Il Toto Gioco sull'Alitalia
IL TOTO GIOCO SULL'ALITALIA
Prosegue senza vero confronto la trattativa tra sindacati, governo e acquirenti di Alitalia. Storia di AirOne e del suo inventore, il costruttore abruzzese Carlo Toto
Francesco Piccioni
ROMA
In una cordata di 16 imprenditori «italiani», l'unico socio a sapere qualcosa di trasporto aereo non figura affatto nella gestione operativa della nuova società, la Compagnia aerea italia (Cai). Come mai? L'escluso è Carlo Toto, fondatore di AirOne, prima compagnia aerea nazionale a essere autorizzata a coprire la munifica rotta Fiumicino-Linate, che viene ora «fusa» con Alitalia. Pescarese, 63 anni, figlio del popolo. Suo padre Alfonso aveva una piccola impresa di riparazioni stradali in subappalto. La svolta avviene con Carlo, che negli anni '60 comincia a vincere i primi appalti per ponti e gallerie, sviluppa rapporti intensi con l'Anas, le Ferrovie e i politici locali. In modo rigorosamente bipartisan; ancora in tempi recenti risulta finanziatore di Forza Italia (125.000 euro), An (20.000), Ds (65.000). Nel cda di AirOne chiamerà anche Giovanni Malagò, impreditore romano legatissimo a Rutelli. Tra gli amici della prima ora figurano però Publio Fiori (ex Dc, poi in An) e Raffaele Bonanni, altro abruzzese doc, salito fino alla carica di segretario generale della Cisl. Ad aprile 2008 si ritrova pure un nipote come parlamentare del Pdl. Il modello di business che preferisce è questo: garantito, sicuro, con le commesse statali. Per quello entra come socio di Benetton nella gestione dell'Autostrada dei parchi, in breve tempo la più cara d'Italia (si vede che «il privato» certe cose le fa meglio, «a vantaggio del consumatore»...). Diventa rischioso a partire da Tangentopoli, in cui Toto rimane invischiato causa alcune mazzette pagate per «facilitare» la costruzione di un mega-parcheggio. Non si perde d'animo: patteggia una condanna a undici mesi e ne viene fuori. Un costruttore come tanti, nell'Italia di mezzo. Ma col pallino dell'aeronautica e delle ferrovie (ha fondato la Rail One, in attesa di «fare concorrenza» sull'alta velocità passeggeri). Già nell'88 rileva Aliadriatica, piccolo servizio di aerotaxi con due Jetstream turboelica da 18 posti. La «liberalizzazione dei cieli» gli fa fiutare la possibilità del salto di qualità. La svolta nel '94, quando a un'asta fallimentare compra un Boeing 737, che fa rimettere a nuovo dalle officine Lufthansa (con cui stringerà nel 2000 un'alleanza commerciale e tecnica). Inizia così a attivare voli charter da Pescara verso Bergamo, Torino e Palermo. L'anno successivo allarga i collegamenti con Linate, Brindisi, Reggio Calabria, Lamezia. Alla fine del '95 cambia nome e diventa AirOne, ottenendo il diritto a praticare la Fiumicino-Linate, tra le prime cinque d'Europa per volume di traffico. L'azienda si espande con regolarità anno dopo anno, complice una deregulation del mercato interno che non ha eguali in altri paesi europei (ancora oggi Ryanair, per fare un esempio potente, non riesce ad avere la possibilità di gestire una andata-e-ritorno giornaliera sulla Parigi-Marsiglia). E crescono ache i debiti, mentre gli utili - al momento migliore - non superano i 7 milioni di euro. Ma non si possono conoscere in dettaglio: AirOne, come tutte le altre società del gruppo Toto, non è quotata in borsa e non ha quindi l'obbligo di pubblicazione dei bilanci. Il suo creditore principale è IntesaSanPaolo, l'advisor scelto per la vendita Alitalia e che, come vedremo, risolve i propri problemi e quelli di Toto in una sola mossa. AirOne arriva a coprire il 25% del traffico nazionale, ma anche qui c'è qualche problema: riesce a riempire sì e no il 50% dei suoi aerei e quindi «copre» molte destinazioni con veivoli semivuoti. Ciò nonostante, si presenta in concorrenza con Alitalia per l'acquisto di Volare (piccola compagnia di Gallarate, con capitali leghisti, fallita miseramente). Viene respinto dal tribunale di Busto Arsizio. Scuote la testa come un vecchio orso marsicano e, quando parte la «gara» indetta da Tommaso Padoa Schioppa, rilancia presentandosi in cordata con Banca Intesa, Nomura, Goldman Sachs e altri mostri finanziari di prima grandezza. Non va nemmeno stavolta, malgrado il suo «piano di salvataggio» prometta mari e monti. Prima ancora che la «cordata» berlusconiana prenda ufficialmente forma, all'inizio di giugno, piazza il suo colpo maestro. Compra 12 veivoli Airbus A330 per il lungo raggio e «opziona» altre 8 macchine della stessa categoria, oltre a 12 A350XWB. Un ordine da 4,6 miliardi di euro, il più grande della storia del settore, in Italia. Insieme agli A320 per il medio raggio, in parte già arrivati, in parte in via di consegna, si ritrova ad avere una delle flotte più «giovani» d'Europa. Qualcuno dubita, però, che se la possa permettere (visto il modesto fatturato di AirOne: 750 milioni nel 2007). L'ingresso nella cordata pare risolvere ogni problema. Alitalia ha una flotta vecchia; e aerei nuovi (che consumano anche meno) è quello che serve alla Cai. Intesa valuta 300 milioni AirOne, cosicché la banca può rientrare dei suoi 200 milioni di crediti e Toto può avere 100 milioni da gettare nel patto societario. In più, sembra che si sia riservato la possibilità di affittare in leasing ad Alitalia-Cai gli aerei ancora non consegnati. Un flusso, calcolavano qualche giorno alcuni giornali, che vale 1,6 miliardi in 8-9 anni. L'escamotage è geniale, nella sua semplicità: le opzioni sui prossimi Airbus (71 A320, oltre i 24 tra A330 e A350) sono a nome di una sua finanziaria fin qui silente, l'Ap Holding, usata solo per la «gara» degli ultimi due anni. Ergo, non sentirà neppure il peso del «conflitto di interesse» tra il ruolo di fornitore e quello di socio in Cai (con una mano incassa, con l'altra paga insieme ad altri). Last but not least , si libera dei suoi circa 3.000 dipendenti, che finiranno nel calderone Cai. A loro, meno di un mese fa, Toto aveva inviato una convincente lettera in cui affermava che «in merito al possibile ruolo di AirOne nella privatizzazione di Alitalia posso rassicurarvi che questo non avverrà a scapito della nostra azienda, della sua integrità e ancor di più dei suoi dipendenti». Siamo certi che imprenditori di questa stazza si muovano sempre e solo «per il bene del paese». Come direbbe McCain, lo provano le loro cicatrici.
IL TOTO GIOCO SULL'ALITALIA
Prosegue senza vero confronto la trattativa tra sindacati, governo e acquirenti di Alitalia. Storia di AirOne e del suo inventore, il costruttore abruzzese Carlo Toto
Francesco Piccioni
ROMA
In una cordata di 16 imprenditori «italiani», l'unico socio a sapere qualcosa di trasporto aereo non figura affatto nella gestione operativa della nuova società, la Compagnia aerea italia (Cai). Come mai? L'escluso è Carlo Toto, fondatore di AirOne, prima compagnia aerea nazionale a essere autorizzata a coprire la munifica rotta Fiumicino-Linate, che viene ora «fusa» con Alitalia. Pescarese, 63 anni, figlio del popolo. Suo padre Alfonso aveva una piccola impresa di riparazioni stradali in subappalto. La svolta avviene con Carlo, che negli anni '60 comincia a vincere i primi appalti per ponti e gallerie, sviluppa rapporti intensi con l'Anas, le Ferrovie e i politici locali. In modo rigorosamente bipartisan; ancora in tempi recenti risulta finanziatore di Forza Italia (125.000 euro), An (20.000), Ds (65.000). Nel cda di AirOne chiamerà anche Giovanni Malagò, impreditore romano legatissimo a Rutelli. Tra gli amici della prima ora figurano però Publio Fiori (ex Dc, poi in An) e Raffaele Bonanni, altro abruzzese doc, salito fino alla carica di segretario generale della Cisl. Ad aprile 2008 si ritrova pure un nipote come parlamentare del Pdl. Il modello di business che preferisce è questo: garantito, sicuro, con le commesse statali. Per quello entra come socio di Benetton nella gestione dell'Autostrada dei parchi, in breve tempo la più cara d'Italia (si vede che «il privato» certe cose le fa meglio, «a vantaggio del consumatore»...). Diventa rischioso a partire da Tangentopoli, in cui Toto rimane invischiato causa alcune mazzette pagate per «facilitare» la costruzione di un mega-parcheggio. Non si perde d'animo: patteggia una condanna a undici mesi e ne viene fuori. Un costruttore come tanti, nell'Italia di mezzo. Ma col pallino dell'aeronautica e delle ferrovie (ha fondato la Rail One, in attesa di «fare concorrenza» sull'alta velocità passeggeri). Già nell'88 rileva Aliadriatica, piccolo servizio di aerotaxi con due Jetstream turboelica da 18 posti. La «liberalizzazione dei cieli» gli fa fiutare la possibilità del salto di qualità. La svolta nel '94, quando a un'asta fallimentare compra un Boeing 737, che fa rimettere a nuovo dalle officine Lufthansa (con cui stringerà nel 2000 un'alleanza commerciale e tecnica). Inizia così a attivare voli charter da Pescara verso Bergamo, Torino e Palermo. L'anno successivo allarga i collegamenti con Linate, Brindisi, Reggio Calabria, Lamezia. Alla fine del '95 cambia nome e diventa AirOne, ottenendo il diritto a praticare la Fiumicino-Linate, tra le prime cinque d'Europa per volume di traffico. L'azienda si espande con regolarità anno dopo anno, complice una deregulation del mercato interno che non ha eguali in altri paesi europei (ancora oggi Ryanair, per fare un esempio potente, non riesce ad avere la possibilità di gestire una andata-e-ritorno giornaliera sulla Parigi-Marsiglia). E crescono ache i debiti, mentre gli utili - al momento migliore - non superano i 7 milioni di euro. Ma non si possono conoscere in dettaglio: AirOne, come tutte le altre società del gruppo Toto, non è quotata in borsa e non ha quindi l'obbligo di pubblicazione dei bilanci. Il suo creditore principale è IntesaSanPaolo, l'advisor scelto per la vendita Alitalia e che, come vedremo, risolve i propri problemi e quelli di Toto in una sola mossa. AirOne arriva a coprire il 25% del traffico nazionale, ma anche qui c'è qualche problema: riesce a riempire sì e no il 50% dei suoi aerei e quindi «copre» molte destinazioni con veivoli semivuoti. Ciò nonostante, si presenta in concorrenza con Alitalia per l'acquisto di Volare (piccola compagnia di Gallarate, con capitali leghisti, fallita miseramente). Viene respinto dal tribunale di Busto Arsizio. Scuote la testa come un vecchio orso marsicano e, quando parte la «gara» indetta da Tommaso Padoa Schioppa, rilancia presentandosi in cordata con Banca Intesa, Nomura, Goldman Sachs e altri mostri finanziari di prima grandezza. Non va nemmeno stavolta, malgrado il suo «piano di salvataggio» prometta mari e monti. Prima ancora che la «cordata» berlusconiana prenda ufficialmente forma, all'inizio di giugno, piazza il suo colpo maestro. Compra 12 veivoli Airbus A330 per il lungo raggio e «opziona» altre 8 macchine della stessa categoria, oltre a 12 A350XWB. Un ordine da 4,6 miliardi di euro, il più grande della storia del settore, in Italia. Insieme agli A320 per il medio raggio, in parte già arrivati, in parte in via di consegna, si ritrova ad avere una delle flotte più «giovani» d'Europa. Qualcuno dubita, però, che se la possa permettere (visto il modesto fatturato di AirOne: 750 milioni nel 2007). L'ingresso nella cordata pare risolvere ogni problema. Alitalia ha una flotta vecchia; e aerei nuovi (che consumano anche meno) è quello che serve alla Cai. Intesa valuta 300 milioni AirOne, cosicché la banca può rientrare dei suoi 200 milioni di crediti e Toto può avere 100 milioni da gettare nel patto societario. In più, sembra che si sia riservato la possibilità di affittare in leasing ad Alitalia-Cai gli aerei ancora non consegnati. Un flusso, calcolavano qualche giorno alcuni giornali, che vale 1,6 miliardi in 8-9 anni. L'escamotage è geniale, nella sua semplicità: le opzioni sui prossimi Airbus (71 A320, oltre i 24 tra A330 e A350) sono a nome di una sua finanziaria fin qui silente, l'Ap Holding, usata solo per la «gara» degli ultimi due anni. Ergo, non sentirà neppure il peso del «conflitto di interesse» tra il ruolo di fornitore e quello di socio in Cai (con una mano incassa, con l'altra paga insieme ad altri). Last but not least , si libera dei suoi circa 3.000 dipendenti, che finiranno nel calderone Cai. A loro, meno di un mese fa, Toto aveva inviato una convincente lettera in cui affermava che «in merito al possibile ruolo di AirOne nella privatizzazione di Alitalia posso rassicurarvi che questo non avverrà a scapito della nostra azienda, della sua integrità e ancor di più dei suoi dipendenti». Siamo certi che imprenditori di questa stazza si muovano sempre e solo «per il bene del paese». Come direbbe McCain, lo provano le loro cicatrici.