Per AirOne spunta l'ipotesi low cost
Colaninno: ci pensiamo. Gli esperti: nessuna compagnia tradizionale ci è mai riuscita
Dal cappello magico di Roberto Colaninno esce l’idea di trasformare la compagnia AirOne nella branca «low cost» del gruppo Alitalia. Le low cost sono quei vettori tipo Ryanair e EasyJet che offrono biglietti a prezzi stracciati in cambio di un servizio spartano. È qualcosa di realizzabile per AirOne? Il presidente di Alitalia, l’ex compagnia di bandiera rinata dalle sue ceneri inglobando AirOne, ne ha parlato ieri, con cautela, nella trasmissione tv «Zona Severgnini» su Sky. «È un’ipotesi - ha detto, come a gettare il sasso per vedere le reazioni -. Non è in esame oggi, è troppo presto, perché AirOne è un marchio importante e prima di distruggerlo ci si pensa parecchio». Ma appunto, ci si pensa, e adesso se ne parla pure.
Nell’intervista, Colaninno ha fatto varie altre considerazioni: per esempio, ha detto che «molte volte per i ritardi degli aerei si addebitano ad Alitalia responsabilità che non sono nostre, ma di tutto un sistema, comprese le infrastrutture aeroportuali, e lo scalo di Fiumicino è il più responsabile di questi ritardi». Ha parlato anche di una «Malpensa logisticamente sbagliata», ha dato per probabile per Alitalia «un sostanziale miglioramento dei conti nel terzo trimestre». Ma la più importante indicazione (seppure ipotetica) di strategia emersa dall’intervista è proprio quella di AirOne come futura compagnia low cost.
E allora, si può fare o no? Gregory Alegi, docente all’Accademia aeronautica e all’università Luiss (dove insegna gestione delle compagnie aeree) e numero uno degli analisti italiani del settore, osserva che la Storia rema contro: «Non c’è un solo caso di compagnia tradizionale - dice alla Stampa - che si sia riciclata con successo nel low cost. In America la United creò la Ted, dimezzandosi il nome, per resistere alla concorrenza di Jet Blue, ma fece fiasco. In Europa, la British Airways fondò la Go, ma poi fu costretta a venderla a EasyJet, e la Klm lanciò una sua low cost che andò male e finì assorbita da Ryanair». Qual è il denominatore comune di tutti questi fallimenti? Alegi ne fa innanzitutto una questione di Dna aziendale: «Le compagnie low cost si reggono sui costi di produzione stracciati. Se una compagnia tradizionale vuol creare una branca low cost deve rinegoziare tutti i contratti di lavoro, tutti i contratti con i fornitori, tutti i contratti con gli aeroporti. Deve cambiare la testa dei dipendenti, dei dirigenti... Ma se si vuol fare una low cost è molto più facile partire da zero, con una nuova compagnia e gente dalla mentalità nuova che aderisce al progetto da subito».
Poi c’è un problema di rotte aeree. Le low cost di solito godono di contributi pubblici occulti perché operano da aeroporti marginali, dove ottengono tariffe basse o sottocosto da parte delle autorità locali, alle quali garantiscono in cambio collegamenti, volumi di traffico e flussi di persone (turisti e altro) che magari spenderanno dei soldi in loco. C’è persino il «co-marketing», per cui la pubblicità per queste rotte, spesso, è fatta non dalle compagnie ma dalle autorità locali con soldi pubblici. All’aeroporto belga di Charleroi l’ente locale pagava addirittura le notti in albergo ai piloti e alle hostess di Ryanair.
Si può fare concorrenza alle low cost su questo terreno? Teoricamente sì, risponde Alegi, però rotte tipo Pisa-Vienna o Venezia-Nottingham sono, se ci sono, tipicamente, servite da una sola compagnia low cost e non da due in concorrenza. «Una volta collegato un posto del cavolo con un posto del cavolo e coperta tutta la rete non ci sono più nicchie da riempire. E provare a sloggiare le low cost da dove si sono insediate è difficilissimo: altre compagnie, in Inghilterra, hanno provato a fare concorrenza a Ryanair dove c’era già, ma Ryanair le ha buttate fuori dal mercato offrendo biglietti gratis per tre mesi su quelle rotte». In alternativa, le compagnie tradizionali potrebbero offrire voli low cost sulle loro linee tradizionali, «ma Alitalia si metterà a fare low cost, per esempio, sulla Milano-Roma, cannibalizzando i suoi voli normali? È improbabile».
Infine c’è una questione di aerei. «Le low cost devono avere aerei nuovissimi e che non si guastino, perché tra i loro fattori di costo c’è un ciclo arrivo-partenza strettissimo in aeroporto, nell’ordine dei 25 minuti per Ryanair. I voli low cost non si fanno con i rimasugli, servono flotte giovani e di ultimo modello. Se Colaninno vuole il low cost deve investire moltissimo». Beh, in effetti Alitalia-AirOne sta comprando qualche nuovo Airbus 320.
fonte: LaStampa.