L’ex boss di Avianca: «Pochi esuberi e lungo raggio, così rilancio Alitalia»
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L’imprenditore, fatto fuori dal vettore colombiano, vuole prendersi una fetta di Alitalia e gestirla: «Metto a disposizione 200 milioni». E gli esuberi non sarebbero più di 1.000
Germán Efromovich
Almeno duecento milioni di euro di investimento, mani libere nella gestione della compagnia (pur avendo il 20-30% di quote), riduzione della forza lavoro (500-1.000 persone al massimo), focus sull’America Latina e l’Africa e una strategia di mini-hub, al di fuori di Roma e Milano, da utilizzare in particolare per i flussi turistici. Per uno che non ha ancora visto il business plan Germán Efromovich sembra avere le idee fin troppo chiare su cosa bisogna fare per rilanciare Alitalia, azienda in amministrazione straordinaria dal 2 maggio 2017 e in attesa di capire chi andrà a concretizzare il consorzio composto da Ferrovie dello Stato, ministero dell’Economia e delle finanze e il colosso americano dei cieli Delta Air Lines.
Dalla Colombia
L’imprenditore 69enne — con quattro nazionalità: colombiana, brasiliana, polacca, portoghese — di recente è stato fatto fuori (lui dice in modo scorretto) dalla presidenza di Avianca per aver saltato la rata di un prestito e date le difficoltà finanziarie dell’azienda che possiede la maggioranza del vettore. Nonostante questo lui va avanti e in una lunga conversazione telefonica con il Corriere della Sera conferma l’interesse per Alitalia (dossier che sta seguendo assieme a Guizzetti & Associati), notizia che è stata rivelata per prima dal quotidiano Milano Finanza. Nel fine settimana, secondo i bene informati, Efromovich sbarcherà a Roma, mentre gli incontri decisivi sono previsti tra martedì e mercoledì.
L’interesse
«Ho sempre seguito le sorti di Alitalia, nonostante le sue vicissitudini è una grande compagnia», esordisce l’imprenditore. Che ha pochi dubbi su come renderla profittevole. «La risposta è semplice: basta guardare a quello che ho fatto nel 2014 con Avianca: una compagnia che nessuno voleva, che aveva una settimana di vita, con i voli sempre in ritardo, un servizio di bordo terribile, tutte criticità che Alitalia non ha. Il problema è come la gestisci: i manager devono essere dove si svolge l’azione, non nel fresco degli uffici con l’aria condizionata». Anche perché, continua Efromovich, «Alitalia ha un tasso di riempimento dei velivoli buono, direi alto, non ha un problema di passeggeri. Non ha un problema di brand, di mercato o di qualità, ma di efficienza. Non ha un problema di ricavi (poco più di 3 miliardi di euro, nel 2018), ma di costi».
L’investimento
L’investimento sarebbe di 200 milioni di euro, con l’assicurazione di prendersi pure il 10% di Delta Air Lines se dovessero fare il passo indietro (sarebbero altri 80 milioni di euro). «Siamo disposti a investire soldi miei e di mio fratello, Avianca non c’entra — sottolinea —, ma vogliamo il pieno potere, dobbiamo essere messi nelle condizioni di fare quello che vogliamo per far ridecollare Alitalia, non ci interessa essere investitori passivi, ma partner operativi». Certo, il suo è un auspicio. «Non ho ancora visto il business plan, cosa che potrebbe succedere nei prossimi giorni», dice. Spiega di aver parlato con Ed Bastian, amministratore delegato di Delta Air Lines. «Gli ho detto se gli andava di lavorare insieme alla nuova vita della compagnia italiana e mi ha detto di sì, sempre che non abbia risposto così per educazione».
Oltre Fiumicino e Malpensa
Quanto alla parte operativa Efromovich — che in passato ha tentato di comprare Tap Air Portugal e ha provato a entrare nella polacca Lot — ritiene che Alitalia dovrebbe guardare ai voli verso l’Asia, «ma senza dimenticare che c’è un flusso etnico importante in Sud America e dovrebbe puntare all’Africa». Non pensa che sia una buona soluzione ricondurre tutto a un solo hub. «Oltre a Roma Fiumicino e Milano Malpensa/Linate, la compagnia dovrebbe pensare a una strategia di mini-hub, penso per esempio a Bologna che è a due passi da Firenze, consentendo ai turisti stranieri di arrivare nelle città d’arte più velocemente».
I fondi
Nella chiacchierata l’imprenditore tocca l’argomento lavoro. Dice che in Alitalia «ci sono persone che oggi non ci servono: in un primo momento forse servirà ridurre o modificare le posizioni, intervenendo in termini di quantità e qualità». Sottolinea che «magari qualche impiegato gode di benefit che oggi non hanno senso». Preferisce non fornire numeri, ma chi sta seguendo i suoi piani parla di 500-1.000 riduzioni. Riduzioni che verrebbero poi riassorbite successivamente, in una fase espansiva. L’aspetto che più incuriosisce — e colpisce — gli analisti finanziari però è relativa ai fondi: più di un esperto consultato dal Corriere non nasconde i propri dubbi sulla reale solidità finanziaria dell’imprenditore, ricordando che le divisioni sudamericane Avianca Brasile e Avianca Argentina hanno interrotto le operazioni. Dubbi che Efremovich respinge: «I soldi ci sono — taglia corto —, ora voglio capire cosa intende fare il governo con Alitalia».
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