Straordinarie immagini dell'ekranoplano conosciuto come "Caspian Sea Monster"


Veolia

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Grande meraviglia..speriamo che qualcuno lo prorti in un museo sarebbe un'attrazione incredibile!!!
 

explo

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Scorzè (ve)
Ho visto su Sky un velivolo simile ( a elica ) che viaggia sui laghi ghiacciati e le distese di neve in Siberia...
 

vipero

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se ne parlò già qui

edit: rimosso link

Poi c'era un trip report di un utente (forse Nicola?) ma pare sia sparito.
 
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vipero

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Io vorrei vivere lì dentro (possibilmente con ancora un paio di mitragliatrici montate)


 

Flyfan

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Magari te lo affittano a equo canone.
Comunque abbastanza impressionante come macchina, anche se del tutto inutile strategicamente a livello militare. A 550 km/h a pelo d’acqua è molto meglio del luna park
 

speedbird001

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Su repubblica articolo interessantissimo su Roberto Bartini, un italiano naturalizzato russo, progettista di bizzarri e incredibili macchine volanti , tra cui il conosciuto ekranoplano , Beriev VVA 14 ( ricordo un post a proposito, con tanto di foto fatte in loco da un forumista).
Non essendo abbonato, prego qualcuno perchè posti l'articolo.
 

Flyfan

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Eccolo, non sono abbonato ma lo posto ugualmente. Fantascienza pura.

Il genio dei mostri volanti
14 Novembre 2020
La storia tra mistero e leggenda di Roberto Bartini, l'italiano che per i sovietici inventò aeroplani fantastici e navi gigantesche che sfrecciano nell'aria
di Gianluca Di Feo
4 / 5


Il Mostro del Caspio è riemerso dal mare. Era incagliato nei fondali, abbandonato come un bizzarro gigante del passato: la creatura un po' folle di ere antiche. Giaceva abbandonato da quasi trent'anni, imprigionato nella sabbia dallo scorrere della Storia. Ma le sue forme di sapore fantascientifico, l'intreccio di scafi, ali e motori simile a un'astronave dei manga lo hanno reso una star del web. Un oggetto troppo singolare per venire dimenticato: quasi una meraviglia piovuta da un altro mondo. Così mentre veniva sommerso dalle maree, le sue foto hanno continuato a moltiplicarsi su riviste e siti. Finché tre settimane fa non si è deciso di tirarlo fuori per restaurarlo.
L'ekranoplano Lun Md-160 arenato nel Mar Caspio. L'ibrido, fotografato lo scorso 6 ottobre, può trasportare i carichi di una nave alla velocità di un aereo

Il Mostro del Caspio è una macchina unica: un ekranoplano, a metà strada tra l'aereo e la nave. Tecnologia sovietica che sorprese tutti, perché poteva sfrecciare rapido come un jet e trasportare i carichi di un mercantile. Il prototipo di un'arma segreta, capace di trasferire carri armati in tempi rapidissimi e dare l'assalto all'Occidente, poi addirittura trasformato in incrociatore lanciamissili volante. Da quasi mezzo secolo il progetto viene analizzato e riletto, per tentare di tradurre il suo principio in nuovi aviogetti anfibi. Pochi però sanno che questi ibridi sospesi tra acqua e aria sono legati al genio di un italiano dalla vita straordinaria, che tante volte ha cambiato identità e lingua. Anche il suo vero nome è circondato dal mistero. A Mosca sulla lapide della tomba c'è scritto "Roberto Oros di Bartini". Più spesso viene ricordato come l'altro "Barone Rosso", in contrapposizione con l'asso della caccia tedesca, perché di origini nobili e soprattutto ostinatamente comunista.
Le operazioni per trasferire il "Mostro del Caspio" sono state complesse a causa del peso. In prossimità del bagnasciuga, quattro gru lo hanno tirato fuori dal mare
Un'esistenza leggendaria, che ha attraversato il ventesimo secolo e che continua ad essere carica di buchi neri. Soprattutto i primi anni, che hanno il sapore di un romanzo declinato in almeno tre versioni diverse. Noi ci affidiamo alla più diffusa, seppure labile nei riscontri documentali. Figlio illegittimo della fugace relazione tra un barone istriano e una ragazza della piccola nobiltà ungherese, nasce a Kanjiza nel 1897 quando quella terra, oggi serba, era parte dell'impero austriaco. Per cercare di cancellare lo scandalo, la famiglia lo strappa alla madre che per il dolore si suicida. Il padre è un funzionario asburgico ricco e importante: nonostante sia sposato, prima lo affida ai fattori della sua tenuta, poi lo riconosce. È il barone Lodovico a trasmettergli la passione per la scienza. Si narra del piccolo Roberto piegato su uno dei migliori microscopi e chiuso per ore nella biblioteca paterna. Ma non è un secchione, anzi: gli piace cavalcare, nuotare, tirare di scherma e ha una vocazione per le acrobazie.

Roberto Bartini, a sinistra, giovane militare innamorato del volo. A destra è ritratto negli anni della maturità, naturalizzato cittadino dell'Unione Sovietica e convinto comunista

L'incontro con il volo è precoce, grazie a uno dei piloti itineranti che giravano l'Europa con i prodigi meccanici del circo volante. Nel 1912 il celebre Slavorossov si esibisce a Fiume con un monoplano Bleriot, un trabiccolo di tela e legno, con un motore meno potente di quelli degli scooter di adesso. L'adolescente Roberto avrebbe persino ottenuto il privilegio di salire a bordo e decollare. Da allora quella sarà una delle sue ossessioni. L'altra, la politica, arriverà con la Grande Guerra. Frequenta il liceo a Budapest, poi nel 1915 entra nell'esercito imperiale con i gradi di tenente. Non ha la disciplina dell'ufficiale asburgico, soffre l'arroganza dei comandanti e il disprezzo con cui gli austriaci trattano i militari delle altre nazioni. I suoi scatti d'ira gli provocano più di una punizione. Come tutti i sudditi di lingua italiana, lo mandano sul fronte russo: travolto dalla grande offensiva zarista del giugno 1916, finisce prigioniero in Siberia. E come tanti, nel campo di concentramento viene sedotto dal credo socialista: diventa un convinto bolscevico.

L'ekranoplano è lungo 92 metri e, pieno carico, pesava 544 tonnellate. Per 22 anni è stato l'oggetto volante più grande del mondo. La velocità massima del prototipo, a 14 metri di altezza, è stata di 650 chilometri orari, quella di crociera di 430
Qui mito e verità si fanno ancora più confusi, ogni notizia va presa col condizionale e letta come parte di una saga tramandata da reduci e compagni. Nel campo stringe un'amicizia fraterna con un ufficiale magiaro, noto come Matè Zalka, destinato a un'esistenza altrettanto burrascosa tra rivoluzioni, letteratura e soviet: morirà nel 1937 in Spagna, alla guida della XII Brigata Internazionale, forse assassinato a tradimento dai suoi. C'è la possibilità che assieme Zalka nel 1918 abbia fatto parte di uno squadrone ungherese della Guardia rossa, che si è distinto per crudeltà nelle battaglie contro l'armata bianca in Siberia. Siamo dentro un'epopea che ricorda i fumetti di Corto Maltese, tra treni blindati, atamani cosacchi e tradimenti. La prima missione speciale lo vede infiltrarsi assieme al suo amico proprio tra gli italiani. Dopo Caporetto, il Regio Esercito sabaudo a corto di uomini manda ufficiali a reclutare gli "irredenti" friulani, giuliani, istriani e trentini tra i prigionieri austriaci in terra russa. I primi gruppi riescono a tornare in Italia; la Rivoluzione d'ottobre blocca gli altri in Siberia. Allora si decide di inquadrarli in un reparto sotto bandiera tricolore - la Legione Redenta -, a cui si unisce una brigata di fanteria arrivata dalla Puglia attraverso la nostra "colonia" in Cina, la legazione di Tientsin. Combattono al fianco della legione ceca e della spedizione anglo-francese, tutti schierati con i "bianchi" per cercare di fermare l'avanzata bolscevica.
Il modello 3D dell'ekranoplano

Nella primavera del 1919 Bartini e il suo compagno magiaro raggiungono la Legione Redenta. Per una volta dicono la verità: "Siamo ex ufficiali austriaci" e si arruolano. Ma sono agit-prop che seminano rivolta tra le truppe italiane. Non è difficile: la guerra in patria è finita da mesi mentre quei soldati dimenticati nel gelo siberiano stanno ancora rischiando la pelle. Proprio il timore di ammutinamenti e il disfacimento del governo anti-comunista convincono Roma a ordinare la ritirata: nel febbraio 1920 gli "irredenti" si imbarcano da Vladivostock diretti a Trieste. Alla prima tappa i due infiltrati vengono però smascherati. Li scopre un maggiore dei carabinieri altrettanto leggendario, Cosma Manera, che contrariamente alle regole della corte marziale non li fa fucilare. Bartini, che aveva assistito a anni di lotte spietate ed esecuzioni brutali, si è chiesto per tutta la vita perché il carabiniere lo avesse risparmiato, limitandosi a lasciarlo a Shanghai. C'è chi sostiene che Manera gli abbia detto: "Ho sempre saputo chi eri, ma sei troppo intelligente per morire a vent'anni". Bartini invece ha ipotizzato che il maggiore sabaudo sotto sotto avesse simpatie socialiste. Anche in questo caso, non c'è una verità. In maniera rocambolesca, lavorando come taxista a Shanghai riesce a pagarsi un imbarco per Alessandria d'Egitto e poi raggiungere l'Italia. Sbarca nel momento più turbolento del dopoguerra, quello degli scioperi e degli scontri politici, e fa valere credenziali uniche: è un bolscevico patentato, per di più veterano dell'Armata rossa. È a Livorno quando nasce il Partito Comunista; forse fa parte della scorta che protegge il primo segretario Amadeo Bordiga; aiuta i reduci della rivoluzione ungherese di Bela Kun a trovare rifugio. Un uomo d'azione, abile con le armi, pronto a sfoderare identità e lingue - ne parlava sette e ne capiva altre due - per qualsiasi evenienza.

Non dimentica il primo amore. Entra all'Isotta Fraschini come operaio, partecipando alla produzione dei migliori motori dell'epoca. Allo stesso tempo, si iscrive al Politecnico di Milano alla sezione aeronautica della facoltà d'ingegneria: usa il nome di Roberto Orosdy. L'ambasciata sovietica però lo vuole a Roma, per spiare gli aristocratici russi in esilio che tramano contro Mosca. Il giovane è un vero barone cresciuto tra la nobiltà, sa come muoversi nei salotti zaristi. Il suo colpo migliore è la scoperta del piano per uccidere il ministro degli Esteri di Stalin, diretto a Rapallo per firmare il primo accordo internazionale dell'Urss: grazie a lui, il commando venne catturato. Nel tempo libero prende il brevetto di pilota sulla pista di Centocelle, iscrivendosi come Roberto Wrosdi, e poi collabora con un imprenditore romano disposto a contrabbandare aerei in Russia. Tutto cambia con l'arrivo al potere del fascismo. I suoi doppi giochi finiscono all'attenzione della polizia e viene firmato un mandato di cattura. Il Partito decide che è l'ora di fargli cambiare aria e se ne occupa personalmente il capo del Soccorso Rosso internazionale, Giovanni Germanetto: Bartini donerà l'intera eredità di famiglia, pare di dieci milioni di dollari, all'organizzazione che aiuta i comunisti all'estero. Nella primavera del 1923 da Como passa in Svizzera e quindi in Germania, dove accumula altre avventure tra tentativi di avvelenamento, spionaggio, incidenti in auto e scontri politici. Non si sa esattamente come - chi dice che rubi un biplano, chi che sia stato prelevato da un bimotore russo - ma dal Baltico arriva nell'Urss.
L'ekranoplano sfrutta l’effetto suolo dei fluidi che si forma tra mare e cielo. Il prototipo ha volato per la prima volta nel 1966

E da quel momento si dedica solo agli aerei. A Mosca nel settembre 1923 viene ospitato nell'Hotel Lux. Si fa chiamare Roberto Ludvigovich Bartini, aggiungendo il nome del padre Lodovico secondo la consuetudine russa: lì prende finalmente la laurea in ingegneria ed entra in un impianto segreto di progettazione come ufficiale dell'aviazione dell'Armata Rossa. Si fa notare partecipando alle modifiche del Tupolev Ant-4, ribattezzato "Terra dei Soviet", in vista della trasvolata da Mosca a New York: un'impresa straordinaria, compiuta attraversando Siberia, Oceano Pacifico e tutti gli States. A 31 anni ha già il grado di comandante di brigata e lo mandano in Crimea a disegnare velivoli. Idrovolanti, che all'epoca erano fondamentali perché usavano golfi, laghi e fiumi al posto delle rare piste. Nel 1929 ne ha già concepiti tre. A vederli si capisce che trae ispirazione dai modelli occidentali: tra le sue mansioni c'è infatti quella di esaminare le riviste tecniche internazionali. I suoi progetti però non sono mai semplici copie: hanno tutti qualcosa di speciale. Bartini ama la fisica e la chimica: studia le dinamiche dei fluidi per perfezionare ali e motori, sperimenta nuovi metalli e metodi innovativi per saldarli. È più uno scienziato che un ingegnere.
Il Lun Md-160, rimasto per anni semiaffondato, è stato tirato a secco su una colossale piattaforma nella base navale militare russa di Kaspiysk, nel Daghestan. Il suo trasferimento è stato autorizzato il 31 luglio scorso dal ministero della Difesa di Mosca
Nel 1930 lo chiamano a Mosca, nella struttura centrale creata per rilanciare l'aeronautica sovietica. Ma lui protesta contro l'organizzazione compartimentata degli uffici. E in uno dei suoi famosi scatti d'ira, mette nero su bianco in una lettera a Stalin le critiche a quel modello: lui lo reputa irrazionale, ma la sua missiva viene letta come una contestazione del lavoro collettivo. Così si ritrova senza un impiego. L'Urss però ha un bisogno disperato di aerei moderni. E uno dei comandanti dell'Armata Rossa, il maresciallo Tuchacevskij, si rende conto che l'italiano può fare la differenza: lo ingaggia e gli affida uno staff di tecnici nell'anonima "Fabbrica 22". Ufficialmente devono occuparsi di velivoli civili per i collegamenti di linea, invece fanno tutt'altro. C'è il racconto di un summit. Il commissario della produzione industriale presenta le richieste dei vertici militari ai capi della struttura centrale aeronautica: "I compagni generali vogliono un caccia che voli a 400 chilometri orari". "E' impossibile - rispondono in coro i migliori ingegneri - non esiste modo di superare i 350". Tukhacevsky a quel punto li sorprende: "Si può, anzi: è già stato fatto!".
Il Bartini Stal-6 era un velivolo sperimentale ad alta velocità, costruito in Urss nel 1933. Si basava su alcune invenzioni dell’ingegnere italiano e superava di quasi 100 chilometri orari gli altri aerei di quel periodo
Nel segreto assoluto Bartini ha realizzato lo Stal-6, un monoplano così avanzato da sembrare incredibile: linee futuriste, di purezza unica; ampio ricorso all'acciaio in un'epoca in cui si usavano ancora legno e tela. Una sintesi di eleganza aerodinamica. "Lo ammiravo come una bella donna nuda", commentò in maniera maschilista uno dei collaudatori. La velocità è da record: addirittura va oltre "l'impossibile" e raggiunge i 420 chilometri orari. Lo Stal-6 si basa su alcune invenzioni di Bartini: dall'impianto di raffreddamento a vapore alla saldatura del metallo. Innovazioni che però non convincono i capi dell'aviazione militare: appaiono troppo delicate in battaglia per trasformarlo in un caccia operativo. Nel frattempo Bartini continua a mettersi in cattiva luce per il suo comportamento "non in linea col Partito". Quando si capisce che il collettivo di progettazione non produce risultati - come lui aveva previsto - , Mosca cambia tutto e ordina di creare tanti uffici tecnici autonomi, ciascuno con il nome dell'ingegnere che li dirige. Nascono così i bureau, molti attivi ancora oggi, che si chiameranno Tupolev, Antonov, Mig ossia Mikoyan-Gurevich, Sukhoi, Beriev, Lavochin, Polikarpov. Bartini invece è un marxista radicale e detesta i personalismi: rifiuta indignato una posizione da leader. Per tutta la vita preferirà restare un gregario nell'ombra, pronto però a contribuire all'opera altrui. Alcune delle grandi firme ne riconosceranno il merito mentre altri approfitteranno del suo ingegno senza citarlo. D'altronde è uno straniero in un empireo di russi, cosa che lo rende bersaglio di gelosie e sospetti. Tanto che quando il prototipo del suo nuovo bimotore da trasporto ha un incidente, si ritrova sotto accusa per sabotaggio in combutta con i fascisti e per collaborazionismo con il suo sponsor, il maresciallo
Tuchacevskij, una delle vittime più celebri delle purghe staliniane.

Nel gennaio 1938 viene arrestato e condannato a dieci anni di carcere e altri cinque di perdita dei diritti. Convinto delle sue idee, non cede alla paura: non firmerà alcuna confessione. I verbali degli interrogatori della famigerata Nkvd sono stati ritrovati pochi anni fa: la sorpresa è che mostrano tutta un'altra storia dei suoi primi diciotto anni, con cognomi diversi e il padre che diventa un barone ungherese. Ha mentito per proteggere i familiari? Impossibile dirlo. In cella viene picchiato spesso, le condizioni sono terribili. Il suo genio però lo salva. Dopo il guasto che lo aveva fatto cadere in disgrazia, i suoi allievi hanno rimesso in condizioni di volare l'aereo che lui aveva creato. Lo Stal-7 è un bimotore con un profilo meraviglioso. L'ala è un capolavoro: può sollevare carichi pesantissimi correndo più di un caccia. Il 28 agosto 1939, quando mancano tre giorni all'invasione tedesca della Polonia, stabilisce un doppio record mondiale: riempito con oltre 7 mila litri di carburante, percorre cinquemila chilometri a 450 orari.
Sergej Pavlovic Korolev, l'ingegnere che ha progettato razzi e navette del programma spaziale sovietico, con Jurij Gagarin, primo uomo a volare nello spazio. Korelev per tutta la vita ha definito Roberto Bartini "il mio maestro"
La propaganda sovietica esalta quel primato e Stalin riceve al Cremlino gli autori del successo per premiarli. Quando chiede del progettista, però, gli dicono che è in carcere e subito domanda spiegazioni a Beria, il potente capo della polizia politica. Allora Beria convoca l'italiano. E Bartini, come suo solito, non si frena: "Io sono innocente, perché mi tenete in prigione?". L'uomo più temuto dell'Urss gli avrebbe risposto: "Io lo so che sei un vero comunista, altrimenti ti avremmo fucilato. Ma non possiamo ammettere di avere sbagliato. Resti un detenuto e da oggi ricominci il tuo mestiere. Fai un aereo che vinca la Medaglia Stalin e ti guadagnerai la libertà". Lo ha raccontato Sergej Pavlovic Korolev, un compagno di prigionia che chiamerà sempre Bartini "il mio maestro". Korelev è l'uomo che ha portato l'Unione sovietica nello spazio, costruendo i razzi dello Sputnik e la navetta di Gagarin. Il legame tra i due ha spinto alcuni a considerare il nobile istriano come padre delle missioni spaziali russe, cosa di cui invece non si sarebbe mai occupato. Con l'attacco nazista all'Urss il detenuto Bartini passa ai progetti militari: trasforma il bimotore dei record in un bombardiere ad alta velocità. Un'arma segreta, nota con la sigla Er-2, che l'8 agosto 1941 decolla da Mosca e colpisce Berlino, poi prende di mira altre città tedesche. La Luftwaffe non riesce a dare spiegazione a quelle incursioni perché ignora che i russi abbiano un aereo di tali capacità. Ne vengono costruiti quattrocento esemplari, di cui restano pochissime foto, utilizzati per tutta la durata del confitto. Dopo collabora a realizzare il Tupolev Tu-2, il più diffuso bombardiere sovietico. Il nipote Oleg sostiene che Bartini presentava il suo cognome come l'acrostico delle parole latine: Bella Avis Rubra Terrorem Infert NIgra. "In guerra gli uccelli rossi terrorizzeranno quelli neri", ossia i fascisti. La leggenda vuole che il nonno, mentre lasciava l'Italia attraversando le Alpi per sfuggire all'arresto, abbia promesso: "Gli aerei rossi saranno sempre più veloci di quelli neri".
L'Ermolaev Er-2 era un bombardiere medio sovietico a lungo raggio. Si tratta della trasformazione militare del bimotore Stal-7 progettato da Roberto Bartini e vincitore di due record mondiali nel 1939. L’Er fu usato dai russi per attaccare Berlino e le città tedesche
Nel 1942 viene trasferito negli Urali in un altro "sharaska", i centri di lavoro vigilati dalla polizia politica, dove elabora i primi disegni di caccia a reazione. Capisce che per infrangere il muro del suono bisogna concepire un'ala a delta, priva di coda: più o meno, quella che oggi sfoggiano i bombardieri stealth B-2 statunitensi. Sulla carta, il suo jet potrebbe toccare il doppio della velocità del suono, se solo esistessero propulsori in grado di spingerlo. Ancora una volta, il suo P-114 anticipa i tempi e non si concretizza. Così passa a un'operazione agli antipodi. Mentre la guerra si avvia alla fine, il detenuto Tupolev gli chiede aiuto per realizzare la fusoliera di un cargo volante che deve riuscire a trasportare pure i carri armati. Il risultato è il T-117, un prototipo che non si alzerà mai in volo. Il suo contributo però non resta sprecato: basta confrontare le foto per rendersi conto che è la base di tutti i grandi turboelica da trasporto dell'Urss.

Nel 1946 viene liberato, anche se la riabilitazione completa ci sarà solo dopo la morte di Stalin. Si sposa per la seconda volta: in gioventù ha avuto fama di grande seduttore. E all'inizio degli anni Cinquanta torna a occuparsi di supersonici guidando l'Istituto siberiano di ricerche. La fiducia nella sua competenza è tale che Mosca gli mette a disposizione il primo computer sovietico. Il frutto delle sue ricerche prende forma nel 1956. È un bombardiere dall'aspetto fantascientifico: ha grandi ali a delta, praticamente identiche a quelle che dieci anni dopo sfoggerà il Concorde. Per renderlo in grado di raggiugere l'America e rientrare alla base, prevede di farlo atterrare in mare e rifornire da sottomarini-cisterna. In alternativa, può usare pattini e scendere sul ghiaccio delle pianure artiche. Il generale Zhukov, il conquistatore di Berlino diventato ministro della Difesa, lo incontra più volte per discutere di quell'incredibile A-57 destinato a toccare i 2.500 chilometri orari. Ma la politica conta più della tecnica e quando Zhukov viene destituito, il progetto finisce in un cassetto. Tanto più l'Urss ha deciso di puntare su altre armi, i missili balistici, meno costosi dei superbombardieri. Torna a Mosca, assegnato al piccolo bureau elicotteristico Kamov. Ma ha altro per la testa: definire i sistemi per ottenere un'autonomia illimitata, stabilendo le regole per sfruttare al massimo l'energia. Il risultato è la "Teoria del trasporto intercontinentale", tante equazioni in cui confronta ogni veicolo, dalla bicicletta ai razzi, per capire quale può andare più lontano consumando meno. Non è un capriccio. Gli permette di focalizzarsi sull'effetto particolare che si crea nello strato al confine tra cielo e mare: un tappeto magico, su cui aerei enormi possono scivolare a grandi velocità. Trasformare questa intuizione in una macchina operativa non è facile. Servono propulsori potenti per sollevare una massa superiore a qualunque velivolo mai costruito prima e altri per la spinta durante la crociera. Bartini non è tipo d'arrendersi. Un prototipo dopo l'altro, perfeziona la sua idea negli ekranoplani.
Il Bartini-Beriev Vva-14 è un'evoluzione del concetto di ekranoplano. Poteva decollare verticalmente dall’acqua e raggiungere quote di 10 mila metri, mentre il "Mostro del Caspio" doveva restare a 10-14 metri dal mare. Inoltre il disegno delle ali gli permetteva di restare in volo per lunghissimi periodi. Doveva servire per scovare e distruggere i sottomarini nucleari statunitensi
Un altro team ci sta lavorando da tempo: quello di Rostislav Alexeyev che alla fine realizzerà il "Mostro del Caspio". L'italiano però va molto oltre. Inventa una macchina sbalorditiva: una portaerei volante, simile nella forma agli incrociatori imperiali della saga di Guerre Stellari. Il peso? Duemilacinquecento tonnellate, come una nave da guerra. Capace però di alzarsi dalle acque e filare a oltre cinquecento chilometri orari con a bordo una dozzina di caccia. I disegni del M-2500 ancora oggi suscitano stupore. Un modello in scala ridotta viene testato prima in mare, poi nella galleria del vento e ne comprova le potenzialità. Può funzionare, ma si inabissa nel corto circuito della burocrazia sovietica. Chi deve stanziare i fondi colossali per costruirlo? Per la Marina è un aereo, quindi non di sua competenza. Per l'Aviazione è una nave, quindi non di sua competenza. E soprattutto c'è sempre lo stesso problema: trovare motori di potenza sufficiente.

Bartini propone allora di sfruttare lo stesso principio per un ibrido tra treno e aereo, lanciato su una rotaia a 500 all'ora: anticipa di oltre trent'anni la tecnologia MagLev introdotta sui treni iperveloci in Cina, Giappone e altre nazioni. Non sono certo i niet a fermare Bartini, che ha già pronta un'altra idea. Il limite del "Mostro del Caspio" e degli altri ekranoplani è quello di avere decolli lunghi ed essere obbligati a restare a pochi metri dall'acqua. Lui invece capisce che sfruttando un altro effetto dei fluidi si può riuscire a farli decollare verticalmente e spingerli ad alta quota. Impossibile? Assieme a Beriev costruisce il Vva-14. Semplicemente rivoluzionario. Si solleva su un cuscino di vapore, poi passa ai motori di spinta e va su fino a 10 mila metri. L'aerodinamica della fusoliera gli permette un raggio d'azione senza precedenti. Nel 1972 il prototipo viene provato sul Mar Nero poi trasferito alle porte della capitale. Il Beriev-Bartini esibisce prestazioni uniche: autonomia di 2.500 chilometri, velocità di 700 all'ora. Non è un modello sperimentale, ma un'arma strategica: deve pattugliare l'oceano per stanare e distruggere i sottomarini lanciamissili americani. Può cambiare l'equilibrio del terrore nucleare e dare la supremazia all'Urss. Si alza in volo 107 volte, collaudando tutti gli equipaggiamenti: missili, siluri, sonar. I test vengono interrotti solo a metà degli anni Ottanta, quando si chiude la Guerra Fredda. Adesso giace con le ali spezzate nel museo di Nonino, nella periferia di Mosca: è così diverso da sembrare il relitto di una navetta aliena, vagamente somigliante alle Aquile della serie tv "Spazio 1999".
Il prototipo del Bartini-Beriev Vva-14, l'aereo ibrido, militare e multiruolo, sviluppato in Unione Sovietica durante gli anni '70
Bartini riesce a vedere la sua ultima creatura librarsi nel cielo: in tutto ha disegnato sessanta aerei e contribuito ad altri duecento. Sente il peso dell'età, soffre per gli strascichi delle ferite giovanili e delle botte della polizia politica: dagli anni Sessanta si ritira a Mosca, in una casa colma di libri, sempre più lontano dai circoli dei potenti. In quel periodo Bartini è immerso nella fisica del cosmo. Rielabora le leggi dell'universo, proponendo nuove variabili per riscriverle da zero attraverso altre dimensioni: tre per lo spazio e tre per il tempo. Introduce concetti come la superficie e il volume del tempo. Non è solo una teoria fisica ma una filosofia: "l'universo Bartini". Una follia? Il suo studio visionario viene presentato a Mosca da Bruno Pontecorvo, uno dei "ragazzi di via Panisperna" che dopo essere emigrato negli Usa con Enrico Fermi decise invece di fuggire oltre la Cortina di Ferro. È il suo compagno in lunghe discussioni tra esuli, camminando nei parchi innevati della capitale, un po' come il finale del "Fattore umano" di Graham Greene. Nessuno sa se abbia mai manifestato dubbi sull'evoluzione dell'Urss, soprattutto dopo l'invasione dell'Ungheria. E anche se qualcosa fosse cambiato nella sua visione del comunismo, la memoria del gulag probabilmente lo ha spinto a tacere. D'altronde Pontecorvo soltanto nel 1992, un anno prima di spegnersi, ha espresso la sua disillusione sull'esperienza sovietica. Per chi aveva dedicato tutta la vita alla causa marxista, era duro ammettere di avere sbagliato.
La cabina dell'ekranoplano. Il radar del "Mostro del Caspio" era sistemato nel muso

Illuminante la testimonianza di Semyon Solomonovich Gershtein, diventato poi il più prestigioso fisico nucleare russo. Pontecorvo gli chiede di mettere mano al trattato di Bartini per adeguarlo al linguaggio cattedratico. Dopo aver completato la revisione, Gershtein va a incontrare l'autore nella casa moscovita. "Mi sono reso conto subito che avevo davanti una persona incredibilmente dotata in molti campi. Sulle pareti c'erano dipinti notevoli, sui tavoli piccole sculture e modelli di aerei fantastici. Tutto - come ho appreso - era stato fatto da lui. Bartini in maniera molto gentile si mostrò in disaccordo con le mie correzioni. Disse che avevo tagliato molte idee importanti e, di fronte al mio argomento che nessuna pubblicazione scientifica avrebbe accettato un articolo in quella forma, ha letteralmente lottato per difendere ogni parola che avevo cambiato. La nostra conversazione spesso è andata oltre la materia dell'articolo ed è finita su questioni filosofiche: ero stupito dalla sua conoscenza della filosofia antica, classica e marxista. Ho capito che aveva lavorato in un ufficio di progettazione segreto ma in quel momento considerava il saggio come l'obiettivo principale della sua vita. "Il mio commercio - così chiamava l'attività aeronautica - è stato abbastanza fortunato ma la cosa più importante è quella di cui siamo discutendo".
L'interno dell'ekranoplano. Un secondo prototipo del Lun si trova, malridotto, nella fabbrica Krasnoye Sormovo a Nizhny Novgorod, sul fiume Volga
Pontecorvo fa di tutto perché nel 1965 il documento sia pubblicato. Ma a quel punto nella comunità scientifica russa nasce un'altra obiezione: "Da dove spunta questo Roberto Oros di Bartini? Vuoi vedere che è solo uno pseudonimo usato da Pontecorvo per proporci una teoria fantasiosa?". Nelle università nessuno lo conosceva. E neppure altrove: tutto quello che aveva fatto era coperto dal segreto militare. Gli onori pubblici arrivano due anni dopo. L'ordine di Lenin; quello della Rivoluzione d'Ottobre; una cerimonia solenne per il settantesimo compleanno, di cui resta una foto con lo sguardo orgoglioso e il pugno chiuso. Anche Adriano Guerra, il corrispondente de l'Unità, nel 1967 gli dedica un articolo: l'unico uscito in Italia mentre era in vita. Muore nel 1974. "Era una persona di convinzioni inflessibili, una persona del più puro spirito cristallino. La fede comunista per un futuro felice del genere umano è stata la stella che lo ha guidato per tutta la vita", ha scritto nello stile del tempo Oleg Kostantin Antonov: una delle star dell'aeronautica russa, uno dei suoi tanti stimatori. Sulla tomba, tra gli alberi del cimitero Vvedenskoe di Mosca, si legge: "Nella terra dei Soviet, ha mantenuto la promessa di dedicare tutta l'esistenza perché gli aeroplani rossi volassero più veloci di quelli neri".
La tomba di Roberto Oros di Bartini nel Cimitero Vvedenskoe a Mosca. Sulla lapide c’è scritto: “Nella terra dei Soviet, ha mantenuto la promessa di dedicare tutta l'esistenza perché gli aeroplani rossi volassero più veloci di quelli neri (ndr quelli fascisti)".
Prima di chiudere gli occhi, Bartini aveva chiesto che i suoi studi sull'universo fossero chiusi in una cassa e sigillati fino al 2197. Un desiderio che pare non sia stato rispettato, perché almeno un fascicolo è spuntato dagli archivi resi accessibili dopo il crollo dell'Urss. Adesso giovani fisici di tutto il mondo vanno a rileggere quelle teorie, esaltandole come profetiche. Così come cresce la curiosità sulla sua vita, ancora colma di ombre. L'unica biografia è stata realizzata da Roberto Ciampaglia in un documentato libricino edito da Ibn. Sul web i capitoli della leggenda si moltiplicano. Il più suggestivo? La figura di Woland nel "Maestro e Margherita" ricalcherebbe proprio Bartini, che Bulgakov avrebbe frequentato in un circolo letterario moscovita. Il più verosimile? Nel liceo di Budapest è stato compagno di banco di Leo Szilard, lo scopritore della reazione a catena che con Fermi ha diretto il "Manhattan project" e dopo Hiroshima ha chiuso con la fisica. E in alcune delle sue ricerche infatti c'è l'eco delle intuizioni giovanili di Szilard sull'energia. Il più fantasioso? Sarebbe stato Bartini a ispirare a Antoine de Saint-Exupéry il "Piccolo principe". Il più fondato? E' lui l'inventore del metodo Triz, il sistema per la soluzione creativa dei problemi, attribuito invece a Genrich Saulovic Altshuller che era stato tra i suoi collaboratori nelle fabbriche di idrovolanti. A uno dei suoi allievi aveva spiegato che la sua virtù era quella di "tracciare scorciatoie": nei progetti tecnici come nella teoria scientifica, arrivava alla soluzione saltando i passaggi intermedi. Il modo di sintetizzare la sua dote: quella di essere sempre un passo avanti a tutti. Non a caso, i suoi ammiratori continuano a chiamarlo "il genio della lungimiranza".