[TR] Georgia con un po' di sfortuna: due settimane nella Colchide, giorno per giorno


I-DAVE

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6 Novembre 2005
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a Taiwan, nel cuore e nella mente
Inizia a diluviare, tempo di tornare alla macchina e andare dritti alla prossima e ultima tappa – il canyon di Okatse – 56km di distanza per un’ora e mezza. Dall’ingresso (a pagamento) all’observation deck sospeso sono 3.5 km, metà in mezzo alla foresta, metà lungo il canyon vero e proprio. Lungo la strada, il nostro Raikkonen si ferma un paio di volte a consegnare dei pacchetti, unendo l’utile al dilettevole.

Tutto il sentiero è pavimentato con rocce piatte, a volte un po’ scivolose per la pioggia. La foresta sembra quasi tropicale!

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Il sentiero è quasi tutto in discesa, a parte uno strappo finale che risale abbastanza bruscamente. Si arriva all’ingresso della passerella, dove vengono controllati i biglietti e dove è possibile usufruite di un passaggio in jeep per tornare all’ingresso del parco; la passerella è tutta scale di metallo e travi di acciaio infilate nel costone roccioso, e sostenuto da tiranti. La struttura è leggera e al vento tende a tremare. Ah, è completamente sospesa nel vuoto, così come la piattaforma di osservazione, mezzo km scarso più in là e una decina di rampe di scale più in alto.

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La gola è attraversata da un torrente

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La piattaforma fa più effetto vista da lontano – da sopra non procura alcun effetto vertigine (a differenza della passerella).

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Il percorso inverso risale da una seconda scalinata per poi ricongiungersi all’ingresso della passerella – potrei prendere una jeep per 200 lari, ma preferisco farmi la salita fino alla foresta, dato che si passa per un piccolo negozietto all’aperto dove sfornano pane quasi in tempo reale.

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I-DAVE

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6 Novembre 2005
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a Taiwan, nel cuore e nella mente
Passa un acquazzone che scanso sotto una tettoia, torno alla macchina e, sulle struggenti note di “Moiboch Prajstivinia” (titolo di fantasia estrapolato dai muggiti emessi dal cantante, chiaramente affetto da colica renale), ci avviamo verso Kutaisi che sono ormai quasi le cinque e passate.


Mi faccio lasciare direttamente in centro città, saldo il conto (rigorosamente in contanti) e, poiché il tempo che rimane è appena sufficiente a fare un giro veloce di Kutaisi, mi affretto subito verso fontana della Colchide, il nome che gli antichi romani diedero a questa regione. C’è un carosello di auto intorno alla fontana, e alcuni fotografi sono appostati lungo la rotatoria – gara di macchine abusive? Un matrimonio? Non lo saprò mai.

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Il delicatissimo teatro nazionale dell’opera e del balletto.

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Ecco, non so proprio se definirlo amore...

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Non si tratta di un posto che definirei brutto. Lascia solo una sensazione di tristezza.

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Il mercato è chiuso, ma il bassorilievo è all’aperto ed è sempre visibile, anche sotto un cielo che minaccia, per l’ennesima volta oggi, pioggia.

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Molti palazzi sono diroccati, molti marciapiedi dissestati. Il progetto di spostare il parlamento qui (appena fuori città) non ha sortito un enorme effetto sull’economia locale, e ha scontentato i politici che vorrebbero tornare nella più moderna e comoda Tbilisi.

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Ceno da qualche parte (credo, non ho appunti) e salto completamente la scarpinata fino alla cattedrale di Bagrati, uno dei pochi monumenti ad essere stati rimossi, nel corso del tempo, dalla lista dei patrimoni Unesco (per chi avesse voglia di leggersi le motivazioni, qui c’è un link). Il che non vuol dire che non valga la pena di marcare visita, ma ormai è buio, l’interno è chiuso e io ho sonno. Compro uno pseudo-mottarello grosso come un mattone per l’equivalente di credo 20 centesimi di euro e cammino indietro fino al B&B per l’ultima notte a Kutaisi.

Prossima puntata probabilmente nel weekend.

DaV
 

ALESSIO78

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Millano
a Kutaisi ti sei perso il cafe foe foe ,una istituzione…. sei salito con la funivia? il ponte col ragazzino? quanti bei ricordi. ci avevo fatto qui trip report…. ma grazie a photobucket dovrei rifare tutto su flickr. adoro le Georgia. grazie bei ricordi… per la musica struggente in Georgia direi #disagio
 

rubinlami

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Albania
La grotta di Prometeo e bellissima. Peccato che non l’hai visitata. E molto lunga e per moltissimi anni e stata tenuta segreta con l’idea di usarla in caso di attacco nucleare.
 

13900

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Mi puzza che, alla fine della fiera, la Georgia non ti sia piaciuta.
 

I-DAVE

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GIORNO 3

Se google maps vi dice che, in Georgia, ci vuole un’ora da A a B, non fidatevi. Come minimo impiegherete quasi il doppio del tempo. Quindi se da Kutaisi occorrono 2 ore e 45 per Mestia, la capitale degli Svaneti, regione montuosa al confine con la Russia e patria della cultura Svan, ce ne vorranno all’incirca 4.5.

Ed ecco la marshrutka. In Georgia, come in buona parte dell’ex URSS, ci si muove con i minibus, anche sulle lunghe distanze. Generalmente guidati da autisti che ricordano, alternativamente, Bud Spencer in Io Sto con gli Ippopotami, o Johnny Depp in , sono scomodi, cigolanti, spesso col parabrezza crepato in più punti. E caldi. Caldissimi. Niente aria condizionata, al massimo si litiga per aprire il finestrino (quando si apre).

Avrete intuito il mio amore per il mezzo, che prenderò questa mattina, e tante altre mattine. La Lonely Planet suggerisce di recarsi alla stazione dei bus almeno mezz’ora prima della partenza – per sicurezza prendo un taxi per arrivare un’ora prima (alle 7), e faccio bene: prendo il penultimo posto disponibile. In realtà per Mestia non è un grosso problema (in alta stagione), dato che vengono chiamati più marshrutka, alla bisogna. I bagagli (tutti zaini, grazie a dio non c’è nessun rimbambito che pensa di andare negli Svaneti con un trolley) vengono legati come un salame sul tetto e coperti da un foglio di plastica per evitare che si bagnino – ah già, piove; anche se poi uscirà il solleone. Ah, non cercate le cinture di sicurezza. Non ci sono :D

Considerando che l’idea originale era volare fino a qui, con Vanilla Sky e i suoi Let 410... purtroppo non c’è stato verso di comprare i biglietti; la compagnia ha ricevuto licenze provvisorie sulla tratta Kutaisi-Mestia di settimana in settimana, e quando hanno annunciato la disponibilità dei voli, gli stessi non erano prenotabili online. A nulla sono valse le decine di email.

Nonostante siamo full, partiamo alle 8:20. Vorrei cadere in letargo, ma i continui sobbalzi dovuti alle disastrate strade georgiane me lo impediscono. Visto che l’autista decide di trasformare il minibus in una discoteca più zarra della Baia Imperiale, mi infilo i miei fidi auricolari e mi intrattengo con il paesaggio esterno, che è impossibile fotografare attraverso i vetri luridi e controsole.

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Fortunatamente sono previste delle soste, di solito in simil-bar/trattorie, scelte dall’autista in base alla percentuale che ricevono sulle vendite. Qualche volta si fermano anche in punti panoramici – se devono fermarsi per una sigaretta, tanto vale farlo in un punto bello, come il bacino dell’Enguri, sbarrato da una diga per la produzione di energia idroelettrica. La diga, il cui progetto risale agli anni ’60, è ben più a sud del punto in cui ci fermiamo; è stata ristrutturata (a quanto leggo, da uno stato iniziale particolarmente precario) con fondi dell’UE e giapponesi.

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Rispetto ad altri marshrutka, questo qui è tenuto bene. Notare che i contatti del precedente proprietario sono tutt’ora ben visibili...

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Arriviamo a Mestia che sono quasi le 2 del pomeriggio, c’è il sole e si schiatta di caldo. Il paese è costruito sulle pendici di una collina e, a parte la strada principale, non c’è asfalto in terra: solo pietre sconnesse, messe a pene di segugio e semi affogate in gettate di cemento fatte a caso.
 

I-DAVE

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Preso possesso della mia camera nella guesthouse dove alloggio, vado fuori a fare un giro. Nella regione è possibile trovare decine di torri, che le famiglie locali costruivano per marcare il territorio – non diversamente da quello che succedeva nell’Italia medievale; la differenza è che le torri esistono ancora quasi tutte e sono ancora possedute dalle famiglie originarie, abitate o usate come magazzini.

Un paio di queste torri (che chiaramente non sono visitabili...) sono proprio dietro la mia guesthouse, salendo un po’ per la ripida strada che porta fino alla croce di ferro sulla collina retrostante.

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Il centro vero e proprio è stato completamente rifatto in stile alpino, con l’aggiunta di alcune architetture peculiari, come la stazione di polizia, nel classico stile georgiano contemporaneo che mi ricorda il loro alfabeto

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Ai georgiani, l’UE piace proprio!

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La parte più rurale del paese porta verso una frazione decisamente più rustica e meno turistica, che sembra abbandonata. Il cielo si rannuvola per quello che si preannuncia essere un tipico temporale pomeridiano estivo.

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Questo sembra un piccolo cimitero, forse della famiglia che abita la torre sullo sfondo.

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Torri e cielo – peccato non aver avuto il tele con me.

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Arrivo alla casa-museo della famiglia Khegiani, stirpe di alpinisti; sembra chiusa. Visto l’imminente temporale, decido di tornare indietro.

Poco più a monte della guesthouse, c’è un piccolo caffè con una terrazza vista torre. Mi siedo sulla terrazza, inizia a diluviare e, dopo dieci minuti di fortunale, esce l’arcobaleno.

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GIORNO 4 & 5

Negli Svaneti si viene per camminare; la rete di sentieri è piuttosto estesa e ci sono trekking per ogni capacità, anche su più giorni. L’altra cosa per cui si viene qui è Ushguli, una circoscrizione di quattro villaggi a oltre 2100 metri di quota, una delle località permanentemente abitate più in alte d’Europa (si potrebbe dibattere sul significato geografico d’Europa in questo contesto, ma evitiamo), a circa 3 ore e mezza di marshurtka.

Tra la salita alla croce e il ghiacciaio di Chalaadi, scelgo il secondo; sono circa 11km one way con un dislivello tutto sommato contenuto (510m), e il paesaggio è più vario. Si passa inoltre vicino all’aeroporto di Mestia, la cui architettura è decisamente peculiare.

Anche oggi il meteo non promette nulla di buono; superato il ponte sul Mestiachala, si prosegue lungo la strada principale che costeggia il Queen Tamar Airport, da dove si ha la vista migliore sulle torri Svaneti.

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Ci si arrangia come si può

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Un vitello trova modo di entrare in un parco giochi per bambini lasciato aperto. Il bestiame è più o meno libero di pascolare ovunque gli aggradi – di positivo, l’erba è ovunque ben curata e i campi ben concimati.

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Il Queen Tamar in tutta la sua bellezza

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Purtroppo, il resto del percorso lungo la valle è una delusione tremenda. Stanno facendo dei lavori per creare un impianto idroelettrico e un impianto di depurazione delle acque, con la conseguenza che tutto l’alveo del fiume e il percorso adiacente sono un cantiere, percorso in continuazione da camion, polveroso e rumoroso. Ad un certo punto, il sentiero passa proprio in mezzo al cantiere e bisogna fare attenzione a scavatori e martelli pneumatici – nonostante tutti i cartelli “safety first”, della sicurezza non frega nulla a nessuno.

I lavoro deviano a valle del percorso che porta al ghiacciaio, una volta superato il fiume su un ponte instabile e arrugginito, e il resto del sentiero è tipicamente alpino e, finalmente, in pace.

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Si sale abbastanza rapidamente per un bel bosco di conifere, il sentiero è sempre ben marcato e per lo più battuto o con roccette. Ci sono un discreto numero di viandanti, tra cui un discreto numero di turisti non locali.

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A circa metà strada tra ponte e attacco del ghiacciaio, si inizia a costeggiare il fiume, che qui è un torrente piuttosto tumultuoso. Se il bosco è piacevolmente fresco, l’acqua è gelida!

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L’ultima parte del percorso è su rocce, con scarsa vegetazione. L’aria fredda che scende dal ghiacciaio si sente eccome – felpa e antivento sono necessarie durante le soste.

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Peccato mi accorga solo ora di un piccolo problemino: una scarpa ha ceduto, e l’altra sta per seguirla. Dopo quasi dieci anni di onorata carriera, doveva succedere, anche se le avevo controllate prima di partire e la gomma sembrava ancora in buono stato. Si sarà cotta nelle 5 ore sotto al sole tra Kutaisi e Mestia...

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Non essendo saggio andare oltre, senza una suola, e non essendo consigliato in ogni caso avvicinarsi al ghiacciaio causa frane, non mi resta che fare un tardivo picnic e ritornare al campo base; il ritorno avviene per la stessa strada. Dove c’è il ponte, c’è un piccolo bar dove mi fermo a prendere qualche bottiglietta d’acqua e succo di ciliegia (ne ho bevuto a litri). Ritornando, noto una chiesa abbarbicata sulla collina che è ora in favore di luce (circa), purtroppo non ho ben capito come arrivarci:

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Visto che ho ancora energie, dopo aver abbandonato le moribonde scarpe da trekking, e indossato delle trainer, vado a fare un salto al museo di storia ed etnografia, dopo aver superato il ferocissimo cane da guardia della guesthouse (aveva degli aculei al posto dei canini).

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Il museo è piccolo, ma interessante, e con una bella vista:

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L’ultimo giorno negli Svaneti sarà dedicato ad Ushguli. Mi reco la mattina nella strada principale, dove partono i pullmini per Ushguli – diverse agenzie organizzano il giro, ma avevo già preso il biglietto il giorno precedente in quella più vicina. Salgo insieme ad altre sei persone sul secondo mezzo – il primo parte pieno. La giornata è spettacolare, cielo limpidissimo e sole.

La strada si snoda su tornanti quasi immediatamente, mentre il torpedone di marshrurtke prosegue con lentezza. La prima sosta è al termine della serie di tornanti, dove si ha una vista spettacolare sulla valle sottostante e il doppio picco dell’Ushba (4710 m):

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La strada inizia a diventare considerevolmente peggiore subito dopo, in discesa – buche, sassi affioranti, interi pezzi senza guard-rail, e lavori in corso; tutta la strada è in fase di rifacimento, con il manto rimpiazzato da monoblocchi di cemento non asfaltato e tentativi di allargare la carreggiata. Vi sono frequenti soste non pianificate.

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A tratti, nelle sezioni non rifatte, sembra di stare su una pista da motocross. La parte finale è adatta solo a mezzi a ruota alta e si va a passo d’uomo. Se soffrite il mal d’auto, auguri :D
 

I-DAVE

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A Ushguli ritrovo il gruppo di Viaggi Avventure. Il posto è fantastico e fare una notte qui è ben spesa, secondo me. Averlo saputo prima...

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I due villaggi raggiungibili a piedi (quello dove si parcheggia, e quello immediatamente a sud) sono molto pittoreschi e i turisti sono relativamente pochi. Posso solo immaginare che stellate si possano vedere da qui. Le torri sono meglio conservate che a Mestia (dove molte sono state ricoperte di cemento per evitare i crolli)

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Le strade sono tutte di fango, più o meno asciutto e maiali ti grufolano attorno contenti. Le mucche locali sono molto social; una ha voluto farsi un selfie con me, e ha preteso che le grattassi la testa per cinque minuti.

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I-DAVE

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Una piccola cappella è l’unico edificio religioso che ho visto.

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Pernottando, è possibile raggiungere il ghiacciaio a fondo valle, partendo preso al mattino (parlando con alcuni altri viaggiatori, mi hanno detto che ci vogliono circa 4 ore solo andata).

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Ammucchiata di farfalle in mezzo al fango

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Pranzo in un posto vicino al fiume: cibo terribile, servizio tremendo e lentissimo e pure la birra Zedazeni è assolutamente pessima (prima volta che una birra proprio non mi piace). Purtroppo, sarà una costante in tutti i posti dove mi fermerò a mangiare da qui in poi: ai georgiani, non frega assolutamente nulla di servire le persone.

Torno ai miei giri, il sole è molto caldo nonostante i 2100 metri, e per fortuna ho con me una crema solare. Ho visto certi brutti ceffi diventare bordeaux facendo cose stupidissima come il cammino di Santiago senza protezione solare...

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Verso le 16.30, l’autista si ripresenta al punto di incontro; ripartiamo quindi con un’ora di ritardo in direzione Mestia, nonostate l’accordo fosse per trovarsi alle 15.45. Tra un sobbalzo e l’altro, arriviamo a casa che sono le sette e mezza passate

Prendo un panino che è grosso come un calzone e mezzo e vado a informarmi per cambiare il biglietto per il marshrutka per il giorno successivo – invece che tornare a Kutaisi e cambiare mezzo, scopro che ce n’è uno diretto per la mia destinazione: la città di Gori.

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La Georgia è bella perché fatta completamente a random! Bel prosieguo, grazie :)
 

nicolap

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10 Novembre 2005
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Roma
Veramente spettacolare. Questa parte dei villaggi con le torri rende davvero l'idea della Georgia più autentica. Foto bellissime e anche il clima mi sembra che sia stato tutto sommato ottimo.
TR come sempre spettacolare.

Ho visto certi brutti ceffi diventare bordeaux facendo cose stupidissima come il cammino di Santiago senza protezione solare...
Spero che il cane dell'hotel ti abbia alla fine morso molto forte.