Voli low cost, il ceo di Wizz Air: «Saremo la seconda compagnia in Italia, guerra dei prezzi con Ryanair»
Parla al «Corriere» József Váradi. Dalle decisioni (poi rivelatesi sbagliate) degli ultimi anni al rilancio vero e proprio dal 2027 quando sarà finita la crisi dei motori. Tutti i piani della low cost ungherese
Negli anni in cui il trasporto aereo ha fatto utili da capogiro, Wizz Air — low cost ungherese presto diventata protagonista nei cieli europei — ha dovuto gestire diverse criticità. Un po’ per sfortuna (la chiusura del mercato ucraino post-invasione russa o le tensioni in Medio Oriente), un po’ per scelte strategiche sbagliate (come l’idea di non proteggersi dalle fluttuazioni del prezzo del carburante).
Non bastasse tutto questo il vettore ha dovuto poi mettere a terra decine di velivoli di ultima generazione per i problemi ai motori che stanno zavorrando il settore su scala mondiale. «Bisogna pazientare fino al 2027, quando i nostri problemi con i propulsori dovrebbero risolversi», spiega durante una lunga chiacchierata con il Corriere l’amministratore delegato di Wizz Air, József Váradi. Che annuncia anche un ritorno significativo sull’Italia. Dove se la dovrà vedere con Ryanair.
Wizz Air arriva da un paio d’anni non proprio positivi...
«Il 2025 è stato un anno di transizione. Siamo tornati a crescere dopo un 2024 piatto, dovuto anche al fermo degli aerei per i problemi ai motori Pratt & Whitney».
Ma i risultati comunque non sono brillanti.
«Siamo ancora colpiti da alcuni dei “cigni neri” vissuti in precedenza, come la geopolitica. Anche l’estate scorsa abbiamo dovuto cancellare tutte le operazioni in Israele a causa delle tensioni nella regione».
Quanto sono seri i problemi ai motori Pratt & Whitney?
«Abbiamo avuto 35 aerei fermi. La prossima estate ne prevediamo 25 a terra. Serviranno altri due anni per arrivare alla fine della gestione della flotta bloccata. Quindi abbiamo questa dicotomia: torniamo a crescere, il che è positivo, ma dobbiamo ancora gestire inefficienze legate alle questioni geopolitiche e ai problemi ai motori».
Quest’anno avete pagato il conto di alcune decisioni passate non proprio azzeccate? Mi riferisco all’acquisto degli Airbus A321Xlr, poi ridimensionato, e alla chiusura delle operazioni ad Abu Dhabi.
«Abbiamo preso decisioni importanti e stiamo aspettando che se ne vedano gli effetti. C’è un divario tra quando decidi e quando i benefici arrivano davvero. Il 2025 è stato un anno cruciale non solo per tornare a crescere, ma anche per adattare il business, affrontare le debolezze e valorizzare i nostri punti di forza. Abbiamo aggiustato il programma Xlr, chiuso Abu Dhabi, ma allo stesso tempo abbiamo investito molto sull’Europa centrale: da lì veniamo, lì abbiamo notorietà e le migliori prestazioni».
Quelle quindi sono state decisioni sbagliate?
«Sono state prese in un contesto molto diverso. Quel contesto è cambiato, e questo ha imposto di riconsiderarle. Col senno di poi, forse avremmo preferito non farle, ma al momento non sembrava così. Si impara da tutto, e ci si adatta alla natura mutevole del business».
Per il 2026 puntate su tre pilastri: Europa centro-orientale, Italia e Israele. Partiamo dal primo.
«L’Europa centro-orientale per noi è una scelta naturale. I Pil continuano a crescere in misura sproporzionata rispetto all’Europa occidentale, generando più reddito disponibile e quindi più traffico. Stiamo aprendo molti nuovi mercati».
E l’Italia? Negli anni avete ridotto la presenza sui collegamenti interni.
«In Italia stiamo vedendo un miglioramento significativo, pur essendo un mercato piuttosto saturo. Ora siamo concentrati sul traffico internazionale. Ma ci sono anche rotte interne che ci piacciono, pur tenendo conto dello sviluppo di altre modalità di trasporto, come i treni, che limitano alcune opportunità».
Come vanno le vostre attività nel nostro Paese?
«Molto bene. Abbiamo investito pesantemente nel post-Covid e ora vediamo la maturazione del brand. Sono ottimista ed entusiasta: possiamo fare molto di più. Certo, alcuni aeroporti sono saturi — penso a Catania e Napoli —, ma anche lì ci sono opportunità».
Non vi spaventa il dominio di Ryanair?
«No. Non è Ryanair contro Wizz: è una loro narrativa. La realtà è che Wizz e Ryanair competono contro gli altri. In Italia, forse con Lufthansa Ita avrà più forza finanziaria. Ma nel 2026, con la crescita prevista, Wizz sarà la seconda compagnia del Paese: un risultato notevole».
Quindi ci sarà una guerra dei prezzi in Italia nel 2026?
«Il mercato ha bisogno di concorrenza. Saremo un buon avversario. Dove ci saranno opportunità, le sfrutteremo. Con o senza Ryanair continueremo a crescere».
Questo scatenerà inevitabilmente una guerra tariffaria con Ryanair.
«Allora che guerra sia».
Diversi mercati europei sono saturi. Dove vede spazi per crescere?
«Oltre all’Europa centrale e all’Italia, anche Londra».
Si parla di un’apertura di una base a Tel Aviv. Un mercato complesso: Ryanair va via denunciando costi operativi elevati. Voi invece volete investire lì.
«Metterei una “caveat”. Siamo una compagnia che vola verso Israele. Stiamo parlando con il governo per capire se quell’operazione può essere migliorata e se ha senso una base. Ma non è una decisione presa: è una discussione in corso, nulla di concluso».
Qual è il problema? Gli incentivi?
«No. Il governo israeliano è molto preoccupato per il costo della vita. Durante la guerra i vettori locali hanno sfruttato la situazione e aumentato i prezzi. Ora l’esecutivo vuole introdurre compagnie efficienti per creare concorrenza e abbassare i costi del viaggio, alleggerendo il costo della vita».
Puntate ai 500 velivoli in flotta, ma intanto avete posticipato la consegna di 88 aeromobili dal 2030 al 2033. Perché?
«Quando abbiamo piazzato l’ordine nel 2017 programmavamo una crescita del 15% annuo. Due anni fa abbiamo perso una parte significativa della flotta per il fermo a causa dei motori, che recupereremo solo entro la fine del 2027. Dovevamo modificare il flusso di consegne per evitare crescite eccessive e insostenibili del 30-40%».
Avete anche cancellato gran parte dell’ordine degli A321Xlr.
«Abbiamo convertito la maggior parte degli Xlr in A321neo».
Molte compagnie stanno discutendo con Pratt & Whitney, il produttore dei motori problematici, alcune pensano di fare causa. A che punto è la vostra discussione?
«Abbiamo un accordo fino alla fine del 2027 per un piano di compensazione. Copre i costi della messa a terra, non le opportunità perse. È un piano moderato rispetto all’esposizione totale, ma era il miglior accordo possibile».
O’Leary vi accusa di gestire uno «schema Ponzi» con il sale & leaseback (la vendita degli aerei di proprietà ad altri soggetti per poi affittare gli stessi jet). Ora sembra che stiate abbandonando quella pratica.
«Non abbiamo abbandonato nulla. Continuiamo a fare sale & leaseback. Stiamo solo riequilibrando: oggi l’80% della flotta è in leasing operativo e il 20% in qualche forma di proprietà».
Cosa risponde però a O’Leary su questo punto?
«Quello che dice è pura spazzatura. È semplicemente sbagliato».
Perché?
«Prendiamo l’esempio di un aereo che costa 100 dollari. Se si fa sale & leaseback lo si vende a 110, incassando 10. Poi si ammortizzano i 110 dollari in 10 anni, al costo di 11 all’anno. Se lo si possiede, i 100 dollari si ammortizzano in 10 anni, 10 dollari all’anno. Non si può ignorare che si incassano 10 milioni, considerando solo i costi. E solo un terzo dei 10 milioni è profitto nel primo anno: il resto si spalma sul periodo di locazione. È un diverso approccio finanziario. Il sale & leaseback dà cassa subito, non profitto. La proprietà dà più profitto e meno cassa».
O’Leary dice anche che abbandonate i mercati quando arriva Ryanair.
«È una bugia. Guardiamo i numeri: a Budapest ci battiamo da quindici anni e siamo il 25-30% più grandi. In Romania siamo tre volte più grandi. A Varsavia tre volte. A Bratislava anche siamo più grandi. Non posso credere che sia così male informato: sta mentendo».
Secondo lui, in futuro resteranno solo pochi vettori europei: Iag (che controlla British Airways e Iberia), il gruppo Lufthansa, Air France-Klm e Ryanair. Wizz ed easyJet spariranno.
«Non andiamo da nessuna parte. La nostra liquidità è più alta della loro. Il problema non è la cassa, ma la trasformazione in profitti, frenata da fattori esterni. Risolto il tema dei motori, la redditività tornerà a salire».
O’Leary sostiene anche che sarete parte del processo di consolidamento.
«Lo dice da sempre e non ci ha mai preso. Perché dovrebbe avere ragione ora? Non abbiamo alcun piano di farci acquisire. Abbiamo appena ricevuto il nostro 250° aereo. Trasportiamo più passeggeri di Lufthansa, Air France e British Airways come brand. Ryanair è più grande, certo, ma ha iniziato 25 anni prima. Se la confronti con noi ai suoi 20 anni, non era nemmeno vicina alle nostre dimensioni. Abbiamo fatto molto bene».
Wizz sarebbe protagonista attiva di fusioni e acquisizioni?
«I vettori low cost evitano le complessità perché generano costi che distruggono il modello. E le fusioni sono complesse: flotta, sistemi, persone. Noi cresceremo organicamente di 10 milioni di passeggeri l’anno. Perché complicarsi la vita?».
A un certo punto eravate interessati a easyJet...
«Abbiamo solo provato a guardare. Non abbiamo firmato alcun accordo di non divulgazione, non abbiamo nemmeno avviato una procedura».
Il vostro abbonamento con i biglietti scontati «All You Can Fly» prosegue. Ryanair ha interrotto «Prime» dopo otto mesi. Perché secondo lei?
«Serviamo segmenti diversi. Vent’anni fa portavamo lavoratori dell’Est in Occidente. Oggi trasportiamo turisti, chi visita parenti, chi viaggia per lavoro. Ognuno ha esigenze diverse. C’è chi è interessato all’All You Can Fly, chi ai prezzi bassi al momento dell’acquisto».
Quindi andrete avanti con la segmentazione?
«Penso di sì».
Avete introdotto, in via sperimentale, il posto centrale libero nelle prime file per i passeggeri business. Lo estenderete?
«Vedremo. Quel posto spesso è già vuoto perché abbiamo un sovrapprezzo premium per la prima fila. Internamente il posto risulta spesso vuoto: lo stiamo solo monetizzando diversamente».
Tra i vostri piani c’erano i voli intercontinentali via Abu Dhabi usando gli Xlr. Quel progetto è ancora valido da altre basi?
«Dobbiamo essere realistici. Il problema dei motori è significativo. Non posso aumentare l’esposizione in condizioni climatiche difficili come Medio Oriente o India. Non è il momento. Abbiamo convertito la maggior parte degli Xlr in A321neo. Se tra cinque anni la tecnologia migliorerà, torneremo da Airbus».
lberberi@corriere.it
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