Dopo la sospensione dei voli Londra ha deciso di riprendere oggi, venerdì, i collegamenti con Sharm. Le misure di sicurezza saranno eccezionali: nessun bagaglio in stiva, solo a mano. La sospensione dei voli aveva fatto infuriare il governo egizianoDopo la sospensione dei voli Londra ha deciso di riprendere oggi, venerdì, i collegamenti con Sharm. Le misure di sicurezza saranno eccezionali: nessun bagaglio in stiva, solo a mano. La sospensione dei voli aveva fatto infuriare il governo egiziano
Britannici quasi certi che sia stata una bomba. Americani si accodano. Egiziani e russi scettici quanto infuriati, a ragione, per la fretta di Londra nel privilegiare la tesi dell’attentato rispetto a quello a dell’avaria. Teorie sostenute, per ora, da pochi dati ufficiali.
Tra gli investigatori al lavoro nel deserto ci sono anche gli irlandesi. Forse sono loro ad aver passato a Londra le informazioni che appoggiano lo scenario criminale. Magari hanno trovato indizi interessanti: parti di un ordigno o «segni» sulle lamiere, frammenti sui cadaveri. La dinamica del disastro, con l’Airbus che si «spezza» in volo fa pensare ad un fattore esterno, prima era il missile, poi si è passati alla bomba. Questo segmento si salda alle rivelazioni dagli Usa su intercettazioni che riguardano membri dell’Isis o affiliati. Parlavano di colpire l’aereo? È chiaro che il «chiacchiericcio» - come è definito in gergo - da solo non basta. Anche se c’è la serie di rivendicazioni dello Stato Islamico. Assunzioni di responsabilità dove però sono assenti elementi di prova: un portavoce ha affermato che racconteranno come hanno fatto. Riservatezza legata alla necessità di proteggere il network o solo un bluff propagandistico?
Quanti sono convinti della matrice terroristica pensano, invece, che si tratti del temuto salto di qualità degli estremisti. Non più operazioni individuali ma attacchi spettacolari, per imitare e superare Al Qaeda. Per farlo - è la ricostruzione - si sono serviti di complici in servizio nello scalo di Sharm el Sheikh, hanno sfruttato i buchi nella rete di sicurezza ed hanno piazzato la trappola. Molti i sospettabili: gli inservienti delle pulizie, chi porta il cibo a bordo, un operaio dei bagagli. Se uno di loro è coinvolto il Mukhabarat egiziano saprà come farlo parlare.
La seconda possibilità è che il Califfo non c’entri.
La distruzione dell’Airbus sarebbe da imputare ad altri, una fazione concorrente oppure un nemico deciso a punire i russi per il loro intervento al fianco di Assad. Anche un servizio straniero. Piano temerario che se scoperto avrebbe conseguenze inimmaginabili e dunque mascherato da «complotto dell’Isis». Siamo in un’area grigia dove la realtà e fiction corrono parallele. Una situazione che ricorda la strage di Lockerbie, nel 1988. Anche allora si pensò alla mano di estremisti del Fronte popolare, ad Abu Nidal, agli iraniani, per poi puntare sugli 007 libici.
A questo «castello» si contrappone quello delle cause tecniche. Il copilota si era lamentato delle condizioni del jet, la compagnia è stata piuttosto discussa, c’era stato un incidente nel 2001 che potrebbe aver compromesso, alla lunga, la struttura della carlinga. Da qui il distacco della coda, trovata a 2 chilometri di distanza dall’area dell’impatto, che ha reso ingovernabile il jet. Le autorità egiziane hanno anche ipotizzato l’esplosione del motore.
È ovvio che Mosca e il Cairo hanno tutto l’interesse a negare l’atto doloso perché avrebbe ripercussioni all’interno e danneggerebbe l’immagine di due uomini «forti». Allora prendono tempo e pregano che la verità dia loro ragione. Altrimenti i 224 morti nel Sinai non saranno un dato crudo negli archivi ma i caduti di una guerra. E serviranno nuove risposte da parte di tutti.