-Schioppa: «Posso capire che ognuno abbia le sue preferenze, anche se per quanto mi riguarda non ne ho mai avute. Per me una compagnia di bandiera resta tale anche se cessa di essere pubblica. In Lufthansa e Air France la partecipazione dello Stato non è certamente maggioritaria. La proprietà pubblica è soltanto strumentale, nel bene e nel male. Purtroppo per l'Alitalia, in questi vent'anni, nel male ». Per questo chi si illude che il fallimento della gara possa spianare la strada a un ritorno al passato, sbaglia di grosso. «Il punto non è se lo Stato debba o meno mantenere una quota, ma chi deve avere il controllo della compagnia. E su questo», avverte il ministro dell'Economia, «non ci possono essere ambiguità. D'altra parte, se l'Alitalia è giunta a questo punto, quando soltanto vent'anni fa poteva fare una fusione alla pari con British airways, è perché noi Paese, noi governo, abbiamo gestito molto male il ruolo di proprietario, il ruolo di politico, il ruolo di titolare delle infrastrutture. Di proprietario, perché abbiamo scelto ogni volta di uscire dalle difficoltà cambiando il management. Di politico, per aver fatto regolarmente da sponda al sindacato sulle spalle dell'azienda. Di titolare delle infrastrutture, per non aver gestito il sistema degli aeroporti in modo friendly rispetto alla compagnia di bandiera, come invece hanno fatto i nostri concorrenti esteri». Se un merito rivendica di avere, Padoa-Schioppa, è quello di aver «posto fine a questa cosa, confermando Giancarlo Cimoli». Una decisione, a quanto pare, niente affatto facile. «Se lei sapesse quante pressioni ho avuto per sostituire Cimoli, anche dall'interno del governo.... Ma se lo avessi fatto avremmo percorso un altro girone infernale e chissà quando ci saremmo fermati. E adesso non saremmo arrivati alla cessione della società».
Anche se la fermata è stata piuttosto brusca. «Abbiamo affrontato una situazione che ha mostrato di essere molto più critica di quello che immaginavamo. E la procedura di vendita ha semmai rivelato, e non certo creato, questa criticità. Rendere l'Alitalia attraente per un investitore sembra più difficile di quanto pensassimo», ammette il ministro dell'Economia. Senza tuttavia mostrarsi particolarmente abbattuto dall'esito della gara: «Un Paese di 58 milioni di abitanti con la nostra conformazione geografica e una tale quantità di aeroporti è il paradiso di una compagnia di bandiera». Ottimismo di circostanza? A chi gli chiedesse se fra dieci anni l'Italia avrà ancora la sua compagnia di bandiera, lui risponderebbe: «Certamente ». Ma il problema è vedere come ci si arriverà a quel giorno. E per ora la nebbia è tornata a essere impenetrabile.
Sergio Rizzo - CdS