Mercoledì 03 marzo 2010
Cagliari, 25 febbraio, partenza per Roma Ciampino con il volo Ryanair (FR 4801) delle 21.10. Solita routine, solite regole: check in fatto preventivamente on-line (altrimenti non si sale a bordo), documento alla mano che deve coincidere con quello dichiarato sul foglio d'imbarco, un solo bagaglio. Soliti anche gli scenari che i viaggiatori più cinici e smaliziati, un po' sadicamente (diciamocelo), amano immaginarsi. Quelli che tentano invano di comprimere il contenuto della propria valigia per farci entrare quel che non possono portare con sé. Quelli che, ignari dei tranelli del low cost più gettonato d'Europa, si lamentano del supplemento che hanno dovuto pagare e intanto s'inalberano, meschini: non voleranno più con la compagnia irlandese, dicono, epperò sono lì. Quelli che, come me, pensano ormai di essere inattaccabili su tutti i fronti: Ryanair non mi fregherà mai.
E invece. Al gate d'imbarco la prima, sgradita sorpresa: il volo ha un ritardo di quasi tre ore. Partenza prevista: ore 23.55. Pazienza. Con quattro chiacchiere e un po' di lavoro da smaltire il tempo passerà. Alle 23 circa, casualmente, intercetto un breve dialogo fra un passeggero, anche lui in partenza per la capitale, e il caposcalo (dichiarerà lui stesso di farne mansioni): la mia destinazione potrebbe essere l'aeroporto di Fiumicino anziché Ciampino. Stavolta, a inalberarmi, sono io: chiedo spiegazioni, domando perché la notizia non venga diffusa alle decine di passeggeri in attesa, minaccio di denunciare l'accaduto il giorno dopo, chiedo di parlare con il caposcalo o un responsabile. Il caposcalo è lui, gentile ma fermo: non si può sapere se sbarcheremo a Fiumicino o a Ciampino. Bisogna pazientare. Mi aspetto almeno un annuncio ufficiale: niente, nemmeno quello.
Il tempo, intanto, passa. Quasi allo scoccare della mezzanotte chiedo ancora al caposcalo se ci sono novità: una persona mi attende a Ciampino, vorrei almeno poterle dire che arriverò invece a Fiumicino (soluzione probabilissima, data l'ora tarda). Niente. Fiumicino o Ciampino? Non si sa. Il caposcalo mi dice che si sta attendendo un'eventuale (fantomatica?) autorizzazione per un'estensione dell'orario di chiusura del piccolo aeroporto dell'urbe; sono quasi sicuro, da uomo di mondo aeroportuale - il Clooney protagonista di Sulle nuvole , bel film di Jason Reitman, mi fa un baffo; salgo ormai sugli aerei come fossero autobus: peccato non sia prevista una comoda tessera - che una concessione del genere difficilmente ci sarà. La conferma giunge qualche minuto dopo: sembra che a Ciampino compaia già l'avviso di dirottamento a Fiumicino del nostro aereo. Non mi rimane che mettermi in fila e attendere. Chiederò al personale della compagnia. Intanto il display sul gate d'imbarco segna la mezzanotte come ora di partenza; peccato che si sia già fatta mezzanotte e un quarto. È il mio turno. Chiedo, amleticamente: Ciampino o Fiumicino? Per l'ennesima volta: non si sa. Ce lo dirà (forse) il comandante.
Sull'aereo. È quasi mezzanotte e mezza, fra qualche minuto partiremo. Chiedo al capocabina, stavolta con un tono alterato, dove mai scenderemo; è mio diritto, e degli altri passeggeri, saperlo. Mi risponde, infastidito, che sto parlando a titolo personale (dietro di me, sentita la risposta, molti bofonchiano); saprete dove scenderete quando sarete scesi, la gentile aggiunta. Stavolta mi accendo: pretendo che si chieda al comandante. Va e torna: non si sa (guarda un po'), la decisione spetta all'aeroporto di Fiumicino. Tranquilli, comunque: fosse pure Fiumicino il luogo d'arrivo, ci saranno comodissimi e gratuitissimi pullman a portarci a Ciampino; a parlare sempre il capocabina, in un italiano sconnesso che non auguro a nessuno dei miei studenti. Irlandese? Macché, italianissimo. Ma non la fanno una prova in lingua, quelli della Ryanair, al personale in volo da assumere? Dimenticavo, sono irlandesi: gliela faranno in inglese.
A una mezz'ora dall'arrivo, l'agognato annuncio: scenderemo a Fiumicino. Una ragazza mi chiede, poco prima che l'aereo atterri: siamo a Fiumicino, vero? Non è che sia straniera e che non capisca bene la nostra lingua: è che l'annuncio è stato dato, dal pilota, solo in inglese. Sono tutt'altro che un bieco nazionalista in fatto di lingua, però quando è troppo è troppo: siamo in Italia o in una colonia dell'ex-impero britannico? Chiedere un annuncio bilingue è chiedere troppo?
All'una e mezza atterriamo. La persona che mi doveva venire a prendere è già lì: era stata a Ciampino, aveva letto del dirottamento, e con l'auto aveva raggiunto Fiumicino. Un ultimo sguardo, dal mezzo in partenza, agli altri passeggeri che si affacciano via via in strada; ne avrei portati volentieri un paio con me, ma l'auto che mi conduce via è una due posti. Degli autobus, ancora, nessuna traccia. Speriamo almeno che arrivino presto, e che questa notte da incubo abbia fine anche per i miei sventurati compagni di viaggio di un maledetto volo da Cagliari a Roma. massimo arcangeli
*Preside facoltà di Lingue
università di Cagliari
Cagliari, 25 febbraio, partenza per Roma Ciampino con il volo Ryanair (FR 4801) delle 21.10. Solita routine, solite regole: check in fatto preventivamente on-line (altrimenti non si sale a bordo), documento alla mano che deve coincidere con quello dichiarato sul foglio d'imbarco, un solo bagaglio. Soliti anche gli scenari che i viaggiatori più cinici e smaliziati, un po' sadicamente (diciamocelo), amano immaginarsi. Quelli che tentano invano di comprimere il contenuto della propria valigia per farci entrare quel che non possono portare con sé. Quelli che, ignari dei tranelli del low cost più gettonato d'Europa, si lamentano del supplemento che hanno dovuto pagare e intanto s'inalberano, meschini: non voleranno più con la compagnia irlandese, dicono, epperò sono lì. Quelli che, come me, pensano ormai di essere inattaccabili su tutti i fronti: Ryanair non mi fregherà mai.
E invece. Al gate d'imbarco la prima, sgradita sorpresa: il volo ha un ritardo di quasi tre ore. Partenza prevista: ore 23.55. Pazienza. Con quattro chiacchiere e un po' di lavoro da smaltire il tempo passerà. Alle 23 circa, casualmente, intercetto un breve dialogo fra un passeggero, anche lui in partenza per la capitale, e il caposcalo (dichiarerà lui stesso di farne mansioni): la mia destinazione potrebbe essere l'aeroporto di Fiumicino anziché Ciampino. Stavolta, a inalberarmi, sono io: chiedo spiegazioni, domando perché la notizia non venga diffusa alle decine di passeggeri in attesa, minaccio di denunciare l'accaduto il giorno dopo, chiedo di parlare con il caposcalo o un responsabile. Il caposcalo è lui, gentile ma fermo: non si può sapere se sbarcheremo a Fiumicino o a Ciampino. Bisogna pazientare. Mi aspetto almeno un annuncio ufficiale: niente, nemmeno quello.
Il tempo, intanto, passa. Quasi allo scoccare della mezzanotte chiedo ancora al caposcalo se ci sono novità: una persona mi attende a Ciampino, vorrei almeno poterle dire che arriverò invece a Fiumicino (soluzione probabilissima, data l'ora tarda). Niente. Fiumicino o Ciampino? Non si sa. Il caposcalo mi dice che si sta attendendo un'eventuale (fantomatica?) autorizzazione per un'estensione dell'orario di chiusura del piccolo aeroporto dell'urbe; sono quasi sicuro, da uomo di mondo aeroportuale - il Clooney protagonista di Sulle nuvole , bel film di Jason Reitman, mi fa un baffo; salgo ormai sugli aerei come fossero autobus: peccato non sia prevista una comoda tessera - che una concessione del genere difficilmente ci sarà. La conferma giunge qualche minuto dopo: sembra che a Ciampino compaia già l'avviso di dirottamento a Fiumicino del nostro aereo. Non mi rimane che mettermi in fila e attendere. Chiederò al personale della compagnia. Intanto il display sul gate d'imbarco segna la mezzanotte come ora di partenza; peccato che si sia già fatta mezzanotte e un quarto. È il mio turno. Chiedo, amleticamente: Ciampino o Fiumicino? Per l'ennesima volta: non si sa. Ce lo dirà (forse) il comandante.
Sull'aereo. È quasi mezzanotte e mezza, fra qualche minuto partiremo. Chiedo al capocabina, stavolta con un tono alterato, dove mai scenderemo; è mio diritto, e degli altri passeggeri, saperlo. Mi risponde, infastidito, che sto parlando a titolo personale (dietro di me, sentita la risposta, molti bofonchiano); saprete dove scenderete quando sarete scesi, la gentile aggiunta. Stavolta mi accendo: pretendo che si chieda al comandante. Va e torna: non si sa (guarda un po'), la decisione spetta all'aeroporto di Fiumicino. Tranquilli, comunque: fosse pure Fiumicino il luogo d'arrivo, ci saranno comodissimi e gratuitissimi pullman a portarci a Ciampino; a parlare sempre il capocabina, in un italiano sconnesso che non auguro a nessuno dei miei studenti. Irlandese? Macché, italianissimo. Ma non la fanno una prova in lingua, quelli della Ryanair, al personale in volo da assumere? Dimenticavo, sono irlandesi: gliela faranno in inglese.
A una mezz'ora dall'arrivo, l'agognato annuncio: scenderemo a Fiumicino. Una ragazza mi chiede, poco prima che l'aereo atterri: siamo a Fiumicino, vero? Non è che sia straniera e che non capisca bene la nostra lingua: è che l'annuncio è stato dato, dal pilota, solo in inglese. Sono tutt'altro che un bieco nazionalista in fatto di lingua, però quando è troppo è troppo: siamo in Italia o in una colonia dell'ex-impero britannico? Chiedere un annuncio bilingue è chiedere troppo?
All'una e mezza atterriamo. La persona che mi doveva venire a prendere è già lì: era stata a Ciampino, aveva letto del dirottamento, e con l'auto aveva raggiunto Fiumicino. Un ultimo sguardo, dal mezzo in partenza, agli altri passeggeri che si affacciano via via in strada; ne avrei portati volentieri un paio con me, ma l'auto che mi conduce via è una due posti. Degli autobus, ancora, nessuna traccia. Speriamo almeno che arrivino presto, e che questa notte da incubo abbia fine anche per i miei sventurati compagni di viaggio di un maledetto volo da Cagliari a Roma. massimo arcangeli
*Preside facoltà di Lingue
università di Cagliari