AA, DL e UA protestano contro vettori Qatar & UAE per concorrenza sleale


diciamo che riprende aziende dalla terapia intensiva....non che le faccia vivere tipo il wolf di wall street.... ;)
Dopo di che negli USA sono stati ben capaci di lasciare serenamente morire, in un modo o nell'altro, realta' come PA o TW, o no?

TW e' stata comprata da AA e il brand (e anche il resto se n'e' lentamente andato). PA e' stata venduta a pezzetti fino a quando non se n'e' andata da sola. Secondo me l'unica realta' storica lasciata 'serenamente' morire e' stata Eastern.
 
La legislazione fallimentare dei paesi occidentali generalmente prevede procedure di amministrazione controllata (negli USA Chapter 11) o di liquidazione (Chapter 7), la cui applicazione è demandata a un tribunale e ai soggetti da esso delegati.
Le aziende, se possono, cercano di evitare entrambe le procedure, che hanno come conseguenza immediata la perdita di potere degli organi di controllo. In altre parole: il Chapter 11 (o amministrazione controllata che dir si voglia) costa il posto a un sacco di dirigenti, che continuerebbero volentieri a stare al loro posto, se solo avessero delle alternative.
Mettere nello stesso calderone (e quindi paragonare) aiuti di stato, Chapter 11 e Chapter 7 non ha nessun senso, dal punto di vista giuridico, dei dipendenti, della continuità aziendale e - soprattutto - dei rapporti con i fornitori.
La liquidazione di un'azienda di dimensioni importanti è un evento raro, al di qua o al di là del oceano. E questo è un dato di fatto: staccare la spina è una cosa molto più facile a dirsi che a farsi, anche se di liberisti da salotto è pieno il mondo.
 
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La legislazione fallimentare dei paesi occidentali generalmente prevede procedure di amministrazione controllata (negli USA Chapter 11) o di liquidazione (Chapter 7), la cui applicazione è demandata a un tribunale e ai soggetti da esso delegati.
Le aziende, se possono, cercano di evitare entrambe le procedure, che hanno come conseguenza immediata la perdita di potere degli organi di controllo. In altre parole: il Chapter 11 (o amministrazione controllata che dir si voglia) costa il posto a un sacco di dirigenti, che continuerebbero volentieri a stare al loro posto, se solo avessero delle alternative.
Mettere nello stesso calderone (e quindi paragonare) aiuti di stato, Chapter 11 e Chapter 7 non ha nessun senso, dal punto di vista giuridico, dei dipendenti, della continuità aziendale e - soprattutto - dei rapporti con i fornitori.
La liquidazione di un'azienda di dimensioni importanti è un evento raro, al di qua o al di là del oceano. E questo è un dato di fatto: staccare la spina è una cosa molto più facile a dirsi che a farsi, anche se di liberisti da salotto è pieno il mondo.

Ma se nel chapter 11 sono proprio i fornitori i primi a prendersela in quel posto!
 
Ma lo stesso discorso che vale per le compagnie emiratine può valere anche per turkish?
 
Ma se nel chapter 11 sono proprio i fornitori i primi a prendersela in quel posto!

Quando un'azienda si trova in stato di insolvenza le soluzioni sono due (non venticinque): o si privilegia la continuità aziendale e si tenta il risanamento anche chiedendo sacrifici ai fornitori (amministrazione controllata o Chapter 11) o si pone in liquidazione l'azienda, si va tutti a casa e si vendono gli asset per pagare i fornitori (Chapter 7). La prima soluzione è quella che viene perseguita di norma, specie per aziende grandi. E questo è un fatto, non un'opinione.
Ridurre il diritto fallimentare a due battute da bar sarà anche d'effetto, ma non serve a capire la realtà e nemmeno a spiegare come gira il mondo.
 
Quando un'azienda si trova in stato di insolvenza le soluzioni sono due (non venticinque): o si privilegia la continuità aziendale e si tenta il risanamento anche chiedendo sacrifici ai fornitori (amministrazione controllata o Chapter 11) o si pone in liquidazione l'azienda, si va tutti a casa e si vendono gli asset per pagare i fornitori (Chapter 7). La prima soluzione è quella che viene perseguita di norma, specie per aziende grandi. E questo è un fatto, non un'opinione.
Ridurre il diritto fallimentare a due battute da bar sarà anche d'effetto, ma non serve a capire la realtà e nemmeno a spiegare come gira il mondo.

Non ci sono mille realtà da capire per spiegare come va il mondo: qui il tema è che col chapter 11 si beccano un fracco di sussidi. Full stop.
 
Ultima modifica da un moderatore:
Non ci sono mille realtà da capire per spiegare come va il mondo: qui il tema è che col chapter 11 si beccano un fracco di sussidi. Full stop.

Mi piacerebbe saper qual è il "fracco" di sussidi del Chapter 11. Se poi facesse la cortesia di spiegare perché le aziende insolventi dovrebbero essere tutte fatte fallire sarei anche più contento.

Ps: per me la discussione finisce qui. Buon fine settimana a tutti, quelli belli e quelli brutti.
 
Non credo tu non li debba pagare. Se non erro rinegozi gli accordi sindacali e congelati pagamenti ma non li elimini
 
Non credo tu non li debba pagare. Se non erro rinegozi gli accordi sindacali e congelati pagamenti ma non li elimini

Il concetto è che se ai creditori va bene la ristrutturazione proposta (che può riguardare ogni aspetto dell'attività), si va avanti, se c'è opposizione il tribunale valuta che il creditore con la ristrutturazione abbia più di quanto avrebbe se il debitore fallisse. Nel caso di valutazione positiva la procedura è confermata; con valutazione negativa si passa al chapter 7: fallimento e vendita asset.
 
Mi piacerebbe saper qual è il "fracco" di sussidi del Chapter 11.

Mancano proprio le basi dell'economia.

Se tu vivi in un sistema che ti permette di non pagare tutte le tue forniture stralciandole da un giorno all'altro e il tuo competitor europeo non può fare la stessa cosa ma deve -giustamente- continuare ad onorare i suoi debiti tu non lo chiami sussidio?
 
Sussidi alle compagnie del Golfo: numer dell'accusa e risposte degli interessati

ALLEGATIONS of unfair competition are nothing new for the Gulf's carriers. The region’s big three airlines—Emirates, Etihad Airways and Qatar Airways—have long been accused of receiving government subsidies by their rivals in Europe and America. But supporting evidence has been in short supply. That apparently changed yesterday, when a group of airlines disclosed details of “obvious and massive” Gulf-carrier subsidies totalling $42bn since 2004. The findings have been submitted to the American government in a 55-page dossier urging a re-think of Washington’s open-skies treaty with Qatar and the United Arab Emirates (UAE). It contends that the Gulf carriers—which compete with American rivals on international routes—should only enjoy unfettered access to America's airports if they operate on a level playing field.

It is a familiar argument that already holds sway with policymakers in Europe. The Gulf’s rebuttal is equally familiar. Tim Clark, the boss of Emirates, maintains that the carrier he helped set up in 1985 only ever received $10m in seed capital. Its meteoric rise on the global stage, he insists, is down to a mixture of the Gulf’s geographical good fortune at the nexus of East and West, and the Dubai government’s pro-aviation policies. The American airlines which made the accusations, he says, are simply trying to hide behind protectionism.

This well-versed stance is now coming under renewed scrutiny by American officials, who will meet with Mr Clark in Washington in a fortnight. He must be concerned that some of the mud will stick. According to the Financial Times, the allegations against Emirates include Dubai’s assumption of a $2.4bn fuel-hedging loss, $2.3bn of savings from artificially low airport charges and $1.9bn of savings from Emirates’ non-unionised workforce. Mr Clark will of course deny that cheap labour and ground-handling constitute a government subsidy; to the contrary, he will say, they reflect the commercial savviness of his government. But the accusations levied against the other Gulf carriers are harder to dismiss. Qatar Airways, it is alleged, has received $7.7bn in interest-free loans from the Qatari government and $6.8bn in reduced debt-interest charges thanks to sovereign guarantees. Etihad is said to have received $6.3bn in capital injections, $4.6bn in interest-free loans with no repayment obligation, and $4.2bn in “additional committed subsidies” from Abu Dhabi.

Do equity transferrals, interest-free loans and debt guarantees constitute subsidies? Not according to Akbar Al Baker, the boss of Qatar Airways, who insists that the Qatari government is free to provide financial support to its airline just like any other shareholder.

But his argument is misleading. First, the sheer scale of equity apparently being provided to the Gulf carriers dwarfs what any privately owned airline could hope to secure for start-up capital. Second, debt guarantees are two different animals in the public and private sector. In the latter, they are provided when a shareholder believes there is little to no chance that the debt will be defaulted on; in the former, they are provided irrespective of the likelihood of repayment, effectively kicking the borrowings into the long grass. On both counts, the Gulf carriers enjoy clear financial advantages over their American and European rivals, affording them a safety net which permits them to operate unprofitable services in order to gain market share.

Transparency is another issue. Proponents of the Gulf model often note that airlines in America benefited from the Chapter 11 bankruptcy protection system after the 9/11 terrorist attacks. This, they claim, amounted to a back-door subsidy, propping up the domestic sector while its debts and costs were trimmed. But that is an unfair comparison. Chapter 11 restructurings do not involve equity injections by the taxpayer. They are restructurings conducted under the watchful eye of an independent judiciary. By contrast, decisions about the organisation of Gulf-carrier balance sheets are taken behind closed doors, by dynastic rulers who have no accountability to their citizens. Unless Qatar and the UAE can demonstrate that their flag-carriers abide by competitive norms in the private sector, the American government is entitled to impose bilateral restrictions—just as most governments in Europe and the Middle East have done.

There is one final point that Gulliver finds pertinent. Gulf carriers are more proactive than most at currying favour with trade journalists. Their generosity to the media goes beyond complimentary flights for press conferences—perks that The Economist’s journalists are prohibited from accepting—and extends well into corporate hospitality. Once a journalist has enjoyed an evening in an executive box at the Emirates Stadium, for example, it becomes awkward to write anything negative about Dubai’s flag-carrier. Such conflicts of interest may well have influenced coverage of the Gulf subsidy row.

Fonte:the economist
 
Mancano proprio le basi dell'economia.

Se tu vivi in un sistema che ti permette di non pagare tutte le tue forniture stralciandole da un giorno all'altro e il tuo competitor europeo non può fare la stessa cosa ma deve -giustamente- continuare ad onorare i suoi debiti tu non lo chiami sussidio?

Più che le basi dell'economia mancano quelle della discussione civile, direi.
Il Chapter 11 esiste anche in Europa, si chiama amministrazione controllata e ti garantisco che va un sacco di moda di questi tempi, anche in Italia.
Per la definizione di sussidio basta lo Zingarelli invece.

Possiamo riportare la conversazione sul tema e non sul personale?
 
Proponents of the Gulf model often note that airlines in America benefited from the Chapter 11 bankruptcy protection system after the 9/11 terrorist attacks. This, they claim, amounted to a back-door subsidy, propping up the domestic sector while its debts and costs were trimmed. But that is an unfair comparison. Chapter 11 restructurings do not involve equity injections by the taxpayer. They are restructurings conducted under the watchful eye of an independent judiciary. By contrast, decisions about the organisation of Gulf-carrier balance sheets are taken behind closed doors, by dynastic rulers who have no accountability to their citizens.
Fonte:the economist

Il Chapter 11/Amministrazione Controllata non c'entra niente con i sussidi, non è un provvedimento ad hoc per le linee aeree e non prevede l'utilizzo di finanziamenti statali. Meno male che lo scrive anche The Economist, un giornale che - mi pare - non venga stampato in Corea del Nord con redattori che hanno studiato economia alla scuola Radio Elettra.

Il che non significa che ci si debba sentire in colpa ad andare da Milano a New York con 350 euro pagati dal passeggero e con qualche altro spicciolo gentilmente aggiunto dall'Emiro. Si può fare, non è vietato dalla legge, almeno non ancora.