Un altro dettaglio che a più di qualcuno non piacerà, ma che sembra inevitabile, lo rivela questo articolo:
Alitalia, ipotesi garanzia pubblica
per sbloccare la ricapitalizzazione
Allo studio un fondo da 200 milioni per le banche. La trattativa con il governo
di Fabio Savelli
Milano. servono quasi 200 milioni. Sono poco più della metà dei soldi necessari ad Alitalia di “capitale aggiuntivo” (400 milioni) messi nero su bianco dal commercialista Riccardo Ranalli, esperto di procedure concorsuali, che ha bollinato il piano industriale al termine dell’ultimo consiglio di amministrazione. Sono soldi necessari, di riserva, nel caso ci fosse un disallineamento tra quanto i vertici di Alitalia intendono risparmiare – un miliardo in tre anni – e quanto effettivamente si riuscirà a portare a termine, soprattutto in considerazione della delicatissima trattativa con i sindacati sugli interventi di riduzione del costo del lavoro. I primi 200 li avrebbe già garantiti Etihad. La parte restante – mantenendo lo schema azionario attuale che vede al 51% la compagine Cai (che vede tra i soci Intesa Sanpaolo, Unicredit e anche Poste Italiane) e al 49% la compagnia emiratina – prevederebbe che fossero proprio le banche a doversi impegnare. Ma sia Intesa Sanpaolo, sia Unicredit – dopo aver bruciato almeno mezzo miliardo da soci della compagnia – non intendono farlo. Fonti vicine al dossier ritengono ormai ineludibile l’intervento pubblico per evitare che Alitalia fallisca.
Non è ancora chiaro lo schema che verrà adottato. Ma è cominciata da giorni una trattativa ai massimi livelli istituzionali che vedrebbe coinvolto anche il premier Paolo Gentiloni, oltre che i ministri competenti, cioè Carlo Calenda allo Sviluppo e Graziano Delrio ai Trasporti. E coinvolgerebbe anche Pier Carlo Padoan al Tesoro. L’ipotesi, per ora sottotraccia, è che le banche possano impegnarsi mettendo liquidità soltanto conferendola in un fondo con la garanzia dello Stato. Così in caso di perdite sarebbe il Tesoro a coprire. Il fallimento di Alitalia, secondo fonti vicine al dossier, significherebbero un esborso per lo Stato di almeno 10 miliardi. Comporterebbe 7.500 esuberi sui 12mila dipendenti attuali. Avrebbe ripercussioni sociali enormi in termini di sussidi e di assegni di ricollocazione. Significherebbe un impatto sul Pil italiano di difficile quantificazione, perché è complicato calcolare l’effetto sull’export italiano e le ricadute sul turismo.
A complicare il quadro c’è la variabile tempo. La compagnia ha ancora un mese di sopravvivenza prima di bruciare tutta la cassa che ha disposizione, visto che dai rubinetti della compagnia continua a fuoriuscire quasi un milione al giorno a causa di un modello di business rivelatosi fallimentare. I ricavi della compagnia, 3 miliardi nel 2015, derivano per il 70% dal corto e medio raggio. Segmento che ha portato ad una perdita operativa di oltre 250 milioni nell’ultimo anno, perché travolto dalla concorrenza delle compagnie a basso costo. Il lungo raggio, responsabile soltanto del 30% del giro d’affari, non riesce a compensare. Sono solo 27 gli aerei di Alitalia in grado di volare su tratte intercontinentali. Nel progetto di rilancio ne sono stati messi in cantiere altri 8 (2 nei prossimi due anni, sei entro il 2021). I sindacati ritengono siano pochi per parlare di rilancio. Ma la complessità della ristrutturazione sta nel fatto che ogni tratta intercontinentale da lanciare prevede tra i 18 e i 24 mesi per diventare profittevole. Qualunque essa sia, se non forse le rotte verso gli Stati Uniti che hanno tempi di startup molto più veloci (6 mesi) per portare utili, ma Alitalia in questo caso è spalle al muro per far parte di una joint-venture che ingloba anche l’americana Delta Airlines che non ha interesse a consentire alla compagnia di lanciare la Roma-San Francisco, di andare a Los Angeles tutto l’anno, di raddoppiare la Roma-Miami ora a cadenza giornaliera.
L’esecutivo sta cercando di trovare una mediazione tra azienda e sindacati che hanno proclamato lo sciopero per il 5 aprile. I numeri del piano sono un colpo allo stomaco per i confederali: un sesto del personale in esubero, impiegati negli uffici e agli imbarchi, tagli in busta paga tra il 22 e il 32% in funzione del ruolo. La sensazione è che questi numeri difficilmente reggeranno alla prova dei fatti. Se reggessero Alitalia sarebbe pronta persino a diventare la pedina di un disegno più ampio che coinvolgerebbe, tramite Etihad, anche la tedesca Lufthansa.