Immaginate una pallosissima domenica mattina, in cui, oltre a fissare la vostra fetta biscottata ricoperta di marmellata, chiedendovi perché non ci avete messo anche un sottile strato di burro sotto, vi ritrovate a fissare senza motivo il calendario che è, sempre senza motivo, proprio aperto sul mese di aprile. E immaginate, sempre nella medesima pallosissima domenica mattina, di realizzare che quest’anno tra Pasqua, 25 aprile e 1 maggio, ci sono tanti di quei ponti che in ufficio sarà impossibile, dico impossibile, litigare per prendere ferie tutti quanti. Mano allo smartofono, mando un rapido uno-due di messaggi incrociati ai colleghi, con cui ci si mette d’accordo per un piano ferie ad hoc che meno di dieci minuti dopo viene inviato e pre-approvato via sms dal boss con un laconico “ok”, felice di farci far fuori un po’ di ferie arretrate. Io mi aggiudico i giorni prima del 1 maggio e, visto che era un po’ che mi solleticava l’idea di andare a Istanbul, decido di dare uno sguardo su Matrix per vedere cosa c’è di bello.
Air Serbia/JAT ultimamente mi viene fuori in quasi tutte le combinazioni, e non è da meno per il ponte del primo maggio; ha il prezzo migliore, nuovi aerei in operativo e orari davvero interessanti e competitivi con TK. Provando sul loro sito la tariffa viene confermata, per cui prenoto ancora prima di rendermi conto che il volo arriverà al Sabiha Gökçen invece che su Atatürk; bonus apprezzato i 30kg di bagaglio imbarcato anche in Y, praticamente potrà comprare tutto il gran bazaar. Turkish aveva una tariffa abbastanza simile (circa una trentina di € in più), però ero curioso di volare con qualcosa di un po’ più esotico, considerando che la compagnia di bandiera turca sta diventando piuttosto inflazionata e, soprattutto, quattro voli is megl che two, no?
Al momento della prenotazione, tutti e quattro i voli sono previsti con Airbus 319, quelli nuovi che sta ricevendo in questo periodo; un mese e mezzo prima, ricontrollando gli operativi, vedo che tutte e quattro le tratte saranno operate con un bel Boeing 737-300 vintage. Bene! I 733 stanno scomparendo abbastanza rapidamente dai cieli europei (solo una decina di compagnie di linea utilizzano ancora il modello, tra cui Lufthansa), meglio approfittarne finché ce ne sono. Non sarà certo eccitante come il DC10 Biman, ma meglio che il noioso 319...
Sulla ricevuta dell’eticket viene chiesto di rinconfermare con la compagnia i voli – credo che non vedessi una cosa simile dagli anni ’90 – tuttavia, dato che sul loro sito non sono riportati uffici in Italia (scoprirò poi dalla rivista di bordo che un ufficio c’è, a Roma), mando una mail, chiedendo anche se è confermato il 733 o se ci possa ancora essere un cambio sul 319. Non mi risponderanno direttamente ma mi invieranno solamente un nuovo eticket con la conferma del biglietto e il nuovo orario di partenza, posticipato di 10 minuti; il transito a Belgrado si riduce così a 55 minuti. A Monaco non è un problema, lo sarà a BEG?
Domenica mattina mi alzo presto, molto presto, faccio l’ennesima colazione a fette biscottate e marmellata (papaya e guaranà, una delizia), sempre senza burro, sai mai che vada in overweight e faccia abortire il decollo..., e mi reco direttamente a Cadorna con la metro per un veloce passaggio sul MXPExpress. Vado alle macchinette, deserte, e cerco di far sputare alla macchinetta un biglietto a/r, di quelli nuovi che valgono un mese. Macché! Dalle macchinette solo a/r in giornata, l’altro biglietto è un’offerta speciale acquistabile esclusivamente online, come indicato dai foglietti di carta appesi qui e là; devo dire che l’ennesimo colpo di genio lombardo/milanese è piuttosto brillante, ci si mettono davvero d’impegno per rendere il meno appetibile possibile quest’aeroporto. Primo vaffanc della giornata.
Compro allora un’andata singola, faccio per obliterare il biglietto per far aprire i tornelli e vedo uno dei tanti ragazzi tiratardi che hanno fatto la notte brava in città cercare di passarmi dietro. Ma scordatelo proprio! Gli tiro il trolley sulle rotule e lo spingo indietro, mi guarda e mi fa “Eh dai...” e io “Manco morto”. Purtroppo una rincoglionita due tornelli più in là lo fa passare con lo sguardo del “Oh povero ragazzo solo e abbandonato che non può tornare a casa, perso nella cattiva metropoli”. Secondo e terzo vaffanc della mattinata. Che città in decadenza.
Prendo posto sul solito Alstom Meridian, che questa mattina non sarà particolarmente pieno. È presto, oh se è presto...
In 36 minuti netti arriviamo a Malpensa stazione di Malpensa via Bovisa, Saronno e Busto Arsizio; passo una volta di più sotto l’orrida Soglia Magica (devo scoprire se c’è modo di bypassarla in qualche modo, porca miseria) e mi involo verso uno dei grandi ascensori di cristallo (cit.) prima che un’allegra comitiva di americani oversized consumi tutto lo spazio disponibile.
L’agendina del trip-reportista è ancora lì, per la gioia di grandi e piccini.
Air Serbia effettua il check-in all’isola 9, la prima a fianco alle scalinate che portavano nell’ex area rialzata con i ristoranti, area ora completamente chiusa per i lavori di rinnovamento. Anche il corridoio lato vetrate è chiuso: per andare verso la zona “sensibile” dove fanno c-in British, le americane ed El Al si può passare solo dal corridoio più vicino alle uscite del terminal. Il check-in è già aperto, con due banchi, anche se mancano un po’ più di due ore al volo; davanti a me c’è già una coppia, che fortunatamente non ha bagaglio imbarcato e si sbriga in due minuti. Consegno passaporto e ricevuta del biglietto elettronico e l’affabile ragazzo Sea Handling si blocca dopo tre secondi; appartenemente c’è un problema (ma nooo!). Vede la prenotazione a sistema per tutto il viaggio ma sembra che non sia stato emesso il biglietto per la seconda tratta (ignoro cosa voglia dire); chiede lumi al suo supervisor che è lì a fianco che dopo due nanosecondi e quattro decimi dichiara solenne che “non c’è niente da fare, dovrà rifare il check-in a Belgrado”. Io lo guardo. Lui mi guarda. Lo riguardo e gli dico: “Intende rifare il check-in uscendo e rientrando o solo ritirare la carta d’imbarco ai transiti? Sa, non è la stessa cosa in termini temporali...”. Interviene il ragazzo: “No, si figuri, basta che vada al banco transiti, o anche al gate, e le emettono la carta d’imbarco”. L’odio si diffonde sul volto del supervisor. Il bagaglio invece sarà through-checked fino a Istanbul.
Espletate le formalità, c’è tanto tempo per un po’ di sano spotting dalle vetrate – ovviamente il tempo fa schifo. Come al solito, la reflex rimane bella tranquilla nello zainetto a riposare, l’orridume qui sotto è tutta opera della compattina scassata.
Dato che imbarcheremo dal dito, tanto vale continuare a vedere cosa c’è fuori direttamente dal satellite B. Scendo al piano di sotto per i controlli di sicurezza, dove c’è una coda discreta ma scorrevole e subito dopo a quella per i controlli passaporti. Consegno il passaporto e il poliziotto mi chiede la carta d’identità. “Qual è la sua destinazione finale?” mi chiede. “Istanbul via Belgrado”, rispondo. “Lei lo sa che non può usare il suo passaporto, vero? Manca la marca da bollo”. Cacchio. Ha ragione, mi ero completamente scordato che Serbia e Turchia non sono Schengen. Faccio spallucce, ringrazio per avermelo ricordato ed mi dirigo verso il satellite B passando per l’area duty free, uguale a quella delle partenze Schengen, a parte lo store Ferrari che vende pezzi arrugginiti in carbonio per migliaia di euro (ma c’è davvero qualcuno che compra ‘ste robe?!). La zona verso la lounge Montale è un cantiere, ma si vede già il pavimento nuovo. Il granigliato nero ha i giorni contati. Bene.
Un 77F di Qatar intanto si fa tutta la taxi verso la CargoCity. La mattina mi sembra movimentata, è l’orario in cui Malpensa si ricorda ancora di essere un aeroporto intercontinentale.
Memorie di un hub da 60 widebodies.
Già pronti per volare via ci sono tutte le americane: Delta per New York, American per New York, United per New York; per non farci mancare nulla, c’è anche Alitalia, per New York; tutte le destinazioni, purché siano New York, parafrasando Henry Ford. Dal finger vedrò arrivare il Miami di American nei colori nuovi, ho quasi uno svenimento perché pronunciare Mi-a-mi dopo tutti quei New York diventa difficile.
Nel frattempo ha diluviato un paio di volte.
L’omino che comanda il finger non riusciva ad allinearlo, avrà fatto due dozzine di tentativi e per un attimo ho temuto di vedere quanto è resistente la carlinga di un 767.
Intanto è arrivato il nostro bolide, un 737/300 che aggiunge un nuovo significato al termine eurowhite. Oggi voleremo con YU-AOV, un giovanotto di 22 anni, entrato in linea originariamente con Varig.
Tratta: MXP-BEG
Volo: JU541
Aereo: Boeing 737-341
MSN: 26852
LN: 2273
Reg: YU-AOV
Primo volo: 15/04/1992
Consegnato il: 27/10/2013
Posto: 10F
Gate: B9
Sched dep: 9.40
Sched boarding: 8.55
Boarding: 9.15
Block-off: 9.45
Take-off: 10.02
Sched arr: 11.20
Landing: ...
Block-in: 11.34
L’imbarco inizia in ritardo di circa 20 minuti; non c’è priorità per i passeggeri di J o FF. Faccio smaltire un po’ la fila prima di alzarmi; non che ci voglia molto, dato il volo sarà pieno per poco più di metà. Ad accogliere i passeggeri sulla porta c’è il purser, Milomir, e la bellissima Jelena, 175 cm di grazia, capelli neri, occhi marroni profondissimi, pelle bianca come una rosa, dei lineamenti fini e nobili come una porcellana di Meißen. Mi sono innamorato. Più indietro ci sarà anche Susan, bionda, meno bella di Jelena ma non meno cortese. Tutte le donne hanno un’acconciatura con chignon e portano un cappellino per la durata dell’imbarco e dello sbarco; la mano dell’emiro appare evidente. Ma il ricordo di Jelena mi distrae dai miei doveri.
La porta del cockpit è aperta e do un occhio al tripudio di lancette e orologi del nostro 737Classic. L’imbarco è abbastanza veloce e presto si sente il familiare boarding completed. I due posti a fianco a me rimarranno vuoti, così come quelli della ragazza seduta al 10A. Molto bene. La cabina è abbastanza in ordine, l’aereo certo risente dell’età e i sedili, in pelle grigia, non sono proprio di primo pelo; non ci sono file dedicate alla J, anche se forse hanno bloccato i posti centrali delle prime due file, dato che sono gli unici che hanno dei cuscini rossi. Tutti gli altri posti hanno invece dei morbidi cuscini bianchi con il caratteristico ghirigori grigio del logo Air Serbia; mi pare abbastanza inusuale la presenza di cuscini su un volo di un’ora e mezza, ma l’aggiunta è gradita per i pax sonnacchiosi, cioè praticamente tutti.
Il nostro vicino di stand è il 764 di United, dall’altra parte ci sarà il 763 di AA per Miami nella nuova livrea.
Boarding complete, il dispatcher esce e in attimo sblocchiamo dal finger e facciamo push-back; ha smesso di piovere, anche se i nuvoloni neri sopra l’aeroporto promettono un decollo affatto tranquillo. La demo di sicurezza, interamente manuale, viene fatta in serbo e in inglese. Jelena è lì davanti. Non ho mai visto i passeggeri di genere maschile stare così attenti ad una safery demo

Taxiamo verso la 35R, passando per la CargoCity e i remoti; fresco di verniciatura c’è anche il 763 Meridiana, che, devo dire, fa la sua porca figura, anche se è uno scassoplano dentro.
Siamo i primi in attesa in decollo, ma non prima di aver fatto atterrare tre arancioni. Intanto il tempo per il mio transito diminuisce, diminuisce...
Arrivati in testata pista (finalmente!) ci fermiamo. Motori su di giri e via! Che bella spinta, i piccoli CFM56-3B2; l’acqua sul finestrino diventa prima un rigagnolo uniforme e poi un ricordo, V1, Vr, V2 e siamo in aria, con un sacco di condensa che si forma attorno ai flaps e sull’ala (purtroppo non ho avuto la prontezza di fotografarli...). Traballiamo un po’, un bel po’; facciamo una piroetta e, in mezzo alle nubi, perdo l’orientamento; ma appena buchiamo lo spesso strato nuvoloso il volo diventa tranquillo e confortevole.
L’unico inconveniente è la temperatura della cabina, che sarà di circa 15 gradi sottozero (la bella Jelena spiegherà alla ragazza mia dirimpettaia che è così per il decollo e l’atterraggio. In quota infatti la temperatura diventerà simile a quello di una serra tropicale). Appena si spegne il segnale di tenere le cinture allacciate, parte il servizio, che consiste in un sacchettino di carta, brandizzato con il logo Air Serbia, contenente un panino, uno snack dolce, una bottiglietta d’acqua e tazza di carta per le bevande calde, zucchero/stecchino/stuzzicadente/tovagliolo e salviettina, e un passaggio di bevande calde/fredde da trolley, incluse bevande alcoliche e super alcolici.
Il panino (manzo affumicato, formaggio e un velo di una salsa dolciastra che ricorda la senape), lievemente più grosso della media di quelli che servono sulla maggior parte dei voli, è abbastanza sostanzioso e oserei dire anche buono, anche se detto da me... Anche il dolcetto, aromatizzato alla banana e cacao, non è male, peccato che sia più unto di un panetto di burro. Da bere prendo un succo alla mela, tutt’intorno a me sarà invece un click-pop di lattine di birra (a bordo sia un marchio locale, che non sono riuscito a leggere, che Heineken).
Fuori il mondo sarà avvolto da una coperta bianca. Passerò la maggior parte del tempo a leggere la rivista di bordo, molto focalizzata sulla Serbia come destinazione turistica e con consistenti spot pubblicitari su Etihad. Il comandante fornirà un po’ di indicazioni su rotta, quota e velocità. Quello che mi ha stupito, positivamente, è il volume e la chiarezza degli annunci; in genere sono dei buzzzzz’reoverflyingstocazzenburgatbzzzaazthousandfeetburrrzzzznksforflyingwithusscrrrpppzz semi incomprensibili, che neanche i miei colleghi scozzesi quando bestemmiano si capisce così poco. L’equipaggio passerà un paio di volte a controllare che tutto sia a posto; il gruppo è affiatato e la cosa, quando capita, si vede sempre. In più, questo è un ottimo equipaggio e due righe di elogio le scriverò una volta tornato a Milano.
Come potete notare da questa foto, ci sono due tipi di sedili diversi installati su questo 733
Poco prima di iniziare la discesa, l’equipaggio passa a ritirare il rubbish.
Touch down, biancheria e reverse
Rulliamo fino al primo raccordo disponibile e sfiliamo di fronte ai nuovi padroni, prima di attraccare al nostro dito.
In un attimo veniamo agganciati e il purser si raccomanda di tenere le cinture allacciate fino allo spegnimento del segnale (cosa che avverrà! Mi commuovo); lo stesso comunica ai passeggeri in transito la posizione del banco apposito; recupero le mie cose, saluto l’equipaggio e chiedo se l’aereo per Istanbul sarà lo stesso, dato che ne ho il sospetto. Confermano e allora li risaluto con un “See you in a couple of minutes” (ma soprattutto rivedrò la splendida Jelena?) e mi fiondo al banco transiti per andare a prendere la mia carta d’imbarco (che era già pronta), dove l’addetto mi chiede se avessi imbarcato il bagaglio. Lo guardo sospettoso e gli confermo che non solo è stato imbarcato, ma che dovrebbe anche essere stato checkato fino alla destinazione finale: gli mostro la ricevuta e gli chiedo se ci fossero problemi. Sento un mormorio in serbo che non promette nulla di buono e lo vedo digitare sulla tastiera, mi ridà la carta d’imbarco e mi augura buon volo. Non gli chiedo che fine farà il mio bagaglio, ma ho un sospetto...
Visto che il mio volo è in ritardo, lo sarà anche la seconda tratta; ne approfitto per una pausa bagno. L’aeroporto di Belgrado è abbastanza piccolo e da un punto all’altro credo ci vogliano meno di dieci minuti totali a passo medio/lento. La parte rinnovata è piuttosto carina, luminosa, nulla di trascendentale ma assolutamente degna del mondo civile. Purtroppo i gate sono dei cubicoli a cui si accede previo controllo di sicurezza e, una volta dentro, si sta dentro finché non inizia l’imbarco. Scopro in questo momento che il mio posto per la tratta seguente sarà un orrido corridoio. Ci provo al gate ma la signorina mi risponde che il volo è pieno.
Di straforo, col telefonino:
Tratta: BEG-SAW
Volo: JU552
Aereo: Boeing 737-341
MSN: 26852
LN: 2273
Reg: YU-AOV
Primo volo: 15/04/1992
Consegnato il: 27/10/2013
Posto: 16C
Gate: A4
Sched dep: 12.15
Sched boarding: in ritardo
Boarding: in ritardo
Block-off: in ritardo
Take-off: in ritardo
Sched arr: 14.55
Landing: in ritardo
Block-in: in ritardo
La stanzetta dove siamo ha abbastanza spazio per accomodare tutti, e quasi tutti seduti; per fortuna l’imbarco viene chiamato dopo poche decine di minuti dal momento in cui entro.
Salendo a bordo, saluto nuovamente l’equipaggio appena lasciato – Jelena si ricorda di me! O almeno finge benissimo. Mi dirigo al mio 16C, i due posti a fianco sono già occupati e continuo a guardarmi in giro sperando che un finestrino rimanga libero, magari un no-show... Purtroppo, anche dopo aver annunciato la chiusura dell’imbarco, non ce ne sarà neppure uno: il volo è davvero pieno.
Come all’andata, si congela fino al raggiungimento dello stato cianotico. Una volta sbloccati dal dito, parte la dimostrazione di sicurezza. Milomir, che è ancora il purser, forse consapevole che il pubblico che ha di fronte è meno attento del volo precedente, conduce la demo in modo molto spiritoso, inframezzandola di battute (In case of a sudden loss of cabin pressure, oxygen masks will drop automatically from the panel above your head; feel free to shout, then pull the mask towards your mouth and nose and breath normally). La cabina apprezza, così c’è spazio per un bis (Life jackets of our Air Serbia collection spring-summer 2014 can be found in the bin above your seat) e per il gran finale (If you paid attention to this safety demonstration, we wish you a safe and pleasant journey; if you didn’t, we wish you good luck). Questo è un equipaggio coi fiocchi.
Il decollo è brioso come nella prima tratta, e il volo è in pratica una linea retta, tanto che, questa volta, arriviamo in quota molto in fretta e il servizio inizia poco dopo il decollo; servizio che è una replica di quello dell’andata, anche se il catering è diverso: questa volta viene proposto un panino vegetariano con feta (o qualcosa di simile), pomodoro e cetriolo, e come dolce il medenjaci, un biscotto morbido dal sapore simile ad un pan di zenzero con molta cannella, il tutto racchiuso nel solito sacchetto di carta. Da bere prendo un te caldo con extra zucchero.
Jelena in servizio
La fase post prandiale del volo contempla una pennica fino all’avvicinamento a SAW; da quello che vedo dal finestrino a due posti da me, siamo sopra, in mezzo, e poi sotto, ad un unico tappeto bianco latte che ricopre tutta la zona balcanica, penisola anatolica inclusa. Non piove, ma tiriamo una botta notevole; i freni fanno un rumore non proprio incoraggiante, ma tanto ormai siamo con le ruote a terra per cui non mi preoccupo
Attracchiamo ad un finger in mezzo ad una selva di Pegasus Airlines. La camminata fino alla postazione di controllo dei passaporti non richiede moltissimo tempo; stupidamente, invece della carta d’identità, consegno il passaporto che 1) causa le solite perplessità causa vistoso danneggiamento nei pressi della fotografia, unito al deciso cambio di connotati rispetto alla data di emissione nove anni prima 2) lo stesso viene ovviamente timbrato e datato.
Subito dopo il controllo passaporti si trovano i caroselli per il ritiro dei bagagli. I primi escono abbastanza velocemente. Tutti escono abbastanza velocemente. Dov’è il mio? Aspetto altri cinque minuti dopo che l’ultimo è stato riconsegnato e mi dirigo al Lost&Found, dove però, tra i vari handler, non risulta nessuno che gestisca Air Serbia o JAT che di si voglia. Fermo la prima persona che trovo con un badge, che fortunosamente lavora per Celebi, apparentemente l’handler corretto. Mi porta ai loro uffici; mi fotocopiano di tutto e ci manca poco che mi chiedono l’impronta digitale e la scansione dell’iride. Metà dei loro addetti non parla inglese, l’altra metà poco e male. Mi fanno scrivere e firmare la denuncia di mancata riconsegna, incluso elenco di effetti imbarcati (e chi si ricorda tutto quello che c’è dentro!) e mi riconsegnano copia del PIR. Chiedo quando saprò notizie del mio bagaglio: dicono che lo consegnano domani in aeroporto e che potrei andare a prenderlo direttamente; li guardo imbufalito e gli dico che l’hotel è a un’ora e mezza da lì e che la riconsegna dovrà avvenire in hotel a cura del vettore o dell’handler.
Senza altro da poter fare, esco e mi trovo in una scena piuttosto pittoresca da cartolina sbiadita: decine (centinaia!) di persone ad attendere amici e parenti; decine (centinaia!) di donne più o meno vecchie, con il velo, che abbracciano piangendo parenti lontani e gruppi familiari che si ricongiungono dopo un’odissea (un volo di un paio d’ore); una dozzina di agenti della Polis che cercano di far sgombrare le persone in attesa al varco di uscita dalla zona sterile, chiaramente senza successo. Partiamo bene
Vado al primo bancomat che vedo per ritirare un po’ di contante. La carta non funziona. Vado al secondo. Idem. Pure al terzo e al quarto. Al quindi ci rinuncio perché appare la scritta temuta: la carta è smagnetizzata. Questo problema l’ho già avuto in passato; dato che non ho voglia di farmi estorcere commissioni da rapina sull’anticipo contante con la carta di credito, almeno per il momento, vado a farmi cambiare un po’ di euro in lire turche presso uno sportello di Garanti Bank; appena visto il conto, tra cambio ad cazzum e commissione, cambierò idea al prossimo prelievo: Visa e MasterCard, al confronto, fanno beneficienza. Esco in mezzo al marasma pecoroso, prendendomi un trolley sulle caviglie, alla ricerca del bus Havatas che in un’ora circa mi porterà a Taksim. Sono di fronte a me. Il casotto per la vendita dei biglietti è chiuso; chiedo all’autista e mi dice di salire.
E il biglietto? On board, later, my friend. Tutti ti chiamano my friend. Boh.
Da Taksim devo ancora arrivare a Sirkeci, dove ho l’hotel; non avendo voglia di provare subito il giro funicolare-tram, prendo un taxi, ahimé il primo che trovo (mi avevano detto: tanto costano poco i taxi!). Infatti il simpatico tassista parte a razzo, senza accendere il tassametro, e chiama l’hotel perché non sa arrivarci. Inizio a chiedere del tassamentro e il gioviale tassista, che fino ad un attimo prima sembrava Shakespeare, diventa no spik inglisc. Arriviamo così a contrattare il costo della corsa, anche se non riesco a scendere sotto le 35 lire turche (circa 12€, praticamente un furto) per i cinque kilometri che mi portano sulla sponda opposta del Corno d’Oro, a pochi passi da Aghia Sophia; gettarsi dal taxi in corsa non è un'opzione, anche perché il dannato tira come un pazzo. Ho un mal di testa terribile, ma il ladro accende pure l’autoradio da 2000 watt su una stazione radio che trasmette musica turca tamarra di discoteca, mancavano i neon ed eravamo a posto.
Giunto finalmente a destinazione, entro in hotel per fare il check-in e avviso la reception che domani dovrebbero consegnare il mio bagaglio e chiedo al portiere se conosce un negozio di vestiti nei paraggi; proprio lì a fianco c’è un negozio che vende roba casual-ggiovane (perché io sono ancora gggiovane dentro), prendo un cambio per l’indomani e speriamo che la spesa in vestiario finisca qui. Mi viene pure in mente che ho stupidamente lasciato nel bagaglio imbarcato le pastiglie per il mal di stomaco, che visto l’inizio di vacanza proprio non mi servono. Doccia, giretto in centro, cena e poi a nanna, che la giornata è stata lunga e da domani si cammina, tanto.
Continua nei prossimi giorni con un OT limitato e coadiuvato da un po’ di IT involontario.
DaV
Air Serbia/JAT ultimamente mi viene fuori in quasi tutte le combinazioni, e non è da meno per il ponte del primo maggio; ha il prezzo migliore, nuovi aerei in operativo e orari davvero interessanti e competitivi con TK. Provando sul loro sito la tariffa viene confermata, per cui prenoto ancora prima di rendermi conto che il volo arriverà al Sabiha Gökçen invece che su Atatürk; bonus apprezzato i 30kg di bagaglio imbarcato anche in Y, praticamente potrà comprare tutto il gran bazaar. Turkish aveva una tariffa abbastanza simile (circa una trentina di € in più), però ero curioso di volare con qualcosa di un po’ più esotico, considerando che la compagnia di bandiera turca sta diventando piuttosto inflazionata e, soprattutto, quattro voli is megl che two, no?
Al momento della prenotazione, tutti e quattro i voli sono previsti con Airbus 319, quelli nuovi che sta ricevendo in questo periodo; un mese e mezzo prima, ricontrollando gli operativi, vedo che tutte e quattro le tratte saranno operate con un bel Boeing 737-300 vintage. Bene! I 733 stanno scomparendo abbastanza rapidamente dai cieli europei (solo una decina di compagnie di linea utilizzano ancora il modello, tra cui Lufthansa), meglio approfittarne finché ce ne sono. Non sarà certo eccitante come il DC10 Biman, ma meglio che il noioso 319...

Sulla ricevuta dell’eticket viene chiesto di rinconfermare con la compagnia i voli – credo che non vedessi una cosa simile dagli anni ’90 – tuttavia, dato che sul loro sito non sono riportati uffici in Italia (scoprirò poi dalla rivista di bordo che un ufficio c’è, a Roma), mando una mail, chiedendo anche se è confermato il 733 o se ci possa ancora essere un cambio sul 319. Non mi risponderanno direttamente ma mi invieranno solamente un nuovo eticket con la conferma del biglietto e il nuovo orario di partenza, posticipato di 10 minuti; il transito a Belgrado si riduce così a 55 minuti. A Monaco non è un problema, lo sarà a BEG?
Domenica mattina mi alzo presto, molto presto, faccio l’ennesima colazione a fette biscottate e marmellata (papaya e guaranà, una delizia), sempre senza burro, sai mai che vada in overweight e faccia abortire il decollo..., e mi reco direttamente a Cadorna con la metro per un veloce passaggio sul MXPExpress. Vado alle macchinette, deserte, e cerco di far sputare alla macchinetta un biglietto a/r, di quelli nuovi che valgono un mese. Macché! Dalle macchinette solo a/r in giornata, l’altro biglietto è un’offerta speciale acquistabile esclusivamente online, come indicato dai foglietti di carta appesi qui e là; devo dire che l’ennesimo colpo di genio lombardo/milanese è piuttosto brillante, ci si mettono davvero d’impegno per rendere il meno appetibile possibile quest’aeroporto. Primo vaffanc della giornata.
Compro allora un’andata singola, faccio per obliterare il biglietto per far aprire i tornelli e vedo uno dei tanti ragazzi tiratardi che hanno fatto la notte brava in città cercare di passarmi dietro. Ma scordatelo proprio! Gli tiro il trolley sulle rotule e lo spingo indietro, mi guarda e mi fa “Eh dai...” e io “Manco morto”. Purtroppo una rincoglionita due tornelli più in là lo fa passare con lo sguardo del “Oh povero ragazzo solo e abbandonato che non può tornare a casa, perso nella cattiva metropoli”. Secondo e terzo vaffanc della mattinata. Che città in decadenza.
Prendo posto sul solito Alstom Meridian, che questa mattina non sarà particolarmente pieno. È presto, oh se è presto...

In 36 minuti netti arriviamo a Malpensa stazione di Malpensa via Bovisa, Saronno e Busto Arsizio; passo una volta di più sotto l’orrida Soglia Magica (devo scoprire se c’è modo di bypassarla in qualche modo, porca miseria) e mi involo verso uno dei grandi ascensori di cristallo (cit.) prima che un’allegra comitiva di americani oversized consumi tutto lo spazio disponibile.



L’agendina del trip-reportista è ancora lì, per la gioia di grandi e piccini.
Air Serbia effettua il check-in all’isola 9, la prima a fianco alle scalinate che portavano nell’ex area rialzata con i ristoranti, area ora completamente chiusa per i lavori di rinnovamento. Anche il corridoio lato vetrate è chiuso: per andare verso la zona “sensibile” dove fanno c-in British, le americane ed El Al si può passare solo dal corridoio più vicino alle uscite del terminal. Il check-in è già aperto, con due banchi, anche se mancano un po’ più di due ore al volo; davanti a me c’è già una coppia, che fortunatamente non ha bagaglio imbarcato e si sbriga in due minuti. Consegno passaporto e ricevuta del biglietto elettronico e l’affabile ragazzo Sea Handling si blocca dopo tre secondi; appartenemente c’è un problema (ma nooo!). Vede la prenotazione a sistema per tutto il viaggio ma sembra che non sia stato emesso il biglietto per la seconda tratta (ignoro cosa voglia dire); chiede lumi al suo supervisor che è lì a fianco che dopo due nanosecondi e quattro decimi dichiara solenne che “non c’è niente da fare, dovrà rifare il check-in a Belgrado”. Io lo guardo. Lui mi guarda. Lo riguardo e gli dico: “Intende rifare il check-in uscendo e rientrando o solo ritirare la carta d’imbarco ai transiti? Sa, non è la stessa cosa in termini temporali...”. Interviene il ragazzo: “No, si figuri, basta che vada al banco transiti, o anche al gate, e le emettono la carta d’imbarco”. L’odio si diffonde sul volto del supervisor. Il bagaglio invece sarà through-checked fino a Istanbul.
Espletate le formalità, c’è tanto tempo per un po’ di sano spotting dalle vetrate – ovviamente il tempo fa schifo. Come al solito, la reflex rimane bella tranquilla nello zainetto a riposare, l’orridume qui sotto è tutta opera della compattina scassata.



Dato che imbarcheremo dal dito, tanto vale continuare a vedere cosa c’è fuori direttamente dal satellite B. Scendo al piano di sotto per i controlli di sicurezza, dove c’è una coda discreta ma scorrevole e subito dopo a quella per i controlli passaporti. Consegno il passaporto e il poliziotto mi chiede la carta d’identità. “Qual è la sua destinazione finale?” mi chiede. “Istanbul via Belgrado”, rispondo. “Lei lo sa che non può usare il suo passaporto, vero? Manca la marca da bollo”. Cacchio. Ha ragione, mi ero completamente scordato che Serbia e Turchia non sono Schengen. Faccio spallucce, ringrazio per avermelo ricordato ed mi dirigo verso il satellite B passando per l’area duty free, uguale a quella delle partenze Schengen, a parte lo store Ferrari che vende pezzi arrugginiti in carbonio per migliaia di euro (ma c’è davvero qualcuno che compra ‘ste robe?!). La zona verso la lounge Montale è un cantiere, ma si vede già il pavimento nuovo. Il granigliato nero ha i giorni contati. Bene.



Un 77F di Qatar intanto si fa tutta la taxi verso la CargoCity. La mattina mi sembra movimentata, è l’orario in cui Malpensa si ricorda ancora di essere un aeroporto intercontinentale.


Memorie di un hub da 60 widebodies.
Già pronti per volare via ci sono tutte le americane: Delta per New York, American per New York, United per New York; per non farci mancare nulla, c’è anche Alitalia, per New York; tutte le destinazioni, purché siano New York, parafrasando Henry Ford. Dal finger vedrò arrivare il Miami di American nei colori nuovi, ho quasi uno svenimento perché pronunciare Mi-a-mi dopo tutti quei New York diventa difficile.

Nel frattempo ha diluviato un paio di volte.

L’omino che comanda il finger non riusciva ad allinearlo, avrà fatto due dozzine di tentativi e per un attimo ho temuto di vedere quanto è resistente la carlinga di un 767.
Intanto è arrivato il nostro bolide, un 737/300 che aggiunge un nuovo significato al termine eurowhite. Oggi voleremo con YU-AOV, un giovanotto di 22 anni, entrato in linea originariamente con Varig.

Tratta: MXP-BEG
Volo: JU541
Aereo: Boeing 737-341
MSN: 26852
LN: 2273
Reg: YU-AOV
Primo volo: 15/04/1992
Consegnato il: 27/10/2013
Posto: 10F
Gate: B9
Sched dep: 9.40
Sched boarding: 8.55
Boarding: 9.15
Block-off: 9.45
Take-off: 10.02
Sched arr: 11.20
Landing: ...
Block-in: 11.34



L’imbarco inizia in ritardo di circa 20 minuti; non c’è priorità per i passeggeri di J o FF. Faccio smaltire un po’ la fila prima di alzarmi; non che ci voglia molto, dato il volo sarà pieno per poco più di metà. Ad accogliere i passeggeri sulla porta c’è il purser, Milomir, e la bellissima Jelena, 175 cm di grazia, capelli neri, occhi marroni profondissimi, pelle bianca come una rosa, dei lineamenti fini e nobili come una porcellana di Meißen. Mi sono innamorato. Più indietro ci sarà anche Susan, bionda, meno bella di Jelena ma non meno cortese. Tutte le donne hanno un’acconciatura con chignon e portano un cappellino per la durata dell’imbarco e dello sbarco; la mano dell’emiro appare evidente. Ma il ricordo di Jelena mi distrae dai miei doveri.
La porta del cockpit è aperta e do un occhio al tripudio di lancette e orologi del nostro 737Classic. L’imbarco è abbastanza veloce e presto si sente il familiare boarding completed. I due posti a fianco a me rimarranno vuoti, così come quelli della ragazza seduta al 10A. Molto bene. La cabina è abbastanza in ordine, l’aereo certo risente dell’età e i sedili, in pelle grigia, non sono proprio di primo pelo; non ci sono file dedicate alla J, anche se forse hanno bloccato i posti centrali delle prime due file, dato che sono gli unici che hanno dei cuscini rossi. Tutti gli altri posti hanno invece dei morbidi cuscini bianchi con il caratteristico ghirigori grigio del logo Air Serbia; mi pare abbastanza inusuale la presenza di cuscini su un volo di un’ora e mezza, ma l’aggiunta è gradita per i pax sonnacchiosi, cioè praticamente tutti.



Il nostro vicino di stand è il 764 di United, dall’altra parte ci sarà il 763 di AA per Miami nella nuova livrea.

Boarding complete, il dispatcher esce e in attimo sblocchiamo dal finger e facciamo push-back; ha smesso di piovere, anche se i nuvoloni neri sopra l’aeroporto promettono un decollo affatto tranquillo. La demo di sicurezza, interamente manuale, viene fatta in serbo e in inglese. Jelena è lì davanti. Non ho mai visto i passeggeri di genere maschile stare così attenti ad una safery demo



Taxiamo verso la 35R, passando per la CargoCity e i remoti; fresco di verniciatura c’è anche il 763 Meridiana, che, devo dire, fa la sua porca figura, anche se è uno scassoplano dentro.


Siamo i primi in attesa in decollo, ma non prima di aver fatto atterrare tre arancioni. Intanto il tempo per il mio transito diminuisce, diminuisce...
Arrivati in testata pista (finalmente!) ci fermiamo. Motori su di giri e via! Che bella spinta, i piccoli CFM56-3B2; l’acqua sul finestrino diventa prima un rigagnolo uniforme e poi un ricordo, V1, Vr, V2 e siamo in aria, con un sacco di condensa che si forma attorno ai flaps e sull’ala (purtroppo non ho avuto la prontezza di fotografarli...). Traballiamo un po’, un bel po’; facciamo una piroetta e, in mezzo alle nubi, perdo l’orientamento; ma appena buchiamo lo spesso strato nuvoloso il volo diventa tranquillo e confortevole.

L’unico inconveniente è la temperatura della cabina, che sarà di circa 15 gradi sottozero (la bella Jelena spiegherà alla ragazza mia dirimpettaia che è così per il decollo e l’atterraggio. In quota infatti la temperatura diventerà simile a quello di una serra tropicale). Appena si spegne il segnale di tenere le cinture allacciate, parte il servizio, che consiste in un sacchettino di carta, brandizzato con il logo Air Serbia, contenente un panino, uno snack dolce, una bottiglietta d’acqua e tazza di carta per le bevande calde, zucchero/stecchino/stuzzicadente/tovagliolo e salviettina, e un passaggio di bevande calde/fredde da trolley, incluse bevande alcoliche e super alcolici.

Il panino (manzo affumicato, formaggio e un velo di una salsa dolciastra che ricorda la senape), lievemente più grosso della media di quelli che servono sulla maggior parte dei voli, è abbastanza sostanzioso e oserei dire anche buono, anche se detto da me... Anche il dolcetto, aromatizzato alla banana e cacao, non è male, peccato che sia più unto di un panetto di burro. Da bere prendo un succo alla mela, tutt’intorno a me sarà invece un click-pop di lattine di birra (a bordo sia un marchio locale, che non sono riuscito a leggere, che Heineken).



Fuori il mondo sarà avvolto da una coperta bianca. Passerò la maggior parte del tempo a leggere la rivista di bordo, molto focalizzata sulla Serbia come destinazione turistica e con consistenti spot pubblicitari su Etihad. Il comandante fornirà un po’ di indicazioni su rotta, quota e velocità. Quello che mi ha stupito, positivamente, è il volume e la chiarezza degli annunci; in genere sono dei buzzzzz’reoverflyingstocazzenburgatbzzzaazthousandfeetburrrzzzznksforflyingwithusscrrrpppzz semi incomprensibili, che neanche i miei colleghi scozzesi quando bestemmiano si capisce così poco. L’equipaggio passerà un paio di volte a controllare che tutto sia a posto; il gruppo è affiatato e la cosa, quando capita, si vede sempre. In più, questo è un ottimo equipaggio e due righe di elogio le scriverò una volta tornato a Milano.

Come potete notare da questa foto, ci sono due tipi di sedili diversi installati su questo 733






Poco prima di iniziare la discesa, l’equipaggio passa a ritirare il rubbish.


Touch down, biancheria e reverse

Rulliamo fino al primo raccordo disponibile e sfiliamo di fronte ai nuovi padroni, prima di attraccare al nostro dito.


In un attimo veniamo agganciati e il purser si raccomanda di tenere le cinture allacciate fino allo spegnimento del segnale (cosa che avverrà! Mi commuovo); lo stesso comunica ai passeggeri in transito la posizione del banco apposito; recupero le mie cose, saluto l’equipaggio e chiedo se l’aereo per Istanbul sarà lo stesso, dato che ne ho il sospetto. Confermano e allora li risaluto con un “See you in a couple of minutes” (ma soprattutto rivedrò la splendida Jelena?) e mi fiondo al banco transiti per andare a prendere la mia carta d’imbarco (che era già pronta), dove l’addetto mi chiede se avessi imbarcato il bagaglio. Lo guardo sospettoso e gli confermo che non solo è stato imbarcato, ma che dovrebbe anche essere stato checkato fino alla destinazione finale: gli mostro la ricevuta e gli chiedo se ci fossero problemi. Sento un mormorio in serbo che non promette nulla di buono e lo vedo digitare sulla tastiera, mi ridà la carta d’imbarco e mi augura buon volo. Non gli chiedo che fine farà il mio bagaglio, ma ho un sospetto...
Visto che il mio volo è in ritardo, lo sarà anche la seconda tratta; ne approfitto per una pausa bagno. L’aeroporto di Belgrado è abbastanza piccolo e da un punto all’altro credo ci vogliano meno di dieci minuti totali a passo medio/lento. La parte rinnovata è piuttosto carina, luminosa, nulla di trascendentale ma assolutamente degna del mondo civile. Purtroppo i gate sono dei cubicoli a cui si accede previo controllo di sicurezza e, una volta dentro, si sta dentro finché non inizia l’imbarco. Scopro in questo momento che il mio posto per la tratta seguente sarà un orrido corridoio. Ci provo al gate ma la signorina mi risponde che il volo è pieno.
Di straforo, col telefonino:



Tratta: BEG-SAW
Volo: JU552
Aereo: Boeing 737-341
MSN: 26852
LN: 2273
Reg: YU-AOV
Primo volo: 15/04/1992
Consegnato il: 27/10/2013
Posto: 16C
Gate: A4
Sched dep: 12.15
Sched boarding: in ritardo
Boarding: in ritardo
Block-off: in ritardo
Take-off: in ritardo
Sched arr: 14.55
Landing: in ritardo
Block-in: in ritardo

La stanzetta dove siamo ha abbastanza spazio per accomodare tutti, e quasi tutti seduti; per fortuna l’imbarco viene chiamato dopo poche decine di minuti dal momento in cui entro.
Salendo a bordo, saluto nuovamente l’equipaggio appena lasciato – Jelena si ricorda di me! O almeno finge benissimo. Mi dirigo al mio 16C, i due posti a fianco sono già occupati e continuo a guardarmi in giro sperando che un finestrino rimanga libero, magari un no-show... Purtroppo, anche dopo aver annunciato la chiusura dell’imbarco, non ce ne sarà neppure uno: il volo è davvero pieno.
Come all’andata, si congela fino al raggiungimento dello stato cianotico. Una volta sbloccati dal dito, parte la dimostrazione di sicurezza. Milomir, che è ancora il purser, forse consapevole che il pubblico che ha di fronte è meno attento del volo precedente, conduce la demo in modo molto spiritoso, inframezzandola di battute (In case of a sudden loss of cabin pressure, oxygen masks will drop automatically from the panel above your head; feel free to shout, then pull the mask towards your mouth and nose and breath normally). La cabina apprezza, così c’è spazio per un bis (Life jackets of our Air Serbia collection spring-summer 2014 can be found in the bin above your seat) e per il gran finale (If you paid attention to this safety demonstration, we wish you a safe and pleasant journey; if you didn’t, we wish you good luck). Questo è un equipaggio coi fiocchi.

Il decollo è brioso come nella prima tratta, e il volo è in pratica una linea retta, tanto che, questa volta, arriviamo in quota molto in fretta e il servizio inizia poco dopo il decollo; servizio che è una replica di quello dell’andata, anche se il catering è diverso: questa volta viene proposto un panino vegetariano con feta (o qualcosa di simile), pomodoro e cetriolo, e come dolce il medenjaci, un biscotto morbido dal sapore simile ad un pan di zenzero con molta cannella, il tutto racchiuso nel solito sacchetto di carta. Da bere prendo un te caldo con extra zucchero.



Jelena in servizio

La fase post prandiale del volo contempla una pennica fino all’avvicinamento a SAW; da quello che vedo dal finestrino a due posti da me, siamo sopra, in mezzo, e poi sotto, ad un unico tappeto bianco latte che ricopre tutta la zona balcanica, penisola anatolica inclusa. Non piove, ma tiriamo una botta notevole; i freni fanno un rumore non proprio incoraggiante, ma tanto ormai siamo con le ruote a terra per cui non mi preoccupo

Attracchiamo ad un finger in mezzo ad una selva di Pegasus Airlines. La camminata fino alla postazione di controllo dei passaporti non richiede moltissimo tempo; stupidamente, invece della carta d’identità, consegno il passaporto che 1) causa le solite perplessità causa vistoso danneggiamento nei pressi della fotografia, unito al deciso cambio di connotati rispetto alla data di emissione nove anni prima 2) lo stesso viene ovviamente timbrato e datato.
Subito dopo il controllo passaporti si trovano i caroselli per il ritiro dei bagagli. I primi escono abbastanza velocemente. Tutti escono abbastanza velocemente. Dov’è il mio? Aspetto altri cinque minuti dopo che l’ultimo è stato riconsegnato e mi dirigo al Lost&Found, dove però, tra i vari handler, non risulta nessuno che gestisca Air Serbia o JAT che di si voglia. Fermo la prima persona che trovo con un badge, che fortunosamente lavora per Celebi, apparentemente l’handler corretto. Mi porta ai loro uffici; mi fotocopiano di tutto e ci manca poco che mi chiedono l’impronta digitale e la scansione dell’iride. Metà dei loro addetti non parla inglese, l’altra metà poco e male. Mi fanno scrivere e firmare la denuncia di mancata riconsegna, incluso elenco di effetti imbarcati (e chi si ricorda tutto quello che c’è dentro!) e mi riconsegnano copia del PIR. Chiedo quando saprò notizie del mio bagaglio: dicono che lo consegnano domani in aeroporto e che potrei andare a prenderlo direttamente; li guardo imbufalito e gli dico che l’hotel è a un’ora e mezza da lì e che la riconsegna dovrà avvenire in hotel a cura del vettore o dell’handler.
Senza altro da poter fare, esco e mi trovo in una scena piuttosto pittoresca da cartolina sbiadita: decine (centinaia!) di persone ad attendere amici e parenti; decine (centinaia!) di donne più o meno vecchie, con il velo, che abbracciano piangendo parenti lontani e gruppi familiari che si ricongiungono dopo un’odissea (un volo di un paio d’ore); una dozzina di agenti della Polis che cercano di far sgombrare le persone in attesa al varco di uscita dalla zona sterile, chiaramente senza successo. Partiamo bene

Vado al primo bancomat che vedo per ritirare un po’ di contante. La carta non funziona. Vado al secondo. Idem. Pure al terzo e al quarto. Al quindi ci rinuncio perché appare la scritta temuta: la carta è smagnetizzata. Questo problema l’ho già avuto in passato; dato che non ho voglia di farmi estorcere commissioni da rapina sull’anticipo contante con la carta di credito, almeno per il momento, vado a farmi cambiare un po’ di euro in lire turche presso uno sportello di Garanti Bank; appena visto il conto, tra cambio ad cazzum e commissione, cambierò idea al prossimo prelievo: Visa e MasterCard, al confronto, fanno beneficienza. Esco in mezzo al marasma pecoroso, prendendomi un trolley sulle caviglie, alla ricerca del bus Havatas che in un’ora circa mi porterà a Taksim. Sono di fronte a me. Il casotto per la vendita dei biglietti è chiuso; chiedo all’autista e mi dice di salire.
E il biglietto? On board, later, my friend. Tutti ti chiamano my friend. Boh.
Da Taksim devo ancora arrivare a Sirkeci, dove ho l’hotel; non avendo voglia di provare subito il giro funicolare-tram, prendo un taxi, ahimé il primo che trovo (mi avevano detto: tanto costano poco i taxi!). Infatti il simpatico tassista parte a razzo, senza accendere il tassametro, e chiama l’hotel perché non sa arrivarci. Inizio a chiedere del tassamentro e il gioviale tassista, che fino ad un attimo prima sembrava Shakespeare, diventa no spik inglisc. Arriviamo così a contrattare il costo della corsa, anche se non riesco a scendere sotto le 35 lire turche (circa 12€, praticamente un furto) per i cinque kilometri che mi portano sulla sponda opposta del Corno d’Oro, a pochi passi da Aghia Sophia; gettarsi dal taxi in corsa non è un'opzione, anche perché il dannato tira come un pazzo. Ho un mal di testa terribile, ma il ladro accende pure l’autoradio da 2000 watt su una stazione radio che trasmette musica turca tamarra di discoteca, mancavano i neon ed eravamo a posto.
Giunto finalmente a destinazione, entro in hotel per fare il check-in e avviso la reception che domani dovrebbero consegnare il mio bagaglio e chiedo al portiere se conosce un negozio di vestiti nei paraggi; proprio lì a fianco c’è un negozio che vende roba casual-ggiovane (perché io sono ancora gggiovane dentro), prendo un cambio per l’indomani e speriamo che la spesa in vestiario finisca qui. Mi viene pure in mente che ho stupidamente lasciato nel bagaglio imbarcato le pastiglie per il mal di stomaco, che visto l’inizio di vacanza proprio non mi servono. Doccia, giretto in centro, cena e poi a nanna, che la giornata è stata lunga e da domani si cammina, tanto.
Continua nei prossimi giorni con un OT limitato e coadiuvato da un po’ di IT involontario.
DaV