L’ultimo giorno a Reykjahlíð mi alzo abbastanza presto, faccio le valigie e inizio a pregare le divinità della pioggia di prendersi un giorno di ferie. Vado in reception, lascio la valigia e chiedo se, per caso, oggi c’è rischio pioggia. La ragazza alla reception mi indica una cartina, o che bello, una nuvoletta temporalesca proprio sul lago. “But it’s crap!”, aggiunge, in una settimana ne avessero azzeccata una. D’altronde al momento sembra esserci pure un’ombra di sole, per cui ho decido: noleggerò una bici per andare a vedere la zona degli pseudo-crateri a sud. Sono circa 18 kilometri, la strada, fatta col bus in arrivo, sembrava piuttosto piatta e semplice. In realtà è una collina unica, una fatica fare su e giù per i pendii quando non si è allenati. Poi qualcuno mi spiega perché le discese sembrano sempre meno e sempre più corte delle salite, eh!
Poco oltre metà tragitto mi fermo nella zona del Höfði per alcune foto; ci sono però troppi moscerini per cui desisto e me la batto più velocemente possibile. Il peggio deve ancora arrivare
Trenta minuti dopo arrivo alla meta del mio giro, la zona di Skútustaðagígar; la zona degli pseudo-crateri è formata da isolette e promontori, residui delle esplosioni di acqua e gas intrappolati sotto il manto lavico ancora incandescente, formando piccoli crateri che oggi sono ricoperti d’erba. Di fronte si trova il principale agglomerato urbano nella zona sud del lago, Skútustaðir; se nemmeno la Lonely Planet dice quanti abitanti ha, deve averne proprio pochi.
La zona si esplora in qualche ora con calma e visitando tutti i crateri e tutti i sentieri; di fatto, gli insetti qui sono un esercito, si passa letteralmente in mezzo a nuvole di moscerini come si vede solo nei cartoni animati. A nulla vale il cappuccio intorno alla testa e un fazzoletto su naso e bocca, visto che anche occhi e orecchie sono luoghi di esplorazione interessanti per gli affatto timidi animaletti. Vi posso assicurare però che sono insapori :morto:
Mi spiccio a fare le foto che devo fare e poi scappo (nel senso velocistico del termine!) nel negozio di souvenir, che è anche info-point, caffetteria, tavola calda, reception per un hotel e bagno pubblico. Pur di sfuggire ai malefici cosini volanti faccio colazione, pranzo, compro souvenir idioti e visito approfonditamente la toilette. Provo a rimettere il becco fuori dalla porta, vado verso la chiesetta (che è chiusa) e rinuncio ad andare a importunare un branco di mucche già irritate dai moschini.
Già ora di tornare! Dato che entro le tre devo essere a Reykjahlíð per prendere il bus che mi riporterò ad Akureyri, ho ancora il tempo di dare uno sguardo, lungo la strada, ai campi di lava di Dimmuborgir. Inforco nuovamente il fido mezzo meccanico e parto a razzo. La prima parte per tornare indietro è piana, con le gambe riposate e un rapporto lungo si fanno facilmente i quaranta all’ora. Appena iniziano le colline le mie gambe diventano pezzi di legno, ecco a fare il pirla cosa succede. Rapporto agile e via! Dimmuborgir è esattamente a metà strada tra gli pseudo-crateri e “casa”. Anche con la calma che impone il su-e-giù non ci si impiega molto ad arrivarci, anche con una seconda sosta, più approfondita, a Höfði.
La deviazione fa percorrere un kilometro circa di sterrato, poco prima della fine c’è una bella collinetta da scavalcare; subito dopo c’è invece una specie di passo dello Stelvio in versione ghiaia. Convinto, faccio per scalarlo, ma alla terza slittata inchiodo e scendo: finisco di salire a spinta. Qui occorre un serio programma di allenamento (e soprattutto dimagrimento
)
L’anello di sentieri che percorre Dimmuborgig è abbastanza lungo, con tutte le diramazioni si raggiungono circa i 5-4 kilometri. Inizio il giro ma, per un fraintendimento sui cartelli (che riportano “ring-road: 1h” ad ogni cartello, intendendo la durata del giro al completo e non dal punto indicato nel cartello! Me ne accorgo solo quando sono ormai tornato all’inizio) non vado a vedere l’attrazione più “famosa”, la Kirkjan, una cavità naturale col soffitto ad arco roccioso. Poco male, di lava ne ho vista in tutte le forme in questi giorni.
Intanto una bella perturbazione si avvicina da sud-est… già qualche goccia è iniziata a scendere una decina di minuti prima, per cui penso bene di scappare finché sono in tempo e riportare la mia persona all’asciutto in attesa del bus. Macché… le ottime colline mi rallentano e mi prendo tutta l’acqua, venti minuti sotto il temporale, sono fradicio. Per fortuna che avevo su i pantaloncini corti, bagnato per bagnato… arrivo alla guesthouse che smette, ovviamente, di piovere. Restituisco la bici, chiedo di poter usare il bagno per cambiarmi in fretta e poi mi metto al sole, che nel frattempo è uscito. Arrivato il bus, mi metto al mio posto, mp3 e un buon sonnellino fino ad Akureyri.
Arrivato, visto che non ho niente da vedere in città, vado alla stazione dei taxi e mi faccio portare all’aeroporto.
Il mio volo partirebbe alle 20.55, ma vista l’elasticità dei controlli, forse sono elastici pure sulle partenze, nonostante la mia tariffa super-pezzent. Vado al banco e chiedo se fosse possibile già fare il check-in (sono le 17.20!). La signora mi guarda, mi chiede se sono da solo e, a risposta affermativa, mi dice che mi ha spostato sul volo in partenza alle 17.40. Mi etichetta i bagagli e mi augura buon volo. Apperò!
Felice come una pasqua di aver guadagnato tre ore a Reykjavik, vado in area partenze che, come a RKV, non è isolata dal resto ma è semplicemente l’estensione del terminal. Ci sono delle belle vetrate da cui ammirare (!) il traffico, una caffetteria e IL gate. Difficile sbagliare anche qui. Alle 1730 vedo arrivare il nostro Fokker, ancora TF-JMM; contemporaneamente lo speaker annuncia che ci sarà un ritardo di circa 15’ per dei controlli al velivolo. Nessuno si scompone. Mi godo lo sbarco bagagli, il walk-around del first officer con annesso controllo di tutte le pale dell’elica (io pensavo fossero bloccate, invece girano liberamente) e il comandante e un tecnico Air Iceland che smanettano con una specie di cassa nera nel pannello subito fuori dal cockpit, dentro l’aereo. Chissà cos’era.
Tratta: AEY-RKV
Volo: NY 135
Aereo: Fokker 50
MSN: 20214
Reg: TF-JMM
Consegnato il: 22/03/1991 a DLT come D-AFKM, primo volo con Air Iceland: 02/07/2004
Posto: 9C
Gate: -
Sched dep: 17.40
Sched arr: 18.25
Un quarto d’ora dopo ci fanno salire a bordo, purtroppo ho perso la ricevuta del volo, per fortuna ho tenuto gli appunti, ho il posto 9C, e l’aereo è pieno in ogni posto, probabilmente è per questo che la signora al c-in mi ha chiesto se viaggiassi da solo. Davanti a me una mamma biondissima con un bimbo piccolo e biondissimo che aveva un sacco di cose da dire, tra gorgoglii e sbavatine sulla spalla della mamma. Però quando mi guarda lo faccio ridere
L’a/v del volo, che mi pare la stessa dell’andata, si ferma a spupazzarsi il bebè appena lo vede.
Dato che non ho il finestrino non guardo verso che pista rulliamo, il decollo è come l’andata, poderoso, rumoroso, divertente. In crociera solo nuvole, il servizio è lo stesso dell’andata, acqua, te/caffè e cioccolatino, che stavolta evito di fotografare, va bene far ridere un affarino di sei mesi, ma vorrei evitare di far ridere anche quelli più grandicelli intorno.
L’approach su RKV ci porta sulla pista 31, con un bel sorvolo dei quartieri subito a sud del centro, da est verso ovest. Sbarco, i bagagli ci mettono un po’ ad arrivare (15’), considerando dimensioni dello scalo e numero dei colli da riconsegnare. Faccio in tempo a prelevare qualche corona, visto che il giorno successivo ho una “gita” nella parte sud della costa e non sono sicuro di trovare bancomat o che accettino carta, paura peraltro infondata. Recupero i bagagli e prendo il primo taxi che trovo, mi faccio portare alla stessa guesthouse dei primi giorni, dove soggiornerò per i seguenti tre, e ultimi, in terra islandese.
(cont.)

Poco oltre metà tragitto mi fermo nella zona del Höfði per alcune foto; ci sono però troppi moscerini per cui desisto e me la batto più velocemente possibile. Il peggio deve ancora arrivare



Trenta minuti dopo arrivo alla meta del mio giro, la zona di Skútustaðagígar; la zona degli pseudo-crateri è formata da isolette e promontori, residui delle esplosioni di acqua e gas intrappolati sotto il manto lavico ancora incandescente, formando piccoli crateri che oggi sono ricoperti d’erba. Di fronte si trova il principale agglomerato urbano nella zona sud del lago, Skútustaðir; se nemmeno la Lonely Planet dice quanti abitanti ha, deve averne proprio pochi.
La zona si esplora in qualche ora con calma e visitando tutti i crateri e tutti i sentieri; di fatto, gli insetti qui sono un esercito, si passa letteralmente in mezzo a nuvole di moscerini come si vede solo nei cartoni animati. A nulla vale il cappuccio intorno alla testa e un fazzoletto su naso e bocca, visto che anche occhi e orecchie sono luoghi di esplorazione interessanti per gli affatto timidi animaletti. Vi posso assicurare però che sono insapori :morto:



Mi spiccio a fare le foto che devo fare e poi scappo (nel senso velocistico del termine!) nel negozio di souvenir, che è anche info-point, caffetteria, tavola calda, reception per un hotel e bagno pubblico. Pur di sfuggire ai malefici cosini volanti faccio colazione, pranzo, compro souvenir idioti e visito approfonditamente la toilette. Provo a rimettere il becco fuori dalla porta, vado verso la chiesetta (che è chiusa) e rinuncio ad andare a importunare un branco di mucche già irritate dai moschini.
Già ora di tornare! Dato che entro le tre devo essere a Reykjahlíð per prendere il bus che mi riporterò ad Akureyri, ho ancora il tempo di dare uno sguardo, lungo la strada, ai campi di lava di Dimmuborgir. Inforco nuovamente il fido mezzo meccanico e parto a razzo. La prima parte per tornare indietro è piana, con le gambe riposate e un rapporto lungo si fanno facilmente i quaranta all’ora. Appena iniziano le colline le mie gambe diventano pezzi di legno, ecco a fare il pirla cosa succede. Rapporto agile e via! Dimmuborgir è esattamente a metà strada tra gli pseudo-crateri e “casa”. Anche con la calma che impone il su-e-giù non ci si impiega molto ad arrivarci, anche con una seconda sosta, più approfondita, a Höfði.


La deviazione fa percorrere un kilometro circa di sterrato, poco prima della fine c’è una bella collinetta da scavalcare; subito dopo c’è invece una specie di passo dello Stelvio in versione ghiaia. Convinto, faccio per scalarlo, ma alla terza slittata inchiodo e scendo: finisco di salire a spinta. Qui occorre un serio programma di allenamento (e soprattutto dimagrimento




L’anello di sentieri che percorre Dimmuborgig è abbastanza lungo, con tutte le diramazioni si raggiungono circa i 5-4 kilometri. Inizio il giro ma, per un fraintendimento sui cartelli (che riportano “ring-road: 1h” ad ogni cartello, intendendo la durata del giro al completo e non dal punto indicato nel cartello! Me ne accorgo solo quando sono ormai tornato all’inizio) non vado a vedere l’attrazione più “famosa”, la Kirkjan, una cavità naturale col soffitto ad arco roccioso. Poco male, di lava ne ho vista in tutte le forme in questi giorni.
Intanto una bella perturbazione si avvicina da sud-est… già qualche goccia è iniziata a scendere una decina di minuti prima, per cui penso bene di scappare finché sono in tempo e riportare la mia persona all’asciutto in attesa del bus. Macché… le ottime colline mi rallentano e mi prendo tutta l’acqua, venti minuti sotto il temporale, sono fradicio. Per fortuna che avevo su i pantaloncini corti, bagnato per bagnato… arrivo alla guesthouse che smette, ovviamente, di piovere. Restituisco la bici, chiedo di poter usare il bagno per cambiarmi in fretta e poi mi metto al sole, che nel frattempo è uscito. Arrivato il bus, mi metto al mio posto, mp3 e un buon sonnellino fino ad Akureyri.
Arrivato, visto che non ho niente da vedere in città, vado alla stazione dei taxi e mi faccio portare all’aeroporto.
Il mio volo partirebbe alle 20.55, ma vista l’elasticità dei controlli, forse sono elastici pure sulle partenze, nonostante la mia tariffa super-pezzent. Vado al banco e chiedo se fosse possibile già fare il check-in (sono le 17.20!). La signora mi guarda, mi chiede se sono da solo e, a risposta affermativa, mi dice che mi ha spostato sul volo in partenza alle 17.40. Mi etichetta i bagagli e mi augura buon volo. Apperò!
Felice come una pasqua di aver guadagnato tre ore a Reykjavik, vado in area partenze che, come a RKV, non è isolata dal resto ma è semplicemente l’estensione del terminal. Ci sono delle belle vetrate da cui ammirare (!) il traffico, una caffetteria e IL gate. Difficile sbagliare anche qui. Alle 1730 vedo arrivare il nostro Fokker, ancora TF-JMM; contemporaneamente lo speaker annuncia che ci sarà un ritardo di circa 15’ per dei controlli al velivolo. Nessuno si scompone. Mi godo lo sbarco bagagli, il walk-around del first officer con annesso controllo di tutte le pale dell’elica (io pensavo fossero bloccate, invece girano liberamente) e il comandante e un tecnico Air Iceland che smanettano con una specie di cassa nera nel pannello subito fuori dal cockpit, dentro l’aereo. Chissà cos’era.





Tratta: AEY-RKV
Volo: NY 135
Aereo: Fokker 50
MSN: 20214
Reg: TF-JMM
Consegnato il: 22/03/1991 a DLT come D-AFKM, primo volo con Air Iceland: 02/07/2004
Posto: 9C
Gate: -
Sched dep: 17.40
Sched arr: 18.25
Un quarto d’ora dopo ci fanno salire a bordo, purtroppo ho perso la ricevuta del volo, per fortuna ho tenuto gli appunti, ho il posto 9C, e l’aereo è pieno in ogni posto, probabilmente è per questo che la signora al c-in mi ha chiesto se viaggiassi da solo. Davanti a me una mamma biondissima con un bimbo piccolo e biondissimo che aveva un sacco di cose da dire, tra gorgoglii e sbavatine sulla spalla della mamma. Però quando mi guarda lo faccio ridere

Dato che non ho il finestrino non guardo verso che pista rulliamo, il decollo è come l’andata, poderoso, rumoroso, divertente. In crociera solo nuvole, il servizio è lo stesso dell’andata, acqua, te/caffè e cioccolatino, che stavolta evito di fotografare, va bene far ridere un affarino di sei mesi, ma vorrei evitare di far ridere anche quelli più grandicelli intorno.
L’approach su RKV ci porta sulla pista 31, con un bel sorvolo dei quartieri subito a sud del centro, da est verso ovest. Sbarco, i bagagli ci mettono un po’ ad arrivare (15’), considerando dimensioni dello scalo e numero dei colli da riconsegnare. Faccio in tempo a prelevare qualche corona, visto che il giorno successivo ho una “gita” nella parte sud della costa e non sono sicuro di trovare bancomat o che accettino carta, paura peraltro infondata. Recupero i bagagli e prendo il primo taxi che trovo, mi faccio portare alla stessa guesthouse dei primi giorni, dove soggiornerò per i seguenti tre, e ultimi, in terra islandese.
(cont.)